Roma, 14 luglio 2021 – Negli ultimi anni la comunità scientifica si è mostrata particolarmente attenta nell’individuare e definire possibili differenze di genere nelle persone con Disturbo dello Spettro Autistico. Questa necessità nasce primariamente dalla volontà di approfondire e descrivere una condizione che, di per sé, presenta una significativa e nota differenza di genere sia in termini di incidenza (il rapporto tra maschi e femmine nella popolazione con autismo è pari a 4,3:1) che di differenti caratteristiche cliniche, specialmente nell’area cognitiva e socio-relazionale.
Sempre più noto è, infatti, ad oggi il cosiddetto “fenotipo femminile” caratterizzato da migliore motivazione ed interesse sociale rispetto alla popolazione maschile e da difficoltà socio-relazionali più sfumate, tanto da rendere spesso difficile la diagnosi nel corso dei primi anni di vita, nelle persone di genere femminile. D’altro canto, è allo stesso modo nota una maggiore prevalenza di disabilità intellettiva nelle femmine con autismo, rispetto ai maschi.
Argomento di grande interesse dunque, è rappresentato non solo dalle differenze di genere nella presentazione clinica dei sintomi autistici ma anche dal potenziale impatto che alcuni aspetti sintomatologici, tipici dello spettro dell’autismo, possano avere sul funzionamento della persona.
In particolare, in riferimento ai comportamenti ristretti e ripetitivi, uno dei due grandi nuclei sintomatologici del Disturbo dello spettro autistico secondo il DSM-5, la ricerca scientifica ha ottenuto risultati contraddittori circa le differenze legate al genere. Infatti, ad oggi, non è chiaro come e quanto, i comportamenti ripetitivi possano influire sui vari contesti di vita dei bambini e bambine con autismo.
A tal proposito uno studio condotto dall’Unità Operativa Semplice Dipartimentale (UOSD) di Neuropsichiatria infantile di Tor Vergata, pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Children, ha cercato di descrivere, in un campione pediatrico di persone con autismo, eventuali differenze tra la popolazione maschile e femminile circa i comportamenti ristretti e ripetitivi, oltre a cercare di definire la loro relazione e possibile impatto sul funzionamento adattivo personale.
Nello studio sono stati arruolati 210 bambini con diagnosi di Disturbo dello spettro autistico di cui 145 maschi e 65 femmine; i partecipanti sono stati ulteriormente suddivisi in due gruppi in base alla fascia di età: 58 in età prescolare (0-5 anni) e 152 in età scolare ( > 6 anni ).
Tutti i bambini sono stati sottoposti ad una valutazione standardizzata del Quoziente intellettivo (QI), dei sintomi autistici – mediante il test ADOS-2 (Autism Diagnostic Observation Schedule-Second Edition) e dei comportamenti ristretti e ripetitivi mediante il questionario Repetitive Behaviors Scale – Revised (RBS- R) compilato dai genitori; è stata inoltre effettuata una valutazione delle autonomie personali – tramite il questionario compilato dai genitori ABAS-II (Adaptive Behavior Assessment System, Second Edition).
In particolare, il test ABAS-II indaga i principali domini del funzionamento di una persona: comunicazione, uso dell’ambiente, competenze prescolari/ scolari, comportamento a casa, salute e sicurezza, abilità di gioco, cura di sé, autocontrollo, abilità sociali e motricità.
I risultati dello studio non hanno mostrato differenze di genere significative circa la gravità dei comportamenti ripetitivi in entrambi i gruppi di età (prescolare e scolare). Tuttavia, nel gruppo dei prescolari, i maschi (in confronto alle femmine di pari età) hanno presentato livelli mediamente più alti di comportamenti ristretti e ripetitivi. Tale differenza non si manteneva all’aumentare dell’età.
Questi dati suggeriscono che le femmine potrebbero sviluppare, in età maggiore, comportamenti ripetitivi significativi o che comunque, in età precoce, possono esser più difficili da evidenziare tramite un questionario rivolto al genitore.
Lo studio ha inoltre confermato il dato già noto nella letteratura scientifica di come un quoziente intellettivo più alto sia correlato ad un minor numero di comportamenti ripetitivi, a prescindere dal sesso e dall’età dei bambini. Questo risultato avvalora l’ipotesi secondo cui i comportamenti ripetitivi potrebbero essere mascherati nelle persone autistiche ad alto funzionamento cognitivo, soprattutto nelle femmine.
Nello specifico è possibile che le femmine abbiano bisogno di una maggior quantità (e quindi maggiore gravità) di comportamenti ripetitivi per manifestare dei sintomi autistici evidenti, con il risultato che il disturbo dello spettro autistico venga in definitiva sottodiagnosticato o confuso con altre entità nosologiche.
Va considerato inoltre che gli interessi ristretti delle bambine autistiche hanno contenuti spesso meno atipici (animali , moda, cantanti ) rispetto ai maschi, cosa che rende ancora più difficile la loro individuazione da parte dai genitori. Dunque, il mascheramento dei comportamenti ripetitivi potrebbe in parte spiegare una delle concause di tale differenza epidemiologica.
Dallo studio condotto è inoltre emerso che, i comportamenti ripetitivi possono influenzare negativamente il funzionamento adattivo dei bambini in età scolare, a prescindere dal genere. Questo risultato evidenzia l’importante impatto che possono avere i comportamenti ripetitivi sulla vita quotidiana, soprattutto nei bambini più grandi.
Le abilità sociali e comunicative, la capacità di esplorare l’ambiente esterno o la cura di sé assumono un’importanza crescente con l’età e ovviamente l’intrattenersi con comportamenti ripetitivi e stereotipati impedisce di mantenere l’attenzione su attività che promuovano la corretta acquisizione delle capacità comunicative, pratiche e sociali necessarie per una vita autonoma.
I risultati dello studio sottolineano, dunque, la necessità di intervenire prontamente, precocemente e specificatamente sulla riduzione dei comportamenti ripetitivi in entrambi i sessi, al fine di implementare di riflesso lo sviluppo delle capacità comunicative, sociali e pratiche nei diversi contesti di vita dei bambini e bambine con diagnosi di Disturbo dello spettro autistico.
Di seguito la pubblicazione dello studio sulla rivista scientifica Children: