Per incoraggiare i futuri anestesisti a dedicarsi sempre più al tema del dolore sarà necessario un approccio più mirato alla ricerca e l’esperienza in strutture più complesse dove si operano trattamenti complicati. È quanto afferma Sebastiano Mercadante, Direttore Unità di terapia del dolore e cure di supporto, Dipartimento Oncologico La Maddalena di Palermo e docente di medicina palliativa ad Anderson, Università del Texas, Houston, nell’intervista rilasciata durante il XIV Congresso nazionale ACD SIAARTI
Napoli, 12 dicembre 2015
Professore, quali sono le novità del Congresso ACD di Napoli?
“Il congresso di Napoli rappresenta un momento molto importante dal punto di vista organizzativo e culturale. Il capoluogo campano nei prossimi anni sarà, infatti, il centro delle attività SIAARTI per la presenza del presidente della società e del gruppo area dolore. Il programma prevede corsi di aggiornamento preliminari riguardanti il dolore cronico, in particolare il dolore cervicale, un approfondimento sulle cure palliative nei suoi aspetti organizzativi e clinici, sull’anestesia locoregionale con un corso di ecografia e sull’ analgesia ostetrica nei suoi aspetti organizzativi. È auspicabile che in futuro, in Italia, ci sia maggiore interesse verso la ricerca in questo settore, rimasta limitata in questi ultimi anni”.
Quanto è cambiato negli ultimi anni l’approccio scientifico e clinico al dolore?
“Il dolore, grazie a una legge (n.38 /2010) che purtroppo trova ancora scarsa applicazione e ai media che ne hanno dato risalto, è maggiormente considerato come tema sociale. C‘è ancora, tuttavia, scarsa conoscenza del problema (anche nei medici) e una certa resistenza ad adoperare farmaci appropriati”.
Quanto il dolore è una malattia a sé stante?
“Il dolore cronico afinalistico è una malattia ormai riconosciuta che spesso si distacca dalla malattia originaria. Ha trovato nuovi spazi nella definizione offerta dalle associazioni internazionali che hanno stigmatizzato il ruolo negativo del dolore per i suoi aspetti psicologici, relazionali, culturali”.
Quali sono oggi gli strumenti più utili per controllarlo?
“Abbiamo possibilità terapeutiche e numerosi farmaci disponibili appartenenti a diverse classi eterogenee. In una fascia limitata di pazienti vi è la possibilità di utilizzare strumenti impiantabili che richiedono un elevato livello di esperienza”.
Ci sono ancora problematiche di tipo culturale nell’adoperare oggi gli oppioidi? Come si colloca l’Italia nel consumo di oppioidi rispetto agli altri Paesi Europei?
“L’Italia appartiene, da anni, alla fascia di consumo più bassa, anche se nell’ultimo periodo il consumo di oppioidi è discretamente aumentato. Il gap rispetto alle altre Nazioni europee è rimasto abbastanza ampio. Esiste ancora una serie di remore legate alla scarsa conoscenza e ai timori di effetti collaterali destinati a lungo a limitare l’utilizzazione appropriata di questi farmaci, che rimangono il cardine del trattamento farmacologico del dolore cronico, malgrado alcune criticità”.
Cosa si sta facendo e cosa si dovrebbe fare per educare le future generazioni di medici al trattamento del dolore?
“Un approccio più mirato alla ricerca incoraggerebbe gli anestesisti ad apprezzare una disciplina entusiasmante per le sfide che ancora pone e affascinante per le sorprese che riserva in un prossimo futuro grazie anche all’applicazione della genetica. L’esperienza in strutture più complesse sarà importante poi per abituare le nuove generazioni al training, che la maggior parte di noi ha, in passato, dovuto fare all’estero”.
fonte: ufficio stampa