Scienziati dell’Università Cattolica, campus di Piacenza impegnati in progetti di ricerca internazionali per scoprire le basi genetiche dell’adattamento a calore e umidità. Una volta individuate, si possono trasferire nelle razze nostrane di bovini e ovini per renderle più forti di fronte al cambiamento climatico e scongiurare perdite economiche ingenti
Piacenza, 28 settembre 2022 – Ricercatori dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, a caccia di geni per rendere le razze di bovini e ovini del Bel Paese resistenti al cambiamento climatico, al caldo torrido e alla siccità: a rischio c’è la sopravvivenza stessa di molte razze locali e ingenti perdite economiche per la filiera produttiva, nonché l’arrivo di nuove malattie che possono colpire seriamente i bestiami.
Presso la Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali presieduta dal prof. Marco Trevisan, il Dipartimento di Scienze animali, della nutrizione e degli alimenti – DiANA, diretto dal prof. Francesco Masoero studia la genetica dell’adattamento. I genetisti, coordinati dal prof. Paolo Ajmone Marsan e che vede coinvolti il prof. Riccardo Negrini, la prof.ssa Licia Colli e un nutrito gruppo di giovani dottorandi e assegnisti, ha di recente pubblicato sulla rivista Animals una review proprio sul tema dell’adattamento degli allevamenti al cambiamento climatico.
“La perdita di produzione dovuta al caldo dipende dalle condizioni ambientali, valutate dall’indice temperatura/umidità (THI) – spiega il prof. Ajmone Marsan – Dipende dalla razza e dal management degli allevamenti, ma diversi lavori che si riferiscono quasi sempre alla Frisona emergono stime preoccupanti dell’ordine di milioni di euro per costi diretti (perdita di produzione) e indiretti (costo degli interventi veterinari, dei foraggi, etc.)”.
Il prof. Trevisan sottolinea che un lavoro pubblicato quest’anno su Lancet Planetary Health stima la perdita di produzione globale da stress da caldo in qualcosa come circa 40 miliardi di dollari l’anno entro fine secolo (da un minimo di 34 a un massimo di 45), pari a circa il 10% del valore di carni e latte del 2005.
“Lo stress da caldo è deleterio tutte le specie animali – spiega il prof. Negrini – ma lo è particolarmente per i ruminanti e le bovine da latte ad alta produzione, come anche le nostre razze. Nel rumine le fermentazioni microbiche permettono la trasformazione della cellulosa, non digeribile per l’uomo e gli animali monogastrici, in energia utile per l’animale e quindi in prodotti animali utili per l’uomo, ma questa trasformazione produce calore. Purtroppo – continua – le proiezioni sul clima indicano che nel nostro paese il clima estivo sarà sempre più secco e caldo. Questo aumenterà lo stress negli animali, nonostante ombreggiamento, ventilazione e aspersione di acqua ed eventuale condizionamento”.
“La genomica può aiutare a salvare gli allevamenti dai cambiamenti climatici – spiega il prof. Ajmone Marsan – Da alcuni anni i programmi di miglioramento genetico nazionali hanno cambiato gli obiettivi di selezione delle specie zootecniche, favorendo animali più robusti e funzionali e non solo molto produttivi.
La selezione tradizionale produce ottimi risultati ma in tempi lunghi, almeno 5 anni. La genomica, cioè lo studio dettagliato del DNA degli animali, ha quasi triplicato la velocità della selezione. Inoltre ha permesso di identificare ed utilizzare nella selezione le varianti migliori di geni coinvolti nei caratteri sotto selezione, rendendo quest’ultima sempre più efficace.
Attraverso la genomica sono state già individuate alcune varianti genetiche (mutazione) che aiutano gli animali che ne sono portatori nel proprio DNA ad adattarsi meglio a climi ostili. Ad esempio, in alcune razze bovine locali dei Caraibi (Senepol, Limoneiro e Carora) è stata scoperta la mutazione “slick” che determina accorciamento del pelo e una serie di cambiamenti fisiologici che rendono gli animali estremamente resistenti allo stress da caldo. La mutazione è stata introdotta nella razza Frisona in Florida ed ha dimostrato di essere efficace anche in questa razza, importantissima per la produzione di latte.
