Non più chemio ma terapie farmacologiche mirate per uccidere solo le cellule tumorali. La ricerca, guidata dal prof. Cristiano Simone e sostenuta da Fondazione AIRC, ha portato alla scoperta del ruolo del gene SMYD3 nelle neoplasie. Una volta sviluppati i farmaci inibitori, si potrà evitare la chemio nel 10-15% dei cancri al seno, colon, ovaio e pancreas
Castellana Grotte, 25 settembre 2020 – Aumenta in oncologia la possibilità di intervenire con terapie mirate a uccidere solo le cellule tumorali – evitando dunque le distruzioni a tappeto di cellule sane e malate indotte dalle chemioterapie – in vari casi di cancro. Ciò anche grazie alla scoperta dell’IRCCS de Bellis di Castellana Grotte: qui un progetto di ricerca guidato dal prof. Cristiano Simone e finanziato dalla Fondazione Airc ha individuato in laboratorio il ruolo chiave di un gene che produce una delle proteine ‘operaie’ addette alla riparazione del nostro DNA: si chiama SMYD3, era nota da una decina d’anni poiché rilevata in dosi massicce in vari tipi di tumore, ma non se ne conosceva ancora la funzione.
Dopo solo otto mesi di ricerca (il progetto è quinquennale), il lavoro del de Bellis – appena pubblicato sulla prestigiosa rivista iScience del gruppo Cell, prime autrici Paola Sanese e Candida Fasano – ha fatto luce sul suo funzionamento, dimostrando come, in alcuni casi, bloccando la proteina con farmaci inibitori le cellule tumorali non riescano ad a riparare il proprio DNA e muoiano.
Già, ma quali sono questi casi? Intanto, parliamo di fasce non indifferenti di tumore al seno (15% dei casi), colon (11%), ovaio (15%), pancreas (10%). Ma per capire cosa avviene nell’organismo di chi rientra in queste percentuali bisogna fare un passo indietro. E magari ricorrere all’accennata metafora ‘operaia’. Dunque, le nostre cellule possiedono delle squadre di manutenzione, che riparano eventuali danni nel DNA. Questo meccanismo serve a mantenere in salute le cellule sane, ma è utilizzato anche da quelle tumorali per difendersi dai danni inflitti dalla chemioterapia.
Le principali squadre operaie in realtà non sono le SMYD3 – che per le cellule rappresentano una sorta di piano B – ma hanno altri nomi (BRCA1/2 e PARP). Inquadra il tutto lo stesso prof. Simone: “La nostra scoperta amplia l’applicabilità del cosiddetto meccanismo di ‘letalità sintetica’, che sfruttando le differenze genetiche – mutazioni – fra cellule tumorali e cellule normali, permette di uccidere in maniera mirata solo quelle cancerose, risparmiando le sane. Un principio dunque con grandi potenzialità, finora utilizzabile però solo nella terapia del cancro dell’ovaio e del pancreas e solo in pazienti oncologici predisposti a causa di mutazioni dei geni BRCA1/2 (si può richiamare il caso di Angelina Jolie, con predisposizione anche al seno). Un difetto in questi ultimi geni, coinvolti nella riparazione del DNA, è associato allo sviluppo di tumori al seno o alle ovaie rispettivamente nel 5 e 15% dei casi. Utilizzando sostanze che inibiscono un particolare enzima chiamato PARP, addetto alla riparazione del DNA, la terapia basata sulla letalità sintetica va a colpire così solo le cellule difettose, quelle cioè in cui i geni BRCA1/2 risultano mutati: farmaci mirati dunque, non chemio. Ma non tutti i soggetti malati presentano questa mutazione. E ciò ha reso finora ridotte le possibilità di applicare la letalità sintetica”.
Qui interviene la scoperta: “Abbiamo dimostrato che bloccando la funzione della proteina oggetto della nostra ricerca, la SMYD3, si possono rendere sensibili agli inibitori di PARP anche cellule tumorali in soggetti con geni BRCA1/2 normalmente funzionanti, non mutati. Ciò perché abbiamo scoperto che SMYD3 è un partner fondamentale di queste proteine della riparazione, e inibendolo si blocca anche la loro funzione, ottenendo un effetto simile a quello di una mutazione genetica nel gene corrispondente. Grazie a un’analisi dei dati di circa 2.000 pazienti a livello mondiale, abbiamo identificato una percentuale di tumori (come detto: mammella, colon, ma anche in altri casi di ovaio e pancreas) che, non presentando deficit della riparazione del DNA, aumentano molto però la produzione di SMYD3, e dunque sono sensibili alla sua inibizione: questi, per i quali finora esisteva solo la chemioterapia, rappresentano il target terapeutico farmacologico”.
Tira le somme il direttore scientifico del de Bellis, Gianluigi Giannelli: “Il nostro obiettivo è sviluppare gli inibitori di SMYD3 in modo da ottenere farmaci potenti da testare in studi clinici controllati (trials), ai fini di questa nuova terapia farmacologica combinata (SMYD3+PARP). Da sottolineare – conclude – la collaborazione con l’NIH statunitense oltre che con altri gruppi Airc di Roma, Bologna e Milano, a sottolineare la portata internazionale e interdisciplinare della ricerca, tra l’altro adottata in ambito Airc anche dal prestigioso Top Donors, formato da grandi aziende internazionali”.