Roma, 25 novembre 2022 – È uno dei tumori più rari, ma anche uno dei più aggressivi, che necessita dunque di una presa in carico decisa, multidisciplinare ed ‘esperta’ per accedere ai migliori trattamenti, con l’obiettivo di aumentare la sopravvivenza che, per il colangiocarcinoma, a 5 anni è in media del 17% per gli uomini e del 15% per le donne (ma sale al 50% in chi riceve una diagnosi precoce).
E proprio per rendere più tempestiva ed efficiente la presa in carico di questi pazienti, la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS ha messo a punto un percorso clinico-assistenziale a loro dedicato, coordinato dal prof. Felice Giuliante, Direttore UOC Chirurgia Generale ed epato-biliare, e dal prof. Francesco Ardito, Direttore UOS Chirurgia mininvasiva epato-biliare.
La presentazione del percorso, avvenuta ieri al Policlinico Gemelli nel corso del convegno “Colangiocarcinoma: lo stato dell’arte del trattamento e il percorso clinico-assistenziale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS”, è stata preceduta dalla lettura magistrale del prof. Richard D. Schulick, direttore del Cancer Center dell’Università del Colorado (Usa).
Di questo tumore che colpisce le vie biliari, si distinguono due varietà principali, quella a carico delle vie biliari all’interno del fegato e quella che interessa le vie biliari extraepatiche (distinta a sua volta in perilare e distale); varietà anatomiche che definiscono in realtà una famiglia di tumori molto diversi sotto il profilo molecolare e che condizionano dunque scelte terapeutiche diverse.
Nella maggior parte dei casi il tumore non dà segni di sé per lungo tempo e questo rende molto difficile una diagnosi precoce. In un caso su 4 ancora oggi, il colangiocarcinoma intra-epatico viene diagnosticato ‘per caso’, cioè in occasione di esami fatti per altre patologie; per le forme extra-epatiche spesso il campanello d’allarme è dato dalla comparsa di ittero.
Tra i fattori di rischio delle forme intraepatiche vengono indicati le malattie delle vie biliari (colangiti sclerosanti, calcoli intraepatici, dilatazione congenita delle vie biliari). Sindrome metabolica, malattie croniche del fegato, fumo e abuso di alcol possono contribuire ad aumentarne il rischio di comparsa.
“La scarsità di sintomi in fase iniziale e la mancanza di fattori di rischio ‘certi’ – ricorda il prof. Felice Giuliante, Direttore dell’Unità di Chirurgia Epatobiliare della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Chirurgia Generale all’Università Cattolica, campus di Roma – spiegano perché nel 70% dei casi il colangiocarcinoma viene diagnosticato in fase avanzata e perché è dunque così difficile curarlo. Solo 1 paziente su 5 riesce ad accedere all’intervento chirurgico, che per molti rappresenta un trattamento risolutivo. Ecco perché, anche in un centro ad alto volume come la Chirurgia epato-biliare del Policlinico Gemelli, a fronte di oltre 3.300 resezioni epatiche eseguite (2 mila delle quali solo negli ultimi 10 anni), solo il 15% riguarda i colangiocarcinomi”.
Per chi non può essere sottoposto all’intervento, il trattamento prevede la chemioterapia ‘tradizionale’ (spesso proposta anche ai pazienti dopo l’intervento) e/o il trattamento radioterapico. Ma ci sono delle importanti novità sul fronte del trattamento.
“Nel 10% circa dei colangiocarcinomi intraepatici – ricorda il prof. Giampaolo Tortora, direttore del Comprehensive Cancer Center di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Ordinario di Oncologia all’Università Cattolica – è presente un’alterazione del gene del recettore del fattore di crescita dei fibroblasti (fusioni o riarrangiamenti di FGFR2); queste alterazioni hanno portato alla messa a punto di una terapia a bersaglio molecolare specifica, il pemigatinib, disponibile da qualche mese, come terapia di seconda linea, anche per i pazienti italiani; si tratta di una terapia innovativa, che può avere un impatto importante sulla sopravvivenza”.
Ma per poter accedere a queste terapie innovative e alle cure più efficaci è importante affidarsi a un centro di riferimento di grande esperienza e che disponga oltre che di un’équipe multidisciplinare, anche della possibilità di effettuare una profilazione molecolare completa. “La stessa European Society for Medical Oncology (ESMO) – ricorda il prof. Tortora – raccomanda a questo proposito l’uso di routine del test NGS (next generation sequencing) multigenico per rilevare alterazioni genomiche nel tessuto tumorale (mutazioni IDH1, fusioni FGFR2, fusioni NTRK e MSI-H) nel colangiocarcinoma avanzato, anche in previsione del prossimo arrivo di nuove terapie contro altri bersagli molecolari”.
“La complessità di questa patologia e la molteplicità di processi da attuare in ogni fase assistenziale – commenta il prof. Antonio Giulio De Belvis, direttore UOC Percorsi e Valutazione Outcome Clinici di Policlinico Gemelli – impone una gestione multidisciplinare del paziente da parte di un team multidisciplinare: chirurgo epato-biliare, oncologo, radioterapista, endoscopista/gastroenterologo, radiologo, nutrizionista, Psicologo, personale tecnico infermieristico. Il percorso colangiocarcinoma del Gemelli offrendo al paziente un’unica porta d’accesso, ne garantisce una presa in carico appropriata e tempestiva, indirizzandolo verso una valutazione multidisciplinare”.
In Italia, nel 2020 sono stati diagnosticati 5.400 nuovi casi di colangiocarcinoma, facendo segnare un aumento del 14% rispetto al 2015.