Napoli, 25 giugno 2015
Si chiama “multiportale” l’ultima tecnica innovativa in neuroendoscopia. Utilizza la cavità orbitaria per introdurre l’endoscopio e può arrivare in profondità, sino all’encefalo. Il miglioramento della strumentazione apre nuovi orizzonti per il trattamento delle patologie cerebrali. Per sapere quando è meglio utilizzarla e quali sono le sue reali potenzialità, ne abbiamo parlato con Davide Locatelli, direttore del dipartimento di Neurochirurgia dell’Ospedali Civile di Legnano
Professore, cos’è la neuroendoscopia?
“Neuroendoscopia significa chirurgia cerebrale con utilizzo dell’endoscopio come strumento di visualizzazione all’interno del cranio, coadiuvato da strumentari di dimensioni molto piccoli, tali da essere introdotti, attraverso fori, nella volta cranica o addirittura nelle cavità nasali, utilizzate come canale per raggiungere la base del cranio. L’endoscopio non sostituisce le tecniche di asportazione, consolidate in decenni di microchirurgia ma affianca il microscopio, quando necessario, per permettere una visione “dietro gli angoli”. Talvolta invece sostituisce il microscopio come strumento di visualizzazione, quando la necessità di creare spazio è motivo d’incisioni estese, necessarie solo per permettere di “vedere” la patologia. L’endoscopio evita di creare danni collaterali legati solo a esposizioni dei tessuti più ampie del necessario”.
Quando è necessario impiegare l’endoscopio?
“L’endoscopio può essere impiegato in tre tipi di interventi. Al primo tipo appartengono interventi diretti a cavità naturali esistenti all’interno del cranio, tramite un foro della volta cranica, raggiungendo i ventricoli cerebrali e/o le cisti malformative, riempiti da liquido chiaro e trasparente come l’acqua, praticando nei ventricoli delle aperture, dette stomie, che bypassano la causa di occlusione responsabile della patologia. Questa tipologia di interventi, ormai molto diffusi, risolve ed ha risolto buona parte delle problematiche pediatriche malformative legate all’idrocefalo e, data la frequenza di queste patologie soprattutto nei paesi meno sviluppati, ha permesso grossi avanzamenti nel trattamento diretto della lesione, riducendo infezioni e malfunzionamento dei sistemi di protesi utilizzati in precedenza, spesso insufficientemente disponibili, se non in aree ad elevata tecnologia.
Un secondo impiego è quello che affianca l’endoscopio al più tradizionale microscopio, permettendo di accedere alle regioni profonde, portando l’occhio dell’operatore dove il microscopio, (che necessita di una visione di campo in linea retta,) non può arrivare. Infine un terzo impiego, che è quello dove sono stati riscontrati i maggiori progressi negli ultimi anni, riguarda la neuroendoscopia del basicranio. Quest’ultimo utilizzo ha permesso di raggiungere aree encefaliche una volta impensabili”.
In quale patologie è più consigliato operare con la neuroendoscopia?
“Per il trattamento delle patologie della linea mediana della base del cranio, per esemplificare gli adenomi ipofisari, ma anche i craniofaringiomi, i cordomi e altre patologie situate tra le due orbite, sulla sella turcica, sul clivus, lungo la linea mediana”.
Quali sono le tecniche innovative in neuroendoscopia?
“L’ultima innovazione è la tecnica multiportale, utile per trattare lesioni della parte mediale e laterale dei bulbi oculari. Utilizza la cavità orbitaria per introdurre l’endoscopio, lateralmente all’occhio e operare in profondità, sino all’encefalo”.
Quali sono i limiti dell’endoscopia?
“I limiti della tecnica sono ancora in una strumentazione che necessita un’evoluzione continua, in una curva di apprendimento (che deve affiancarsi ad una buona padronanza delle tecniche tradizionali, quindi necessita tempo), oltre ai limiti della sede e della tipologia ed estensione della lesione, legati alle specificità anatomiche.
La proposta neuroendoscopica deve essere valutata come un’opzione, non sempre possibile o indicata, ma comunque da tenere in considerazione a fianco delle tecniche tradizionali, valutando nei singoli casi l’estensione del tumore, la sua posizione anatomica, la possibilità o meno di una “radicalità” chirurgica di asportazione. Non esiste una dicotomia tra intervento microscopico ed endoscopico: l’operatore deve poter scegliere lo strumento migliore per il risultato più adeguato e deve essere esperto in entrambi i campi per poter essere obiettivo”.
Professore, infine quali potenzialità?
“Le potenzialità sono ampissime perché vedere con un accesso minimo, rappresenta il presupposto per la miniaturizzazione e la futura robotizzazione delle tecniche, che hanno un senso solo se riescono a ridurre la manipolazione dei tessuti sani, per giungere con il minimo danno, dove è la malattia. Negli ultimi anni si è sviluppata, soprattutto in campi vicini alla neurochirurgia, quali l’otorinolaringoiatria e in particolare la rinologia, un diffuso spostamento dalle tecniche tradizionali verso l’endoscopia che ha fatto da “traino”, stimolando la neurochirurgia, che deve usare le medesime vie di accesso alla base del cranio, ad avvalersi della collaborazione multidisciplinare per suggerire nuove alternative al trattamento delle patologie più complesse”.
Le tecniche endoscopiche hanno rivoluzionato la storia della chirurgia. L’occhio del chirurgo, grazie all’endoscopio, guarda nel campo operatorio migliorando il controllo visivo con un ingrandimento d una forte luminosità ravvicinata, permettendo così di raggiungere le regioni anatomiche d’interesse attraverso piccole incisioni riducendo l’aggressività chirurgica. Ne abbiamo parlato con Umberto Godano, direttore del reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale San Carlo di Potenza
La Neuroendoscopia trans-cranica ha avuto, negli ultimi venti anni, un notevole sviluppo diventando una tecnica basilare nel bagaglio del neurochirurgo e determinando un cambio radicale nel trattamento di molte patologie neurochirurgiche, in particolare per l’idrocefalo.
