Colesterolo, un killer sottovalutato. Come ridurre il rischio cardiovascolare

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Un italiano su 3 ha il colesterolo alto, ma anche tra chi è in terapia gli obiettivi terapeutici vengono centrati da un maschio su 4 e da meno di una donna su 5. Un problema non da poco considerando che il colesterolo ‘cattivo’ (Ldl) è il principale fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. In un position paper redatto dagli esperti della Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (Siprec), in collaborazione con il Cnr e la Fondazione Italiana per il Cuore le istruzioni per l’uso per non cadere vittime di questo ‘grasso’: dalle terapie agli esami da effettuare. Un appello al Servizio Sanitario Nazionale perché si faccia carico del costo dell’esame per il colesterolo Ldl, almeno nei soggetti a rischio più elevato

ricercatori-2Napoli, 10 marzo 2017 – Ogni anno in Europa si registrano 4 milioni di decessi per malattie cardiovascolari che riguardano le donne nel 55% dei casi. Considerando la sola Unione Europea, i decessi per queste patologie ammontano a 1,8 milioni l’anno e la spesa relativa alle malattie cardiovascolari si attesta sui 210 miliardi di euro, di cui il 53% generata dalla gestione clinica. Gli studi di intervento hanno dimostrato che se fosse possibile eliminare tutti i fattori di rischio, si riuscirebbe ad abbattere dell’80% gli eventi cardiovascolari.

Il colesterolo degli italiani
Dalla fine degli anni ’90 ad oggi il valore medio del colesterolo degli italiani è aumentato in maniera significativa sia negli uomini (dal 205 a 211 mg/dl) che nelle donne (da 207 a 217 mg/dl), secondo i dati dell’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare (Oec)/Health Examination Survey (Hes). Stessa cosa per la prevalenza dell’ipercolesterolemia, passata dal 20,8 al 34,3 per cento negli uomini e dal 24 al 36,6 per cento nelle donne. Gli uomini si curano meglio delle donne: quelli che raggiungono l’obiettivo con il trattamento sono aumentati dal 13,5 al 24 per cento del totale, mentre le donne ‘a target’ sono cresciute dal 9,6 per cento al 17,2 per cento del totale.

Quando cominciare a misurare il colesterolo (e quando fermarsi)
Non esistono criteri condivisi né su quando iniziare lo screening per le dislipidemie, né su ogni quanto ripetere gli esami, né a quale età smettere di misurare il colesterolo. Il medico dovrebbe regolarsi sulla base del profilo di rischio individuale del paziente, ma è comunque raccomandabile fare un primo screening negli uomini intorno ai 40 anni e nelle donne intorno ai 50 o in post-menopausa, come suggerito anche dalle linee guida Esc. Questa valutazione andrebbe tuttavia anticipata (intorno ai 35 anni nei maschi e a 45 anni nelle femmine) nei soggetti con familiarità per ipercolesterolemia e/o eventi cardiovascolari in età giovanile e in pazienti diabetici e con arteriopatia periferica, a prescindere dall’età.

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Prof. Massimo Volpe

“Il forte impatto patogenetico di un livello elevato di colesterolemia totale ed il basso costo del test potrebbero suggerire comunque il dosaggio in occasione di un prelievo di routine, in un’ottica di medicina di popolazione o del territorio con ruolo ‘opportunistico’ e funzione ‘anticipatoria’ – sottolinea il prof. Massimo Volpe, presidente eletto della Siprec – attualmente in Italia non è previsto il dosaggio gratuito dei valori di C-Ldl per diversi gruppi di pazienti affetti da dislipidemia. Attraverso questo documento, auspichiamo non soltanto che il dosaggio diretto delle Ldl diventi parte integrante della valutazione del rischio cardiovascolare, soprattutto nei soggetti con rischio cardiovascolare intermedio, elevato o molto elevato, e della buona pratica clinica, ma anche che il Servizio Sanitario Nazionale si faccia carico del costo dell’esame almeno nei soggetti a rischio più elevato”.

Come, quando e soprattutto su chi intervenire con i farmaci?
Solo sui soggetti ad alto rischio, o anche in quelli a rischio intermedio o addirittura basso? La sensibilizzazione riguardo la correzione degli stili di vita deve essere offerta a tutti fin da giovanissimi e in questo la medicina del territorio riveste un’importanza strategica. Un ruolo centrale nelle strategie di prevenzione è ricoperto dalla gestione delle dislipidemie, alla quale la Siprec ha dedicato un apposito documento di consenso in collaborazione con la Fondazione Cuore. Il documento è ispirato alle recenti (2016) linee guida della Società Europea di Cardiologia ma le cala nelle specificità e peculiarità del nostro Paese.

