Dott.ssa Romina Fasciani, Unità operativa complessa di Oculistica della Fondazione Policlinico universitario IRCCS Agostino Gemelli di Roma e membro del consiglio direttivo di AIMO: “Chi ne è affetto deve spesso necessariamente ricorrere all’uso di lenti a contatto rigide oppure ad occhiali, ma nei casi più gravi si è costretti a sottoporsi ad un trapianto di cornea per tornare a vedere in maniera efficace”
Roma, 17 ottobre 2020 – È una patologia degenerativa dell’occhio che si manifesta tipicamente nell’adolescenza e progredisce fino ai 35-40 anni. Ogni anno in Italia circa mille ragazzi si sottopongono ad un intervento per il cheratocono, malattia ereditaria e genetica conseguente ad una minore rigidità strutturale della cornea, che consiste in un progressivo sfiancamento del tessuto che si assottiglia e si deforma assumendo la forma assimilabile ad un cono e compromettendo la vista. In genere colpisce entrambi gli occhi, anche se spesso in misura diversa.
Con il progredire della malattia la visione diventa progressivamente più sfocata e non sempre è migliorabile con gli occhiali, mentre negli stadi più avanzati spesso è necessario ricorrere ad un intervento chirurgico perché il deficit visivo è fortemente invalidante e difficilmente correggibile con le lenti a contatto. Si stima che ne sia affetto 1 abitante ogni 1.500, per questo è considerato una malattia rara, ma i casi di alterazioni riconducibili al cheratocono sono almeno il doppio.
Si è parlato anche di questo a Roma in occasione dell’XI Congresso nazionale dell’Associazione Italiana dei Medici Oculisti, in programma fino a domani presso l’Hotel NH Collection Roma Vittorio Veneto (in Corso d’Italia, 1), durante una sessione dal titolo “Cosa c’è di nuovo sul cross-linking?”. Responsabile del corso, la dottoressa Romina Fasciani, dell’Unità operativa complessa di Oculistica della Fondazione Policlinico universitario IRCCS Agostino Gemelli di Roma e membro del consiglio direttivo di AIMO.
“Il cheratocono è una patologia degenerativa della cornea che si manifesta prevalentemente nei giovani, ma può colpire anche i bambini – ha spiegato la dottoressa Fasciani – L’età media di insorgenza è intorno ai 15/16 anni e la malattia evolve fino ai 35-40 anni, quando per fortuna si arresta perché la cornea va incontro ad un cross-linking fisiologico legato all’invecchiamento del tessuto. Ma i ragazzi nel frattempo vivono un vero e proprio dramma legato a questa patologia, perché ad essere inficiata è tutta la loro vita adolescenziale. Chi ne è affetto deve spesso necessariamente ricorrere all’uso di lenti a contatto rigide oppure ad occhiali, ma nei casi più gravi si è costretti a sottoporsi ad un trapianto di cornea per tornare a vedere in maniera efficace”.
Per fortuna, però, il trapianto è considerato dagli esperti l’ultima spiaggia ed esistono altre modalità di approccio “che vanno appunto dalle lenti a contatto all’utilizzo di occhiali, oppure alcuni interventi meno invasivi come quello dell’impianto di segmenti intracorneali – ha spiegato Fasciani – che consiste nell’inserimento di anelli capaci di regolarizzare la cornea, permettendo così ai ragazzi di vedere meglio”.
Grazie all’introduzione (ad inizio degli anni Duemila) della procedura di cross-linking corneale, oggi si riesce ad impedire che il cheratocono evolva in maniera tale da rendere complessa la ‘vita visiva’, ma anche di normale relazione e scolarizzazione, di questi ragazzi e poi giovani adulti che ne sono colpiti.
“Se riusciamo ad intervenire presto, prima che le alterazioni legate alla patologia, che sono una deformazione o un assottigliamento della cornea (che genericamente è debole) – ha proseguito l’oculista del Gemelli – riusciamo ad evitare il progredire della malattia. Per cui è fondamentale fare una diagnosi precoce di questa patologia, che è definita ‘rara’ ma in realtà solo perché è sottodiagnosticata, nel senso che spesso nelle fasi iniziali solo alcuni esami strumentali (come la topografia corneale o meglio ancora la tomografia corneale) riescono a permettere di fare la diagnosi. Se questi ragazzi vengono sottoposti ad un trattamento molto semplice e poco invasivo si riesce a bloccare l’evoluzione della malattia. La patologia purtroppo non migliora, ma si riesce a far conservare ai più giovani una migliore qualità visiva. Insomma: prima si interviene e meglio è”.
Negli anni, intanto, le procedure di cross-linking si sono evolute e sono “migliorate moltissimo – ha aggiunto la dottoressa Fasciani – e proseguono ancora le evoluzioni per rendere il cross-linking sempre più rapido. All’inizio l’intervento durava circa un’ora, mentre ora le attuali procedure sono diventate molto più rapide e snelle. Allo stesso tempo si cerca di capire meglio come migliorare e potenziare questa reazione, come renderla più standardizzabile ed effettuabile, magari anche in condizioni in cui la procedura originariamente non era applicabile. Tempo fa, per esempio, cornee molto sottili non potevano essere trattate, adesso invece si stanno affacciando nuovi normogrammi sia per la diagnosi precoce del cheratocono sia per il trattamento del cross-linking”, ha concluso.