Roma, 5 giugno 2018 – Nel campo di Kutupalong in Bangladesh, Medici Senza Frontiere (MSF) ha aperto un nuovo reparto di maternità. In questo periodo, su dieci letti occupati, quattro accolgono donne Rohingya che hanno subito violenze sessuali. Nella struttura, costruita per resistere alla stagione delle piogge, ci sono stanze private per le neo-mamme che potranno essere assistite senza il rischio che qualcuno le identifichi o ascolti ciò che dicono.
Fuori dalla maternità, tre ostetriche di MSF, insieme a un’équipe di 50 volontarie Rohingya per lo più adolescenti, vanno di casa in casa per informare donne e ragazze della possibilità di ricevere assistenza medica e psicologica se hanno subito violenza sessuale. E c’è anche una linea telefonica dedicata creata da MSF per dare informazioni su dove rivolgersi per chiedere aiuto.
“Quando è iniziato l’afflusso di Rohingya, molte donne sono venute da noi dicendo: sono stata stuprata dai militari o da abitanti del Rakhine: cosa posso fare?” racconta Roksana, ostetrica di MSF. Nove mesi dopo il picco delle violenze, le sopravvissute continuano a farsi avanti. “Arrivano ancora ogni giorno. Capita che in un primo momento non vogliano condividere le loro storie e devo incoraggiarle a parlare. Offro loro un primo soccorso psicologico. Dico: non è colpa tua, non aver paura, siamo qui per aiutarti”.
A causa della stigmatizzazione associata alla violenza sessuale, le sopravvissute corrono il rischio di essere respinte dalla comunità se la loro esperienza diventa pubblica. Per la loro sicurezza, ricevono una parola d’ordine riservata e una scheda con un simbolo speciale per identificarsi con il personale di MSF. L’aiuto offerto comprende assistenza psicologica, assistenza medica e consultazioni presso agenzie specializzate se necessario.
Le organizzazioni che offrono servizi specializzati aiutano le donne incinte a causa di stupri a trovare un luogo sicuro dove trascorrere gli ultimi mesi prima di partorire nell’ospedale di MSF. Se la madre non è in grado o non è disposta a tenere il bambino, può anche aver bisogno di aiuto per trovare genitori adottivi. Altre scelgono di interrompere la gravidanza per disperazione, spesso in maniera poco sicura e mettendo a rischio la loro vita. I farmaci per indurre l’aborto sono facili da reperire nei campi, ma di solito senza istruzioni per l’uso.
“Utilizzati nel modo giusto, questi farmaci sono l’opzione più sicura” spiega Yvette Blanchette, responsabile delle attività ostetriche di MSF a Kutupalong. “Utilizzati nel modo sbagliato, comportano il rischio di considerevoli perdite di sangue e gravi infezioni. Abbiamo assistito a morti materne in seguito a pratiche di aborto non sicure”.
Quattro donne Rohingya su cinque partoriscono a casa. “Sembra più un pronto soccorso che una normale sala parto”
Al di là dei casi di stupro, nella clinica di MSF vengono ricoverate pazienti con emergenze mediche come eclampsia, emorragia post-parto, sepsi. Tra le donne Rohingya solo una minoranza sceglie l’ospedale, quattro su cinque partoriscono a casa, limitando il ricorso all’assistenza medica solo in caso di complicazioni. Ma casa, nella regione di Cox’s Bazar, è una capanna di bambù con un pavimento di terra e un tetto di cerata o politene sfilacciato, l’acqua deve essere estratta dalla pompa più vicina e le latrine comuni spesso traboccano. Di notte i campi non hanno luce e le strade ripide e strette sono scivolose. I ponti sono sospesi sopra paludi e ruscelli fangosi. Una corsa in ambulanza significa stare appollaiate su una sedia di plastica legata a due pali di bambù trasportati sulle spalle di due giovani.
“Le donne che presentano complicanze durante il travaglio, soprattutto di notte, di solito rimangono dove sono. Quando arrivano in ospedale spesso sono in condizioni davvero precarie” dichiara Yvette Blanchette di MSF. “I parti senza complicanze nell’ospedale di Kutupalong sono l’eccezione, più che la regola. Sembra più un pronto soccorso che una normale sala parto”.
Il nuovo centro di maternità di MSF, costruito con una struttura robusta di cemento, metallo e mattoni, è parte di un piano ambizioso per ricostruire un intero ospedale per rispondere alle esigenze mediche dei rifugiati e della comunità locale.
“Ci sono anche momenti preziosi. Come quando gestiamo un caso ostetrico complesso e la mattina arrivo in reparto e vedo la paziente seduta sul letto col sorriso sul viso. A volte, queste donne sono quasi irriconoscibili, sembrano così trasformate e piene di vita dopo essere rimaste in bilico tra la vita e la morte per ore o giorni. Questo rende la mia giornata davvero speciale” racconta Yvette Blanchette di MSF.
Nati con un futuro incerto
Dall’anno scorso, le nascite dei bambini Rohingya in Bangladesh non sono state registrate. I bambini Rohingya nati qui non avranno certificato di nascita, non avranno lo status di rifugiato e saranno senza cittadinanza. Non riceveranno un’istruzione formale e non avranno opportunità di impiego. Inoltre, la loro libertà di movimento finisce al posto di blocco appena a nord dei campi.