Ridurre il colesterolo Ldl è il mantra della prevenzione cardiovascolare
Una riduzione di 40 mg/dl di colesterolo Ldl si associa ad un abbattimento del 20-25 per cento delle morti per cause cardiovascolari e di infarto miocardico non fatale, come dimostrato dai tanti studi di intervento degli ultimi 15-20 anni. Il colesterolo ‘cattivo’ è infatti il nemico numero uno delle coronarie e questo ne fa il bersaglio ideale della terapia e delle strategie di prevenzione. La decisione se iniziare o meno una terapia per abbassare il colesterolo Ldl, si basa sul livello di rischio di mortalità per eventi cardiovascolari e aterotrombotici a 10 anni, in Europa affidato al sistema SCORE. In caso di rischio elevato (≥5 per cento ≤10 per cento) o molto elevato (≥ 10 per cento) la terapia andrebbe iniziata subito; nei soggetti a rischio moderato (≥1% per cento ≤5 per cento) è ragionevole dare consigli sullo stile di vita e solo dopo, se utile, iniziare una terapia farmacologica.

“Molti degli eventi ischemici cardiovascolari e cerebrovascolari colpiscono non solo soggetti a rischio elevato, ma anche a rischio medio e talvolta basso – riporta Roberto Volpe, ricercatore del Cnr di Roma, coautore del documento – Anzi, i dati italiani del ‘Progetto Cuore’ ci dimostrano che oltre l’80 per cento degli eventi si verificano proprio in soggetti con un rischio a 10 anni inferiore al 20 per cento, vale a dire un rischio considerato medio-basso”.

Ipercolesterolemia familiare
E’ una malattia legata alla mutazione di singoli geni che codificano per il recettore delle Ldl (nel 90 per cento dei casi) o per alcune proteine coinvolte nella sua attività o nel suo ‘riciclo’ sulla superficie cellulare (ad esempio a proteina PCSK9). L’incidenza della forma eterozigote è di 1 su 500 individui, quella omozigote, molto più grave e più rara, ha un’incidenza di un caso su un milione. Nelle forme omozigoti l’attività del recettore per le Ldl è quasi del tutto compromessa e le concentrazioni di Ldl possono arrivare a 500-1200 mg/dl; questa condizione può dare danni cardiovascolari molto precocemente e portare a morte anche prima dei 20 anni, se non trattata. Nelle forme eterozigoti, l’attività del recettore è dimezzata e le concentrazioni di Ldl variano tra i 200 e i 350 mg/dl. Anche questi pazienti, se non trattati possono presentare cardiopatia ischemica prima dei 55 anni (i maschi) o dei 60 anni (femmine).

Per la diagnosi clinica si utilizza lo score del Dutch Lipid Clinic Network (Dlcn): valori maggiori di 8 rendono la diagnosi di ipercolesterolemia certa; probabile tra 6 e 8, possibile tra 3 e 5, improbabile tra 0 e 2. Lo screening delle Ldl, come anche lo screening genetico (se una mutazione viene individuata) andrebbe esteso a tutti i familiari per paziente con ipercolesterolemia familiare. La terapia ipolipemizzante dovrebbe essere iniziata subito al momento della diagnosi sia negli adulti che nei bambini dagli 8-10 anni in su e proseguita in cronico. Gli esperti raccomandano di iniziare con una statina ad elevata potenza al massimo dosaggio tollerato (es. atorvastatina 80 mg o rosuvastatina 40 mg); se non si raggiunge il target terapeutico andranno associati alla statina altri farmaci (ezetimibe, resine o fibrati). Nei soggetti con livelli di Ldl elevatissimi e con precedenti cardiovascolari, si può ricorrere all’aferesi, un trattamento che rimuove dal sangue le Ldl, riducendone i livelli del 50-75 per cento. Un’alternativa resasi di recente disponibile è la nuova classe degli inibitori di PCSK9.

Terapia anti-colesterolo in diversi contesti clinici

  • Prevenzione secondaria. Le statine in prevenzione secondaria sono indicate nei soggetti con meno di 75 anni con storia di infarto, angina, arteriopatia periferica, ictus, rivascolarizzazioni.
  • Arteriopatia periferica. Le statine rallentano la progressione della malattia sia a livello degli arti inferiori che dei vasi del collo (carotidi).
  • Ictus. in prevenzione primaria le statine riducono il rischio di ictus e attacchi ischemici transitori. In prevenzione secondaria riducono il rischio di un nuovo ictus.
  • Insufficienza renale cronica. Rappresenta un importante fattore di rischio cardiovascolare, che impone la riduzione dei livelli di Ldl.
  • Diabete di tipo 2. Questi pazienti presentano un rischio cardiovascolare doppio rispetto alla popolazione generale e spesso presentano un alterato profilo lipidico caratterizzato da bassi livelli di Hdl, elevati livelli di trigliceride di Ldl piccole e dense (la ‘triade aterogena’). In questi pazienti si impone un intervento terapeutico precoce con statine ad elevata potenza, per raggiungere l’obiettivo di un Ldl < 70 mg/dl.

Abbassare il colesterolo: gli obiettivi del trattamento
L’obiettivo da raggiungere con la terapia ipolipemizzante dipendere dal profilo di rischio del singolo paziente che dipendere dall’eventuale presenza di più fattori di rischio, ma anche di fattori protettivi.

