Gli interventi chirurgici di impianto di protesi articolare diventano ogni anno più numerosi, soprattutto a carico del ginocchio, articolazione ‘di carico’ soggetta a notevoli stress funzionali nel corso della vita di una persona e, quindi, destinata ad una più o meno rapida degenerazione artrosica.
Di pari passo, però, aumenta anche il numero di persone insoddisfatte a seguito di tale chirurgia, assai delicata e dalla massima scrupolosità sin dal momento della visita ambulatoriale; è in questa circostanza, infatti, che è già fondamentale percorrere il giusto sentiero e non addentrarsi in percorsi destinati a deludere le aspettative del paziente, come affrettare i tempi del bisturi oppure insistere in trattamenti incruenti lasciando avanzare la patologia.
La scrupolosa analisi di specifiche radiografie sotto carico (da accompagnarsi, in casi selezionati, ad una Risonanza Magnetica) insieme alla obbligatoria e attenta valutazione clinica dell’articolazione, daranno allo Specialista Ortopedico le giuste informazioni per la scelta non solo del tipo di trattamento da eseguire (medico, fisioterapico, infiltrativo o chirurgico), ma anche del tipo di protesi nel caso la chirurgia sia la esatta indicazione.
Esse, infatti, si distinguono in più tipi in base:
- al numero di compartimenti articolari da sostituire – protesi monocompartimentali o totali;
- alla mobilità o meno dell’inserto di polietilene sulla componente tibiale – protesi a piatto mobile o fisso;
- al grado di vincolo articolare nelle protesi totali – a conservazione del legamento crociato posteriore, postero-stabilizzate, semivincolate e vincolate;
- alla diversa zona e meccanismo di fissazione all’osso – protesi a presa epifisaria, metafisaria o diafisaria.
Le protesi monocompartimentali trovano indicazione nel caso di degenerazione di un unico compartimento articolare-mediale, laterale o femoro-rotuleo; esse, inoltre, necessitano dell’integrità di entrambi i legamenti crociati e di una deviazione non significativa degli assi di carico.
La minore aggressività chirurgica, associata al risparmio delle strutture articolari ancora integre non responsabili della sintomatologia riferita dal paziente, consente di ottenere ottimi risultati sul piano della funzionalità articolare, della propriocezione, nonché sull’eliminazione del dolore, in tempi rapidi; inoltre, il risparmio di tessuto articolare consente di eseguire, nel caso di successiva progressione del processo artrosico, una protesi totale di primo impianto non invasiva (Fig. 1).
Come le mono, anche le protesi totali possono essere a piattaforma rotante o fissa, a seconda della mobilità o meno dell’inserto in polietilene sulla componente tibiale. La possibilità di un secondo piano di movimento, sebbene avvicini la funzione di un ginocchio protesizzato a quella di un ginocchio normale, non ha condotto ad una diminuzione delle percentuali di mobilizzazione delle protesi, come biomeccanicamente previsto data la maggiore dissipazione dei carichi (Fig. 2), con risultati sovrapponibili tra le due tipologie di protesi.
A seconda della stabilità articolare, conseguente al danno instauratosi a carico delle strutture legamentose e capsulari nel corso del processo artrosico, lo Specialista Ortopedico sceglierà il modello di protesi con il più adatto livello di vincolo: dalle protesi a conservazione del legamento crociato posteriore a quelle postero-stabilizzate, da quelle semivincolate alle vincolate, ogni modello protesico presenta meccanismi intrinseci che consentono al paziente di ottenere una nuova articolazione stabile in tutti i gradi della flesso-estensione.
Compito del Chirurgo del ginocchio sarà quello di ottenere una perfetta stabilità e un completo movimento articolare, con l’utilizzo del minor vincolo centrale possibile, al fine di preservare l’usura dell’impianto protesico e avere la possibilità di impiantare in futuro, in caso di necessità, protesi con un vincolo non necessariamente significativo (Fig. 3).
Simili princìpi vanno applicati al meccanismo di fissazione all’osso delle componenti protesiche; è sempre preferibile ottenere una buona fissazione nella zona più vicina all’articolazione (regione epifisaria), in modo da non aggredire eccessivamente l’osso e avere a disposizione maggiori chance chirurgiche in un’eventuale riprotesizzazione futura (fissazione metafisaria e/o diafisaria) (Fig.4).
Sia per le protesi totali che per quelle monocompartimentali non esiste una sopravvivenza prestabilita; l’usura progressiva dell’inserto in polietilene, infatti, è strettamente dipendente, oltre che da fattori propri del paziente quali ad esempio il peso o il livello di attività svolta, dal corretto posizionamento dell’impianto. Maggiore sarà la precisione del gesto chirurgico e il rispetto dei complessi princìpi biomeccanici alla base di tale intervento, minore sarà l’usura del polietilene e la conseguente osteolisi periprotesica, ossia il riassorbimento dell’osso su cui poggia la protesi stessa, preambolo della definitiva mobilizzazione.
In conclusione, solo un approccio così preciso e categorico da parte dello Specialista Ortopedico, altamente specializzato in una simile chirurgia, può far sì che i risultati siano brillanti, il paziente risulti soddisfatto del trattamento ricevuto e che la protesi possa essere ‘definitiva’ nel maggior numero di casi possibili, senza il necessario ricorso, in futuro, a interventi di riprotesizzazione.