Mappate, mediante l’integrazione di tecniche avanzate di analisi di interferometria radar e sismica, le porzioni della struttura interna del supervulcano flegreo, attualmente più attive in termini di concentrazione degli sforzi, di dinamica del suolo ed emissione fumaroliche superficiali. A rivelarlo, uno studio condotto da Cnr, Ingv e Università Federico II di Napoli, pubblicato su Remote Sensing of Environment
Roma, 21 ottobre 2019 – Individuate le regioni interne più attive dei Campi Flegrei mediante l’integrazione di indagini geofisiche, della sismicità e delle deformazioni del suolo dell’area telerilevata. A mettere in luce le parti più attive del supervulcano flegreo, situato ad occidente dell’area urbana napoletana, uno studio condotto dall’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irea), dall’Osservatorio vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv-Ov) e dal Dipartimento di scienze della terra dell’ambiente e risorse dell’Università degli studi di Napoli Federico II, in collaborazione con INVOLCAN (Instituto Volcanológico de Canarias, Tenerife, Spagna) e Institute for Geosciences JGU (Johannes Gutenberg-Universität Mainz). La ricerca, ‘Volcanic structures investigation through SAR and seismic interferometric methods’, è stata pubblicata su Remote Sensing of Environment.
“L’integrazione di tecniche di analisi innovative dei dati satellitari e sismici – spiega il coordinatore scientifico Pietro Tizzani, ricercatore Cnr-Irea – ha permesso di mappare le porzioni della struttura interna del supervulcano flegreo attualmente più attive sia in termini di concentrazione degli sforzi, che di dinamica del suolo”.
In particolare, i risultati sono ottenuti dai dati radar satellitari in banda X della costellazione Cosmo-SkyMed dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), elaborati presso i laboratori del Cnr-Irea di Napoli insieme ai dati sismici acquisiti dalla rete di monitoraggio permanente dell’Ingv-Ov.
Inoltre, spiega Francesca Bianco, direttrice Ingv-Ov, le analisi integrate hanno evidenziato “come l’area a est della solfatara, in prossimità della regione fumarolica di Pisciarelli, rappresenti la porzione di caldera caratterizzata dai più alti tassi relativi di deformazioni del suolo, tra il 2011 ed il 2014, a cui corrisponderebbe, a una profondità tra gli 0.8 ed 1.2 km, una regione caratterizzata dalla massima concentrazione di sismicità registrata: tendenza che prosegue anche dopo il 2014”.
I risultati della tecnica di interferometria sismica impiegata nell’analisi, nota come Ambient Noise Tomography (ANT), hanno poi evidenziato in quest’area una porzione di crosta in cui si registra un significativo cambiamento nella velocità di propagazione delle onde sismiche, che testimonierebbe la presenza di corpi geologici con caratteristiche meccaniche diverse rispetto alla regione ad est di Pisciarelli.
Variazioni probabilmente legate a intensi fenomeni idrotermali estesi tra la superficie topografica e circa 1.5 km di profondità, che andrebbero a costituire strutturalmente il sistema di interconnessione della sorgente magmatica profonda con la superficie. Tale interpretazione è supportata anche dall’intensa attività fumarolica registrata tra la solfatara e la località Pisciarelli nel periodo 2011-2014.
“Lo sviluppo di nuove tecniche di analisi dei campi di potenziale nel contesto dei dati telerilevati di deformazione del suolo – sottolinea Maurizio Fedi, ordinario di geofisica applicata dell’Ateneo federiciano e coautore della ricerca – è un valore aggiunto prezioso per la caratterizzazione-individuazione delle strutture subvulcaniche e nello studio della dinamica superficiale dei vulcani. L’analisi dei lineamenti strutturali ottenuti da questi dati, integrata con quelli già desunti dai dati gravimetrici e magnetometrici, è molto significativa per le strutture a bassa velocità a circa 1 km di profondità”.
Queste metodologie di analisi aprono a nuovi e significativi percorsi nello studio dei segnali geodetici multipiattaforma.
“La ricerca – conclude Riccardo Lanari, direttore Cnr-Irea – rappresenta un esempio di come la collaborazione e l’integrazione multidisciplinare delle professionalità presenti nel contesto scientifico partenopeo delle scienze della terra, abbiano portato ad un avanzamento significativo della conoscenza della natura e del comportamento del vulcano flegreo e dello sviluppo tecnologico dei sistemi per il monitoraggio vulcanico, fondamentale sia per lo studio della loro struttura interna sia per il riconoscimento delle regioni dinamicamente più attive con relativa gestione del rischio”.