Professor Godano, quali interventi sono eseguibili in neuroendoscopia?
“La neuroendoscopia nasce per il trattamento dell’Idrocefalo, l’aumento cioè della quantità di liquor cerebro-spinale nelle cavità dei ventricoli cerebrali, che determina una ipertensione endocranica e necessita di essere drenato. Anche le lesioni endoventricolari (prevalentemente cistiche di tipo malformativo, flogistico, neoplastico) e le cisti intracraniche si possono operare endoscopicamente: le cavità ventricolari, specie se dilatate, e le lesioni cistiche rappresentano infatti l’ambiente anatomico più adeguato alla operatività endoscopica, che necessita di spazi pre o neo formati nei quali introdurre gli strumenti per le manovre chirurgiche. L’idrocefalo e le cisti liquorali sono trattate con azioni di fenestrazione-comunicazione fra spazi liquorali che portano al drenaggio dell’accumulo patologico di liquor. In alcuni tipi di neoplasie solide endoventricolari si può effettuare una procedura endoscopica di biopsia e/o citoriduzione ed, in casi selezionati di piccole lesioni avascolari, come le cisti colloidi, di asportazione neoplastica.
Dal punto di vista tecnico, in tutti questi casi la procedura endoscopica si realizza con strumenti inseriti nel canale operativo dell’endoscopio (pinze, forbici, elettrodo coagulatore, palloncino per dilatazione) che permettono l’esecuzione di singole manovre di: perforazione/fenestrazione per comunicazione fra spazi liquorali; prelievi bioptici e/o citoriduzione neoplastica; controllo piccoli sanguinamenti con lavaggio, compressione e coagulazione. Un’altra possibilità tecnica di applicazione dell’endoscopia in neurochirurgia è costituita dall’utilizzo degli endoscopi solo come sistema di visione, effettuando quindi le manovre operative con strumenti dedicati inseriti in corridoi chirurgici a fianco dell’endoscopio. Questo tipo di tecnica ha avuto un grande sviluppo nella chirurgia trans-naso-sfenoidale e, negli approcci trans-cranici ha due tipi di finalità: l’assistenza endoscopica agli interventi microchirurgici e l’esecuzione di manovre chirurgiche in visione endoscopica (video-neurochirurgia o endo-neurochirurgia). Le indicazioni principali sono le cisti aracnoidee superficiali, i conflitti neuro-vascolari ed i tumori del basicranio e della regione parasellare”.
Quali sono i limiti e le potenzialità?
“Il limite può importante della neuroendoscopia è una operatività limitata in campi ristretti per cui il controllo del sanguinamento è spesso difficile: la tecnica deve essere quindi riservata a condizioni patologiche a basso rischio emorragico. Il chirurgo deve essere comunque sempre pronto (e preparare di conseguenza il paziente) a convertire l’intervento, in caso di necessità, in un normale approccio microchirurgico. Il maggiore vantaggio è aver permesso approcci mini-invasivi ed aver ridotto molto l’uso di sistemi di derivazione liquorale costituiti da valvole e cateteri in silicone spesso causa di complicanze (malfunzionamenti e infezioni) a distanza”.
Cosa è cambiato negli ultimi anni nella neuroendoscopia?
“Le evoluzioni tecniche e tecnologiche sono state continue, consentendo un allargamento delle indicazioni ed un miglioramento della sicurezza operativa. Ciò ha riguardato sia i sistemi ottici che la strumentazione. È stato possibile utilizzare l’endoscopio con le tecniche di neuro navigazione controllando così la traiettoria di introduzione e dell’area anatomica-bersaglio da raggiungere.
È stata realizzata la combinazione della visione endoscopica con quella del microscopio operatorio, permettendo di esplorare con gli endoscopi punti non direttamente evidenziabili alla visione microscopica (angoli bui). Questi ultimi possono essere visualizzati grazie all’uso di endoscopi angolati con riduzione della trazione e/o manipolazione sulle strutture nervose e conseguente ottimizzazione delle procedure neurochirurgiche, soprattutto in aree profonde, che possono inoltre essere realizzate con approcci mini-invasivi tipo “key-hole”. È in corso di iniziale utilizzo l’aspiratore ad ultrasuoni dedicato alla neuro endoscopia. Vi è stato inoltre uno sviluppo di applicazione in chirurgia spinale, che merita un discorso a parte”.
Quali sono le applicazioni future della neuroendoscopia?
“La neuro endoscopia seguirà lo sviluppo delle tecniche mini-invasive, che in futuro troveranno sempre maggiore applicazione. La miniaturizzazione degli approcci in chirurgia cranica avrà sempre più bisogno di strumenti di visione in profondità e di nuova strumentazione per le manovre chirurgiche. Il perfezionamento degli aspiratori ad ultrasuoni e dei sistemi di coagulazione permetterà di asportare con maggiore sicurezza molti tumori cerebrali. Un contributo importante, attualmente in via di sperimentazione, sarà l’utilizzo di sistemi robotici già applicati in altre branche chirurgiche, in quanto ciò consentirà una assoluta precisione operativa. Maggiore sicurezza deriverà inoltre dall’uso della chirurgia virtuale, oggi sempre più utilizzata per la formazione degli operatori. Sarà quindi sempre più possibile estendere l’uso della neuroendoscopia per la chirurgia delle neoplasie endocraniche”.
fonte: ufficio stampa