Prof. Maurizio Vecchi: “È necessario semplificare il più possibile le modalità di assunzione dei farmaci attualmente utilizzati per evitare così riacutizzazioni e complicanze”. Dott. Marco Daperno: “La patologia ha un risvolto molto pesante sulla vita quotidiana ma oggi esistono cure estremamente efficaci”
Milano, 4 febbraio 2020 – La colite ulcerosa lieve moderata è una malattia invalidante che risulta in crescita nel nostro Paese. Colpisce circa 150mila persone in Italia e mina la qualità di vita del paziente. La patologia può causare diverse violente scariche al giorno accompagnate da forti dolori addominali da rendere così difficile svolgere tranquillamente le normali mansioni quotidiane, come quelle lavorative.
Per controllarla sono disponibili diversi farmaci tra i quali la mesalazina che rappresenta la terapia di prima linea secondo le più recenti linee guida della European Crohn’s and Colitis Organisation (ECCO). Risulta però fondamentale seguire scrupolosamente le indicazioni terapeutiche. Scarsa è infatti l’aderenza ai trattamenti prescritti: almeno il 40% dei pazienti non si attiene alle indicazioni date dal medico curante.
È questa la principale causa di non efficacia delle cure farmacologiche e ciò determina un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, della morbilità e della mortalità, rappresentando un danno sia per i pazienti che per il sistema sanitario e per la società.
È quanto è emerso oggi a Milano, durante il convegno “THE CHOICE Dosaggi e Aderenza nella cura della CU lieve moderata”. L’evento vede la partecipazione di esperti nazionali e specialisti provenienti da tutta Italia e i rappresentanti dell’associazione AMICI Onlus (Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino).
Obiettivo della giornata è quello di condividere evidenze scientifiche ed esperienze cliniche relative al ruolo dell’aderenza terapeutica come strumento di cura, all’importanza dell’alleanza medico paziente finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo clinico e della qualità della vita del malato.
“In Italia si stima che siano affette da malattie infiammatorie croniche intestinali in totale più di 250mila persone – afferma il dott. Marco Daperno, SC Gastroenterologia AO Ordine Mauriziano di Torino e Segretario Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD) – Oggi rispetto al passato la mortalità è scesa drasticamente raggiungendo l’1-2% circa. Non va in ogni caso trascurato come la colite ulcerosa abbia un risvolto pesante sulla quotidianità delle diverse tipologie di paziente”.
“È fondamentale riuscire ad intervenire tempestivamente con un trattamento in grado di controllare la malattia – sottolinea il prof. Paolo Gionchetti, Dirigente Medico presso la Struttura Semplice Dipartimentale per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali dell’Università di Bologna – Le terapie farmacologiche possono dare risultati significativi solo se vengono assunte correttamente nei tempi, nelle dosi e nei modi indicati, per bloccare l’infiammazione ed evitare la comparsa di recidive. L’instaurarsi di una reale alleanza medico-paziente è un elemento cruciale nel processo di cura, soprattutto nei casi di patologie che richiedono approcci terapeutici long-term da assumere anche per il resto della vita”.
“È assolutamente necessario semplificare il più possibile le modalità di assunzione dei farmaci attualmente utilizzati – aggiunge Maurizio Vecchi, professore di Gastroenterologia, Università di Milano e Direttore dell’UO di Gastroenterologia ed Endoscopia, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico – In questo modo si potrebbe migliorare l’aderenza alla terapia e così evitare il ricorso ad ulteriori e più invasivi trattamenti dovuti alla progressione della malattia stessa”.
“La colite ulcerosa è una malattia ancora sottovalutata – afferma il prof. Alessandro Armuzzi, docente in Gastroenterologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – Causa problemi emotivi e sociali rilevanti, impattando in maniera significativa sulla qualità della vita del paziente stesso. Non è ancora ben chiaro quali siano i fattori scatenanti del processo infiammatorio cronico, ma si pensa che un’alterata risposta immunitaria nei confronti del microbiota possa giocare un ruolo importante in individui geneticamente predisposti. È necessario un grande sforzo da parte del medico per trasmettere al paziente il valore delle terapie disponibili e la necessità dell’aderenza al trattamento che continua ad essere decisamente bassa”.