Se ne parlerà oggi e domani presso il Centro Congressi Europa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma. La Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS è leader in Italia per l’utilizzo di HIPEC e PIPAC (oltre 500 pazienti trattati ogni anno), due trattamenti innovativi che portano la chemioterapia direttamente nella cavità peritoneale e sono indicati per la carcinosi da tumori di colon, stomaco, pancreas e ovaio, oltre che per i tumori primitivi del peritoneo (pseudo-mixoma e mesoteliomi)
Roma, 7 ottobre 2021 – È un incontro proiettato nel futuro del trattamento dei tumori metastatici del peritoneo e della pleura quello che porterà a Roma, oggi e domani, 7 e 8 ottobre, i maggiori esperti internazionali di settore per la seconda edizione del Congresso della International Society for the Study of Pleura and Peritoneum (ISSPP 2021).
L’edizione romana, ospitata presso il Centro Congressi Europa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma ha come presidenti il prof. Giovanni Scambia e il prof. Fabio Pacelli. Segretario scientifico del congresso, il dott. Andrea Di Giorgio, UOC Chirurgia del Peritoneo e del Retroperitoneo, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
Al centro dei lavori, le novità di trattamento per le metastasi pleuriche e peritoneali (la cosiddetta ‘carcinosi’ peritoneale) che complicano il decorso di tanti tumori. I principali esperti del campo faranno il punto sull’ormai consolidata procedura citoriduzione seguita da HIPEC (Hypertermic Intraperitoneal Chemotherapy o chemio-ipertermia intraperitoneale, un trattamento in due fasi che prevede la rimozione chirurgica dei noduli di carcinosi, seguita dalla somministrazione all’interno della cavità peritoneale di farmaci chemioterapici ad alta temperatura, per eliminare le restanti cellule tumorali) e sulla novità della PIPAC (chemioterapia ‘pressurizzata’, somministrata in laparoscopia), ancora sperimentale.
In Italia si ammalano di carcinosi peritoneale circa 25 mila persone l’anno. In passato non esisteva alcuna terapia per questa condizione, mentre oggi è possibile offrire a una parte di questi pazienti una speranza che per alcune forme tumorali è molto concreta.
“È il caso – spiega il prof. Fabio Pacelli, associato di Chirurgia Generale all’Università Cattolica e Direttore della UOC di Chirurgia del Peritoneo e del Retroperitoneo, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – della carcinosi peritoneale da tumori dell’appendice a basso grado, cioè degli pseudomixomi, tumori molto rari (1-2 casi per milione) ma a prognosi infausta se non trattati. L’intervento chirurgico abbinato alla chemio-ipertermia (terapia HIPEC) può portare ad una sopravvivenza del 90%; nel caso di altre forme di carcinosi derivanti da altri tumori (ad esempio del colon retto e dell’ovaio), questo trattamento consente di arrivare ad una sopravvivenza media a 5 anni del 40%”.
I prerequisiti per il successo del trattamento sono l’integrazione con la chemioterapia sistemica e quindi con l’oncologo medico, che è sempre il ‘regista’ del trattamento della carcinosi peritoneale; il paziente inoltre deve essere in condizioni tali da consentirgli di affrontare l’intervento chirurgico o tecniche alternative.
Nei casi in cui con la chirurgia si ottiene una citoriduzione completa (cioè l’asportazione di tutti i noduli tumorali), l’aggiunta dell’HIPEC consente di ‘sterilizzare’ il campo chirurgico portando la chemioterapia direttamente all’interno della cavità peritoneale, per agire su eventuali cellule residue; il trattamento viene effettuato ad alte temperature, per facilitare la penetrazione della chemioterapia (in genere vengono utilizzati farmaci come la mitomicina e i derivati del platino) nei tessuti.
“La PIPAC – prosegue il prof. Pacelli – è invece un trattamento innovativo, che si effettua in laparoscopia e che ci vede leader in Italia. Si tratta di una terapia di ‘consolidamento’ che affianca la chemioterapia sistemica. Nei pazienti con malattia più avanzata, quando non è possibile rimuovere chirurgicamente la carcinosi o se questa non risponde più ai chemioterapici o se per una tossicità da farmaci il paziente non riesce a seguire gli schemi di chemioterapia tradizionale, questo trattamento può essere d’aiuto”.
La PIPAC consiste nell’introduzione di chemioterapici all’interno della cavità peritoneale, in laparoscopia. Sfrutta la pressione dei gas (anidride carbonica) utilizzati in laparoscopia che ‘spingono’ il chemioterapico all’interno dei tessuti della cavità addominale. Il potere di penetrazione nei tessuti è di 3-4 mm e questo risulta molto efficace per i noduli di piccole dimensioni che spesso sono la componente principale della carcinosi. Il trattamento è ben tollerato e ripetibile: si effettua ogni 6-8 settimane, per almeno 3 cicli. Oltre allungare l’aspettativa di vita, la PIPAC ne migliora la qualità, essendo in grado ad esempio di controllare l’ascite in una buona percentuale di casi.
