Prof. Stefano Cascinu, Ordinario di Oncologia Medica Università Vita-Salute San Raffaele di Milano: “Siamo di fronte a un potenziale nuovo standard di cura per questi pazienti”. Al Congresso Europeo di Oncologia Medica presentati i risultati di uno studio italiano su 124 pazienti
Barcellona, 30 settembre 2019 – In cinque anni, in Italia, i nuovi casi di tumore del pancreas sono aumentati del 6%: erano 12.700 nel 2014, ne sono stimati 13.500 nel 2019. È una neoplasia in costante crescita e particolarmente aggressiva, che nel 40% dei casi viene diagnosticata in fase metastatica, trattata con chemioterapia come standard di cura. Invece, nel 30% dei pazienti, la malattia è individuata in fase localmente avanzata, senza metastasi e non operabile.
A oggi, tutte le opzioni di trattamento proposte per questi malati hanno prodotto risultati modesti e non soddisfacenti. Per la prima volta, uno studio italiano (GAP), presentato al congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO, European Society for Medical Oncology) in corso a Barcellona, indica la via da seguire, cioè il regime chemioterapico costituito dalla combinazione di nab-paclitaxel (paclitaxel legato all’albumina formulato in nanoparticelle) e gemcitabina (chemioterapia).
“Lo studio – spiega il prof. Stefano Cascinu, Ordinario di Oncologia Medica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano – confronta la combinazione con la sola chemioterapia a base di gemcitabina. La combinazione riduce il rischio di metastasi del 25%. È un dato importante, perché una parte di questi pazienti, in seguito, può essere trattata con la radioterapia che contribuisce al controllo generale della malattia. La combinazione, inoltre, aumenta il tasso di risposte obiettive che raggiunge il 28%, determinando una riduzione del tumore primitivo. E circa il 6% dei pazienti, che non era resecabile, può affrontare l’intervento chirurgico. Non solo. La combinazione aumenta il tempo alla progressione della malattia e migliora la sopravvivenza: la riduzione del rischio di morte è pari al 35%”.
Lo studio ha coinvolto 124 persone ed è stato condotto da GISCAD (Gruppo Italiano per lo Studio dei Carcinomi dell’Apparato Digerente) e dall’Istituto Nazionale Tumori Fondazione “Pascale” di Napoli. In particolare hanno svolto un ruolo di primo piano Francesco Perrone (Responsabile Struttura Complessa Sperimentazioni Cliniche del ‘Pascale’), Roberto Labianca (Presidente GISCAD) e Luciano Frontini (Segretario GISCAD).
“Alla luce dei risultati di questo studio, la combinazione nab-paclitaxel e gemcitabina potrebbe diventare lo standard di cura dei pazienti con carcinoma del pancreas avanzato non resecabile, che finora erano lasciati in una ‘terra di nessuno’ dal punto di vista delle indicazioni terapeutiche – continua il prof. Cascinu – Nab-paclitaxel presenta un meccanismo di trasporto innovativo che sfrutta le nanotecnologie. La molecola, grazie all’albumina, una proteina già presente nell’organismo umano, riesce a superare la barriera stromale del cancro arrivando fino alla radice del tumore: rallenta la proliferazione della malattia e, a volte, può fermarne la crescita”.
“Nonostante i progressi della terapia, risultati ancora più importanti possono derivare dalla prevenzione primaria (no al fumo, dieta corretta e attività fisica costante): gli stili di vita sani svolgono infatti un ruolo fondamentale – conclude il prof. Cascinu – Il fumo di sigaretta è il fattore di rischio in assoluto più associato alla probabilità di sviluppare un carcinoma pancreatico. I fumatori presentano un rischio di incidenza da doppio a triplo rispetto ai non tabagisti. In particolare alle sigarette è riconducibile il 20-30% delle diagnosi fra gli uomini e il 10% fra le donne. Anche l’obesità, la scarsa attività fisica, l’alto consumo di grassi saturi e la scarsa assunzione di verdure e frutta fresca sono correlati a un più alto rischio di sviluppare la malattia”.