a cura della dott.ssa Sabina Rubini, biologa ed esperta di sicurezza alimentare e tutela della salute
23 luglio 2016 – Da fine luglio cambiano le etichette dei cibi ‘gluten free’. Pasta, pizza, pane, biscotti e alimenti per celiaci ormai dovranno riportare in etichetta diciture quali ‘adatto alle persone intolleranti al glutine’ oppure ‘adatto ai celiaci’, che però non potranno assolutamente essere inserite come singola informazione, ma solo e soltanto in presenza della indicazione ‘senza glutine’ o ‘gluten free’.
Cosa cambia dunque concretamente nei confronti dei cittadini e nei prodotti in vendita negli scaffali dei supermercati? Le novità introdotte i 20 luglio 2016 dal regolamento (CE) n. 41/2009 garantiscono una maggiore trasparenza a vantaggio del consumatore, il quale invece potrà distinguere un alimento che sia espressamente prodotto, preparato e/o lavorato, al fine di ridurre il tenore di glutine di uno o più ingredienti contenenti il glutine stesso, oppure un prodotto al cui interno siano stati sostituiti gli ingredienti contenenti glutine, con altri che ne sono naturalmente privi, mediante le diciture impresse su di esso del tipo ‘specificamente formulato per celiaci’ oppure ‘specificamente formulato per persone intolleranti al glutine’.
Un alimento contenente ingredienti naturalmente privi di glutine infine, specifica la legislazione, dovrebbe poter recare un’etichetta indicante l’assenza di glutine, in conformità alle disposizioni del regolamento su citato, purché però siano sempre rispettate le condizioni generali sulle pratiche leali di informazione (così come indicate nell’art.7 del regolamento (UE) n. 1169/2011). Come del resto, cosa più importante, le informazioni sugli alimenti non dovrebbero mai indurre in errore il consumatore, suggerendo ad esempio che l’alimento possieda caratteristiche particolari quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedano le stesse caratteristiche, inducendolo in questo modo ad un acquisto che non gli garantisca la giusta trasparenza.
Dove si trova il glutine?
In tutte le varietà di frumento. Non solo il grano tenero e duro quindi, ma anche il Kamut (grano khorasan), l’orzo, la segale, il farro, lo spelto, il triticale e naturalmente tutti gli alimenti che si ottengono dalla lavorazione con farine da essi ricavate. Bisogna inoltre includere il malto d’orzo e le birre (sempre che queste ultime non abbiano l’indicazione senza glutine), il cous cous (semola di grano duro), il burgul (grano cotto in acqua e poi frantumato), il semolino, il farro e l’emmer (una sua varietà). A questi si aggiungono ovviamente la pasta, il pane ed i prodotti ad esso affini (pan grattato, pan carrè, focacce, piadine, crackers, simili), alimenti fritti ricoperti con pastella o altre impanature, cibi trasformati in cui spesso le farine ed il glutine vengano usati come additivi (minestre, salse, sughi), i popcorn, le tortillas, e una delle eccellenze del made in Italy, la pizza.
Si potrebbe eliminare dai prodotti? E ciò sarebbe utile o sbagliato?
Dipende! Dal punto di vista nutrizionale il glutine è di scarso valore per l’alimentazione umana, però risulta un buon emulsionante per i prodotti tanto da “veicolare” le sostanze aromatiche nei cibi e questo è certamente un aspetto da non sottovalutare. L’importanza del glutine inoltre è legata al fatto che è una delle pochissime sostanze capaci di rendere gli impasti elastici e viscosi (caratteristica di vitale importanza nel processo di produzione del pane), tanto da conferirgli la leggerezza e la generazione al suo interno delle tipiche bolle d’aria, che senza di esso sarebbe difficile riuscire ad ottenere.
I prodotti per celiaci al contrario difficilmente in alcune tipologie riescono ad emulare totalmente i prodotti convenzionali, per fragranza, consistenza o gusto. Proprio per questo le imprese alimentari nel cercare di offrire sempre più prodotti con caratteristiche che soddisfino l’acquirente, risultano costrette ad impiegare additivi (anche sintetici), emulsionanti, aggreganti e quant’altro che possano migliorare l’efficienza dei processi produttivi oltre che la palatabilità dei prodotti.
