Roma, 13 settembre 2017 – Partito a razzo il tavolo contrattuale del comparto sanità ha esaurito il suo sprint sulla questione delle risorse. Ma oggi era la giornata d’apertura, quella che è generalmente dedicata all’illustrazione degli obiettivi di parte pubblica e alle relative osservazioni delle organizzazioni di categoria. Quella in cui, insomma, si definisce il metodo di lavoro: su cui la condivisione è quasi scontata.
Così non sarà però quando si entrerà nel merito delle questioni e già oggi nelle repliche più di qualche organizzazione lo ha anticipato. Ci sono infatti alcune questioni su cui il disaccordo è palese.
Oggi si è deciso di procedere per tavoli tematici: il primo riguarda le aree sanitarie, la nuova aggregazione e il sistema degli incarichi. Il secondo tavolo invece sarà sui fondi contrattuali e il terzo sull’orario di lavoro. E proprio su quest’ultima materia e sulla questione delle eventuali deroghe alla normativa europea sui tempi ed orari di lavoro, più di una organizzazione, fra cui la nostra, ha già espresso la propria contrarietà.
E anche sul primo tavolo tematico ci sono delle serie riserve che riguardano le risorse disponibili e gli spazi a disposizione. Introdurre nel sistema, cioè nella scala economica contrattuale, a costo zero, senza nuove risorse, le figure di esperto e di specialista non è una operazione semplice.
A tale proposito Adamo Bonazzi Segretario Generale FSI- USAE ha dichiarato: “Con le risorse che ci sono la direttiva è il libro dei sogni; qui dobbiamo porci il problema di come possiamo far saltare quel tetto di cristallo che impedisce alle professioni sanitarie di crescere e di fare carriera”.
“Dentro questo contratto dobbiamo porci l’obiettivo di determinare quali sono i meccanismi che congiungono le dinamiche contrattuali del comparto a quelle dell’area della dirigenza e quali sono i meccanismi, anche temporanei, che consentano alle professioni sanitarie di avere aperta la carriera con l’accesso alla dirigenza – sia pure di tipo professionale – prosegue Bonazzi – Altrimenti, se non viene risolto questo problema, vi è il rischio che, al contrario di quanto auspicato, introducendo le nuove figure invece di centrare gli obiettivi attesi si vada a schiacciare verso il basso tutti gli altri professionisti”.
“Vi è poi la questione degli Operatori Socio Sanitari e della loro eventuale collocazione dentro la nuova specifica area di integrazione socio sanitaria, che sembrerebbe essere fortemente collegata al territorio a prescindere dall’area in cui, oggi, questi operatori prestano prevalentemente la loro opera, e cioè quella sanitaria ed ospedaliera: se così fosse una tale collocazione rischia di risolvere un problema ma di crearne altri; anche di tipo occupazionale”, conclude Bonazzi.