Dall’epilessia si può guarire, non solo con i farmaci ma anche con la chirurgia. Lo afferma Vincenzo Esposito, primario dell’Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia dell’I.R.C.S.S. Neuromed-Pozzilli e Professore Ordinario di Neurochirurgia al Dipartimento di Neurologia e Psichiatria dell’Università la Sapienza di Roma
Roma, 10 settembre 2015 – L’epilessia colpisce poco meno dell’1% della popolazione dei paesi industrializzati, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: in Italia, dunque, vi sono circa 500 mila persone affette da epilessia, in gran parte bambini o giovani adulti. Negli ultimi anni molto è stato fatto per migliorarne la cura. Ma quali sono le principali cause?
“Molte delle cause sono note – risponde il primario del Neuromed – Vi sono forme genetiche, che determinano un aumento della irritabilità delle cellule cerebrali. In altri casi l’epilessia è dovute alla presenza di anomalie circoscritte del cervello, quali malformazioni dello sviluppo della corteccia cerebrale, tumori, esiti di ischemie, di traumi o infezioni. L’epilessia – spiega Vincenzo Esposito – è il sintomo di qualcosa che non va nel cervello, con l’insorgenza di una scarica elettrica anomala che manda temporaneamente fuori uso una parte (epilessia focale) o tutto (epilessia generalizzata) il cervello stesso. A differenza di altre malattie neurologiche, quali il Parkinson e la demenza, tipiche dell’età avanzata, l’epilessia colpisce in maniera preponderante persone giovani: il persistere delle crisi, specie se non controllate dalla terapia medica, impedisce di avere una normale vita di relazione, con difficoltà negli studi, nella vita sociale, affettiva e lavorativa”.
Secondo l’esperto riuscire a curare precocemente l’epilessia può consentire a queste persone di condurre una vita normale. Il 70% dei pazienti epilettici risponde bene ai farmaci, mentre per gli altri pazienti, farmaco-resistenti, può essere valutata la possibilità di un trattamento chirurgico.
Vincenzo Esposito ribadisce che occorre agire precocemente quando il paziente non risponde ai farmaci. “In Italia – ricorda l’esperto – abbiamo uno standard di qualità elevato e gli epilettologi italiani sono tra i più quotati al mondo, con un’ottima produzione scientifica. I pazienti farmaco-resistenti devono essere valutati da equipe multidisciplinari ed esperte in epilessia, che includono neurologi, neuroradiologi, neuropsicologi e neurochirurghi. Gli esami principali – continua – sono la Risonanza Magnetica, con cui si studia la conformazione del cervello alla ricerca di possibili anomalie, la registrazione prolungata video-elettroencefalografica, con cui si studiano le crisi epilettiche documentando in video ciò che succede al paziente contemporaneamente alla registrazione della attività elettrica cerebrale, e lo studio neuropsicologico delle principali funzioni cerebrali. Questi studi, uniti ad altri eventualmente ritenuti necessari caso per caso, aiutano a definire da quale regione del cervello partono le crisi, e se questa può essere rimossa senza provocare danni importanti al paziente. In questa maniera si può giungere a proporre un intervento di asportazione della regione anomala (intervento curativo), o, qualora non sia possibile, interventi alternativi che possono diminuire la gravità ed il numero delle crisi (interventi palliativi). Questi interventi, eseguiti in centri dedicati e con esperienza nel trattamento dell’epilessia, hanno possibilità molto buone di guarire o migliorare l’epilessia (in alcune forme di epilessia si giunge alla guarigione del 70-80% dei pazienti operati), con un tasso bassissimo di complicanze, inferiore al 3%”.
fonte: ufficio stampa