Nel caso dei soggetti celiaci infine l’eliminazione del glutine negli alimenti o la sua presenza con valore (tollerabile per il celiaco) inferiore a 20 mg/Kg (o ppm) è condizione necessaria, come indicato dalla normativa vigente europea (valore che ad esempio risulta più restrittivo nel Nord America dove la Gluten-Free Certification Organization-GFCO, certifica soltanto alimenti che contengono valori di glutine inferiori ai 10 ppm).
Quanti sono i celiaci riscontrati in Italia? E quanto è la produzione di tali alimenti?
La stima della prevalenza di questa malattia si attesta intorno all’1% se si considerano tutti i Paesi Europei, gli Stati Uniti e i Paesi non Occidentali, ma la malattia si sta sviluppando anche in Paesi dell’Africa del Nord, dell’America Centrale, nel Medio Oriente, India ed in alcune regioni della Cina.
Secondo la relazione annuale presentata dal Ministero della Salute (anno 2015), in Italia il numero teorico dei celiaci si aggira attorno a 600.000 contro i 172.197 ad oggi effettivamente diagnosticati (dati al 31.12.2014), quasi 8.000 in più rispetto al 2013 e 23.500 in più rispetto al 2012. Il dato fornito inoltre indica che le regioni che ospitano più soggetti celiaci sono: la Lombardia (30.541), il Lazio (17.355) e la Campania (15.509) e come dato generale sono colpite più le donne (121.964) che gli uomini (50.233) con un rapporto medio maschio:femmina di 1:2 che in alcune regioni arriva fino a 1:3.
Altro dato da non sottovalutare riguarda il fatto che negli ultimi tempi il consumo di prodotti gluten free da parte di soggetti non celiaci ha certamente portato ad un aumento della percentuale di produzione annua di tali alimenti (circa il 30% in più) per un valore economico di circa 101 milioni di euro, con il conseguente aumento di questi prodotti sullo scaffale dei supermercati e della GDO, oltre che, naturalmente a monte, un aumento delle aziende che producono questi prodotti che si sono accresciute (passando da un numero di 10 nel 1990 ad un numero di 123 nel 2014), rimarcando così il concetto che nonostante il mercato degli alimenti funzionali sia in crisi, l’unica fetta a non dar prova di cedimento è quello legato alle “intolleranze”.
Le banane: la cura dei celiaci per molti anni
In seguito alla somministrazione di una dieta a base di banane, carne, brodo e latte, elaborata nel 1924 dal pediatra Sidney Haas con la quale il medico curava i sintomi della celiachia, si ipotizzò che le banane contenessero enzimi in grado di aiutare la digestione nei soggetti colpiti dalla patologia. In realtà la buona riuscita della dieta non dipendeva tanto dagli alimenti ingeriti, quanto piuttosto da quelli non consumati, ossia i cereali. Ciò venne compreso però, solo nel 1944 quando a seguito di una carestia che rese impossibile reperire la farina, e quindi impossibile l’assunzione anche da parte di soggetti patologicamente compromessisi, si poté constatare che la celiachia era innescata da sostanze contenute nel frumento, che oggi sappiamo essere il glutine.
Il glutine può essere reintrodotto nella dieta dopo averlo eliminato per un periodo?
Nel caso di soggetti celiaci assolutamente no! Infatti, una volta che un individuo si è scoperto celiaco non ha altra alternativa che eliminare per tutta la vita dalla dieta la presenza del glutine.
Nel caso invece di soggetti ‘gluten sensivity’ essendo la causa da riportare alle molecole FODMAP diverse ricerche hanno dimostrato che la sospensione per un periodo di tempo, di alcuni alimenti tra cui i cereali contenenti glutine, dà certamente un miglioramento del quadro sintomatologico. Questi soggetti però, come dimostrato, non sono costretti né ad adottare una dieta priva di glutine, né a seguirla con rigorosità per tutta la vita (come invece accade per i celiaci), ma l’esclusione di alcune settimane (circa otto) sarà sufficiente a favorire la remissione dei sintomi.
fonte: ufficio stampa