“A questo trattamento – commenta il prof. Pacelli – rispondono molto bene le carcinosi da tumore dello stomaco, da tumore bilio-pancreatico (la carcinosi da neoplasia del pancreas è spesso a piccoli noduli – cosiddetta ‘miliariforme’), da tumori del colon e dell’ovaio, anche platino-resistenti”.
Queste nuove procedure di trattamento trovano indicazione anche per i tumori dell’ovaio.
“Nel tumore dell’ovaio – ricorda il prof. Giovanni Scambia, Ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, Direttore della UOC di Ginecologia Oncologica e Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – la diffusione peritoneale della malattia riguarda oltre il 70% delle pazienti, già al momento della prima diagnosi di malattia. Dal 2018, grazie ai risultati dello studio condotto dal prof. Willemien van Driel e pubblicato sul New England Journal of Medicine, sappiamo che le pazienti con neoplasia ovarica trattate con chemioterapia neoadiuvante e sottoposte poi ad intervento chirurgico e HIPEC hanno un vantaggio statisticamente significativo, sia in termini di intervallo libero da malattia, che di sopravvivenza globale, rispetto alle pazienti che non hanno fatto HIPEC”.
“Sono al momento in corso ulteriori studi a conferma di questo dato, ma al Policlinico Gemelli abbiamo già adottato questa procedura alla ‘chirurgia di intervallo’ – spiega Scambia – Inoltre, come gruppo di ricerca, stiamo studiando l’impatto della HIPEC anche nella chirurgia up-front per pazienti con determinate caratteristiche molecolari, perché in questo setting clinico la metodica potrebbe essere ancora più vantaggiosa. Infine, per una malattia come il tumore ovarico che oggi, grazie a terapie biologiche mirate, è possibile cronicizzare, la PIPAC è promettente oggetto di studi clinici perché potrebbe fisicamente superare le resistenze biologiche ai trattamenti convenzionali già utilizzati per le pazienti”.
La PIPAC è insomma la nuova frontiera di trattamento della carcinosi peritoneale e la Fondazione Gemelli IRCCS è stata uno dei primissimi centri ad utilizzarla in Italia (è stata messa a punto in Germania appena 4 anni fa), oltre ad essere attualmente quello con la casistica maggiore.
Al Gemelli vengono effettuati ogni anno circa 100 trattamenti di citoriduzione (peritonectomie) seguiti da HIPEC per tumori gastro-intestinali o tumori primitivi (pseudomixomi e mesoteliomi) e oltre 400 l’anno per tumori ovarici. Per quanto riguarda la PIPAC al momento si effettuano circa 80-100 trattamenti l’anno; è un trattamento ancora sperimentale (non sono ancora disponibili i risultati degli studi di fase 3), che è stato inserito in un percorso approvato dalla Direzione Sanitaria. Una seduta di PIPAC dura 60-90 minuti. Il paziente sottoposto a PIPAC resta in ospedale mediamente 2 notti, quello sottoposto la peritonectomia seguita da HIPEC (un intervento che dura 6-8 ore), circa 8-10 giorni.
Le nuove frontiere di HIPEC e PIPAC
Il futuro della HIPEC riguarda la possibilità di utilizzare questa metodica in profilassi. “Siamo attualmente principal investigator di studi multicentrici italiani, prospettici randomizzati di fase 3 – rivela il prof. Pacelli – riguardanti pazienti con tumori dello stomaco e del colon, che si presentino al momento dell’intervento in fase avanzata, quindi ad elevato rischio di carcinosi. Gli studi prevedono il confronto tra pazienti sottoposti a chemio-ipertermia o nulla, subito dopo l’intervento chirurgico, quando ancora non c’è carcinosi. La novità nella novità in questo studio è che il tipo di HIPEC che stiamo utilizzando, per la prima volta al mondo è l’HIPEC-CO2 che utilizza la perfusione di chemioterapici riscaldati abbinati all’anidride carbonica, per aumentare il grado di penetrazione nei tessuti”.
“Sul fronte della PIPAC – prosegue il prof. Pacelli – stiamo valutando due nuovi ambiti. Il primo è la ‘conversion surgery’: abbiamo visto che una certa quota di pazienti inizialmente dichiarati inoperabili, possono esser portati all’intervento chirurgico (‘convertiti’) grazie al trattamento PIPAC, associato alla chemioterapia sistemica. Nel tumore dello stomaco questo consente di far arrivare all’intervento chirurgico il 6-10% di pazienti, in precedenza considerati inoperabili. È una forma di terapia neoadiuvante della carcinosi sincrona, cioè di quella presente dall’inizio insieme al tumore primitivo. L’altra frontiera della PIPAC è che verificheremo la possibilità di incrementarne l’efficacia attraverso l’uso dell’elettricità (ePIPAC)”.