  • Pazienti a rischio cardiovascolare molto elevato: indicata una riduzione del colesterolo Ldl al di sotto dei 70 mg/dl o almeno dei 50 per cento rispetto ai valori iniziali.
  • Pazienti a rischio cardiovascolare elevato: obiettivo Ldl < 100 mg/dl.
  • Pazienti a rischio cardiovascolare moderato: obiettivo Ldl < 115 mg/dl.

Il beneficio sulla riduzione del rischio si ottiene dopo circa 3-5 anni di terapia; per questo la terapia con statine in prevenzione primaria, oltre i 75 anni è raccomandata solo se l’aspettativa di vita sia almeno di 3 anni ed il rischio cardiovascolare sia superiore a quello di eventi avversi (12-20 per cento nei pazienti più anziani).

I farmaci per abbassare il colesterolo ‘cattivo’
Statine. Riducono la sintesi epatica di colesterolo; la percentuale di riduzione delle Ldl è dose dipendente e varia a seconda del tipo di statine, ma vi è grande variabilità da un individuo all’altro. Lo studio del Cholesterol Treatment Trialists (Ctt) ha dimostrato che una riduzione di 40 mg/dl di Ldl corrisponde ad una riduzione del 10 per cento di mortalità per tutte le cause, del 20 per cento di mortalità per cause cardiovascolari, del 23 per cento del rischio di eventi coronarici maggiori e del 17 per cento di ictus.

Le statine possono dare effetti indesiderati:

  • Miopatie (problemi muscolari). Il 5-10 per cento dei pazienti (soprattutto anziani, donne, con insufficienza renale) in trattamento presenta mialgie (dolori e debolezza muscolare); un evento invece raro è la rabdomiolisi. Se i livelli di Cpk (enzima muscolare) aumentano di 5 volte rispetto ai valori normali, il trattamento va interrotto. Anche in presenza di importanti dolori muscolari la terapia va almeno temporaneamente interrotta.
  • Aumento delle transaminasi (enzimi epatici). Se dopo 8 settimane dall’inizio di terapia con statine i livelli di Got e Gpt (Ast e Alt) risultano superiori di 3 volte rispetto ai valori normali, il trattamento va interrotto.
  • Interazioni farmacologiche. La terapia con statine è continuativa. Bisogna far attenzione all’assunzione di altri farmaci che possano dare interferenze farmacologiche.

Ezetimibe. Blocca l’assorbimento intestinale di colesterolo. Gli studi hanno dimostrato che, in associazione alle statine, riduce il rischio cardiovascolare.

Fibrati. Questi farmaci regolano l’espressione di geni coinvolti nel metabolismo dei lipidi e delle lipoproteine. Riducono i livelli plasmatici di trigliceridi e possono aumentare quelli di Hdl (colesterolo ‘buono’). Sono in genere ben tollerati ma possono dare disturbi gastrointestinali (5 per cento) ed eruzioni cutanee (2 per cento). Anche questi farmaci possono dare miopatia e aumento delle transaminasi; bisogna dunque fare attenzione ad associarli alle statine.

Omega-3. Riducono la sintesi epatica di Vldl (lipoproteine ricche di trigliceridi); vengono somministrate dunque nei soggetti con trigliceridi elevati. Attenzione nei soggetti in terapia anticoagulante perché possono aumentare il rischio di sanguinamento.

Resine. Sequestrano gli acidi biliari nell’intestino tenue e ne impediscono così il riassorbimento; questo provoca per una serie di passaggi la riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo. Danno effetti indesiderati gastrointestinali (nausea, stipsi, dispepsia) e possono ridurre l’assorbimento di vari farmaci.

Nutraceutici ipolipemizzanti (fibre, i fitosteroli, la monacolina k del riso rosso fermentato e lamorus alba). Possono ridurre i livelli di colesterolo (10-20 per cento) ma non vi sono studi che dimostrano un loro effetto sulla riduzione del rischio cardiovascolare. Per questo non possono essere utilizzati come sostituti dei farmaci nei soggetti a rischio medio-alto.

I nuovi farmaci
Inibitori di PCSK9 (evolocumab e alirocumab). Sono farmaci, somministrati una o due volte al mese per iniezione sottocutanea, che inibendo la funzione della proteina PCSK9, consentono ai recettori delle Ldl di essere più volte ‘riciclati’ sulla superficie cellulare, dove ‘catturano’ e rimuovono dal sangue le Ldl circolanti. Questi nuovi farmaci producono una riduzione drammatica dei livelli di LDL (fino a -75 per cento) e aumentano le concentrazioni delle Hdl. Sono indicati nei pazienti con ipercolesterolemia primaria (comprese le forme familiari eterozigoti ed omozigoti), in aggiunta al trattamento con statine o altri farmaci ipolipemizzanti o da soli, nei soggetti intolleranti alle statine. Evolocumab è approvato dall’AIFA in regime di rimborsabilità.

fonte: ufficio stampa

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