Un obiettivo potrebbe essere di inserire il gene negli allevamenti italiani ed utilizzarlo nei programmi di selezione.
Molti progetti di ricerca in corso stanno cercando altre varianti genetiche favorevoli associate all’adattamento all’ambiente in altre razze ed altre specie. Noi siamo attivamente coinvolti in alcuni di questi progetti”, sottolinea la prof.ssa Colli.
“Stiamo studiando le basi genetiche dell’adattamento nell’ambito di progetti nazionali ed internazionali – spiega – In particolare coordiniamo un progetto con acronimo SCALA-MEDI finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma PRIMA di Horizon 2020 che studia la genetica dell’adattamento in ovini e avicoli Nord Africani. Nel progetto sono coinvolti cinque paesi, Italia, Francia, Tunisia, Algeria e Marocco, 18 partner e più di cento ricercatori. L’obiettivo principale è lo studio e la valorizzazione della capacità di adattamento delle razze locali nordafricane a climi estremi, in particolare molto caldi e secchi, come quelli sahariani. La comprensione dei meccanismi genetici ed epigenetici di adattamento al clima è importante per pianificare programmi di miglioramento genetico e genomico che aumentino l’efficienza delle produzioni delle razze locali, senza comprometterne le caratteristiche adattative”.
“Speriamo in questo modo di dimostrare il valore anche economico delle razze studiate – sottolinea il prof. Negrini – e contribuire così alla loro conservazione sostenibile. I geni di adattamento sono conservati nelle razze locali, ma molte di queste sono in via di estinzione, sostituite da razze migliorate, più vantaggiose dal punto di vista economico, ma con scarsa capacità di adattamento. Deve esserci un equilibrio tra produzione efficiente con razze industriali, che permettono di sfamare il mondo in modo sostenibile, e conservazione della biodiversità zootecnica, riserva di geni utili”.
“La genomica permette oggi di aumentare l’efficienza delle razze locali, aumentandone la sostenibilità e al contempo studiarne il DNA per identificare geni per l’adattamento utili per le razze industriali”, precisa il prof. Ajmone Marsan.
“Un secondo progetto europeo appena terminato è IMAGE coordinato dall’INRA francese. Il progetto aveva come obiettivo primario la caratterizzazione e valorizzazione delle biobanche di DNA e di seme e ovociti animali delle specie zootecniche – racconta il prof. Ajmone Marsan. Il nostro gruppo è stato incaricato di identificare geni associati all’adattamento al clima negli ovini europei. Sono stati identificati diversi geni con varianti associate alle variabili ambientali (come temperatura, umidità, etc.) e attivi nel sistema immunitario e nel metabolismo, soprattutto nel metabolismo dei grassi”.
Un ultimo progetto da menzionare, finanziato dal MIUR nell’ambito dei progetti di interesse nazionale PRIN, è “A multi-species genomic approach to assess pre- and post-Columbian population dynamics in South America”, che studia in parallelo il genoma di uomo fagiolo e bovini del continente sud-americano. L’obiettivo principale è la ricostruzione delle vie di migrazione umana durante la colonizzazione paleolitica del continente.
Per questo motivo sono stati presi come riferimento il fagiolo, domesticato in Sud America e il cui DNA traccerà i movimenti umani post-neolitico e i bovini, importati principalmente dalla penisola iberica dopo la scoperta dell’America e il cui DNA traccerà i movimenti umani post-colombiani.
“Il campionamento continentale dei bovini ci permetterà di studiare anche in questo caso i geni dell’adattamento dei bovini lungo un gradiente climatico estremamente vario, dalla Patagonia ai tropici; dal livello del mare alle altitudini delle montagne peruviane”.
“La genomica è uno strumento potente e faciliterà la selezione di animali più resistenti ai cambiamenti climatici – conclude il prof. Erminio Trevisi, fisiologo animale – ma ricordiamo che è solo uno dei fattori in grado di garantire il benessere animale in caso di climi estremi e deve agire in sinergia con strutture aziendale, management dell’allevamento e alimentazione di precisione. La buona notizia è che gli animali in produzione sono sempre più monitorati da vicino da telecamere, sensori e sistemi di analisi dati intelligenti che avvertono gli allevatori non appena gli animali manifestano i primi segni di stress, permettendo la messa in atto immediata di misure di mitigazione”.