Pubblicato su Nature Protocols lo studio dell’Università di Padova in cui si indica la metodologia d’uso degli SPLICS
Padova, 25 ottobre 2021 – La distribuzione delle diverse funzioni delle cellule eucariotiche in compartimenti specializzati (gli organelli subcellulari) ha permesso agli organismi viventi di evolversi verso forme sempre più complesse in grado di adattarsi all’ambiente circostante. Il preciso, costante e sofisticato scambio di informazioni, nutrienti, ioni, metaboliti e lipidi tra gli organelli è altresì condizione necessaria e indispensabile per garantire il corretto funzionamento di ogni cellula vivente. Tale comunicazione avviene tramite la formazione/distruzione di punti di prossimità fisica tra le membrane degli organelli.
“Nel corso degli ultimi anni abbiamo sviluppato dei ‘sensori’, che abbiamo chiamato SPLICS, in grado di studiare questi contatti a livello molecolare – dicono Tito Calì del Dipartimento di Scienze Biomediche e Marisa Brini del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo patavino – e li abbiamo resi disponibili alla comunità scientifica per lo studio, in cellule vive, dei meccanismi alla base della formazione dei contatti. Il loro impiego nei laboratori di tutto il mondo ha avuto molto successo e ci ha portato alla stesura di un protocollo standard per il loro uso corretto”.
I sensori SPLICS sono basati su una proteina fluorescente geneticamente modificata (green fluorescent protein, GFP), divisa in due frammenti localizzati in due diversi organelli (split GFP), che si ricongiungono e diventano luminosi solo quando gli organelli si avvicinano tra loro. Il sensore di prima generazione è stato sviluppato a dicembre 2017,successivamente,a novembre 2020 sono stati generati sensori di seconda generazione, ottimizzati per esprimere in modo equimolare i due frammenti di GFP, e di terza generazione in grado di misurare simultaneamente contatti multipli tra gli organelli della stessa cellula.
Tra i molteplici vantaggi di questa metodologia, oltre la semplicità di utilizzo con tecniche base di microscopia, ve ne sono altri: le SPLICS non richiedono il trattamento con molecole che potrebbero interferire con l’attività biologica delle cellule quindi non ne perturbano la fisiologia, il segnale che emettono è forte e specifico (su fondo nero), sono ideali per monitorare i contatti non solo in vitro e in vivo nelle cellule ma anche in modelli di vertebrato in toto (zebrafish) e, infine, sono modulari, cioè permettono di misurare contatti tra organelli che avvengono a distanze diverse e, grazie a questo, di stabilire una associazione tra la lunghezza del contatto e una specifica funzione cellulare. Conoscere questo dettaglio molecolare è particolarmente importante per comprendere a fondo i processi cellulari.
“Quando si sviluppa un nuovo approccio sperimentale, che verrà utilizzato in laboratori e da ricercatori diversi – sottolinea Marisa Brini del Dipartimento di Biologia – è molto importante condividere il protocollo impiegato, in modo da rendere standard la procedura e l’interpretazione dei risultati. Anche in seguito alle numerose richieste che abbiamo ricevuto da colleghi di tutto il mondo, abbiamo sentito l’esigenza di dettare alcune linee guida comuni, pubblicate ora su Nature Protocols, e renderle disponibili alla comunità scientifica”.
“Rendere standard l’utilizzo sperimentale dei nostri ‘sensori’ – conclude Tito Calì del Dipartimento di Scienze Biomediche – non solo garantisce la riproducibilità delle informazioni che si possono ottenere attraverso il loro impiego, ma consente anche di utilizzarli in maniera ottimale nello sviluppo/screening di potenziali farmaci e per l’identificazione di nuovi bersagli terapeutici”.
Link alla pubblicazione: https://www.nature.com/articles/s41596-021-00614-1
Titolo: “Quantification of organelle contact sites by split-GFP-based contact site sensors (SPLICS) in living cells” – “Nature Protocols” – 2021