Cari lettori,
a chi non è mai capitato nella vita di sentirsi particolarmente giù, insicuro, sopraffatto dagli eventi…
Dalla perdita del posto di lavoro a un amore finito, da una precaria condizione di salute all’incapacità di superare il dolore di un lutto. Passando per condizioni meno “estreme” ma altrettanto logoranti, come la solitudine, il senso di inadeguatezza verso una società che ci vuole sempre perfetti, e così via.
Momenti bui, che, se mal gestiti, possono sfociare nella depressione.
Ma la depressione non è uno stato d’animo, come ancora oggi molti credono, è una vera e propria malattia che, in quanto tale, va curata, con professionalità e competenza.
Certo, sarebbe sano elaborare il dolore, rispettando i propri tempi, ma quando subentra la malattia è necessario medicalizzare il problema, tenendo comunque sempre presente che gli antidepressivi non sono caramelle e non sono scevri da effetti collaterali. Le persone che stanno dietro le case farmaceutiche conoscono perfettamente il veleno che producono e commercializzano.
Certi psicofarmaci vengono assunti spesso con superficialità… ed è così che si spalancano le porte dell’inferno! Non tutti i pazienti hanno consapevolezza degli effetti collaterali a cui vanno incontro.
Purtroppo esiste qualche medico “sbrigativo”: un paziente zitto e arrendevole è sempre meglio di uno che chiede di essere curato. Tacitare le persone che soffrono è stata sempre la soluzione preferita da una parte della neuropsichiatria ufficiale, il più clamoroso esempio è dato dall’elettroshock, tecnica che fu inserita come terapia psiconeurologica, con l’effetto di ridurre i pazienti in uno stato di inerzia, ora si tenta di ottenere lo stesso risultato con alcuni farmaci.
La stessa inerzia che sta vivendo Leonardo (nome di fantasia), un giovane lettore che ci ha scritto una lettera per condividere con noi la sua triste esperienza.
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Buongiorno, sono un ragazzo di 25 anni, studente universitario. Vi scrivo per raccontarvi e chiedervi di raccontare la mia storia. Si tratta di effetti collaterali di antidepressivi che non vanno via sospendendo il farmaco. Credo che la possibilità di un tale evento dovrebbe essere accuratamente soppesata dal medico che effettua la prescrizione e soprattutto il paziente ne dovrebbe essere informato, ma ciò non avviene perché di questi apparentemente rari (e debilitanti) problemi non ne sono a conoscenza nemmeno i professionisti.
Per questo mi rivolgo a voi chiedendo di portare tutto ciò alla conoscenza di pazienti e medici.
Circa 3 anni fa a seguito di problemi famigliari, stavo passando un brutto periodo così decisi di rivolgermi ad uno psicologo, con cui iniziai un percorso di sedute. Ero piuttosto preoccupato e giù di morale a causa dei miei problemi, così mi consigliò di rivolgermi ad uno psichiatra perché affiancasse alle sedute una terapia farmacologica: ciò, a detta loro, mi avrebbe aiutato ad accelerare e mantenere i progressi e a riprendere quanto prima in mano la mia vita. D’altronde la medicina oggi offre queste possibilità, perché non sfruttarle?
Così, per farla breve, per quasi due anni ho preso un farmaco antidepressivo: “questo farmaco aumenta la quantità di serotonina nel cervello, il famoso ormone della felicità. Potresti avere un po’ di nausea le prime settimane ma vedrai passerà”.
A luglio dell’anno scorso stavo decisamente meglio, così sempre seguito dallo psichiatra, decisi di cominciare a diminuire il dosaggio fino a sospenderne del tutto l’assunzione ad ottobre. È stato allora che sono cominciati i problemi. Già mentre diminuivo il dosaggio mi rendevo conto che c’era qualcosa che non andava in me: mi sentivo emotivamente e sentimentalmente un po’ appiattito, meno attratto sessualmente dalle ragazze e anche ‘laggiù’ la situazione era sempre più dormiente. Ma non ci feci troppo caso, “sarà il periodo”.
La situazione è però peggiorata drasticamente quando ho smesso di prenderlo del tutto: ogni emozione, dalla gioia alla paura, dall’eccitazione sessuale per una ragazza alla gelosia, ogni sensazione di piacere o di disgusto, piacevole o non è praticamente sparita. E con esse anche le relative reazioni fisiche: dai brividi, al batticuore, alle erezioni…
Quasi improvvisamente non ho provato più nulla per quella ragazza che mi piaceva da morire o non si è ‘mosso’ più niente per quell’altra che mi eccitava e per cui avevo fantasie poco innocenti; la musica non mi fa più viaggiare e le passioni non sono più così coinvolgenti.
Insomma, è come se qualcuno avesse spento il punto del cervello che genera emozioni. Io che mi conosco, che so quali sono le mie emozioni e le mie reazioni sentivo che tutto ciò era troppo strano, che c’era qualcosa che non andava e non poteva solo essere un ‘periodo’ che era iniziato esattamente nel momento in cui ho sospeso il farmaco.
Così ho fatto qualche ricerca tramite Google ed è allora che mi sono risvegliato in un incubo: ero solo uno delle probabilmente migliaia di persone che stava sperimentando degli effetti collaterali persistenti causati dal precedente uso di farmaci della classe degli SSRI che, per quanto riguarda l’aspetto sessuale del problema, prende il nome di Post SSRI Sexual Dysfunction (PSSD).
Purtroppo non è una bufala nata su qualche forum, da qualcuno col pallino del complottismo contro le case farmaceutiche. Purtroppo è vero ed esistono studi scientifici e articoli di giornale che ne parlano. Io stesso non avrei mai creduto ad una cosa così assurda, se non la stessi vivendo in prima persona. Purtroppo però è tragicamente reale.
Ho allora spiegato la situazione e i miei sospetti al mio psichiatra, confidando che sapesse darmi delle risposte e delle soluzioni: mi ha risposto che era impossibile, che non aveva mai sentito parlare di questa condizione e che non si era mai sentito che gli effetti collaterali di un farmaco potessero durare settimane dopo la sospensione.
Era molto più ragionevole pensare che venendo meno l’azione dell’antidepressivo fosse riemersa una sorta di depressione, di ansia o di blocco emotivo che mi rendeva incapace di dialogare con le mie emozioni.
Capisco benissimo che in effetti è tutto molto più ragionevole e razionale. D’altronde si sta mettendo in dubbio la parola di un professionista. Eppure io che vivo in prima persona questa situazione e che mi conosco, so che la causa non poteva essere un blocco emotivo. Così ho pensato che magari il mio “psichiatra da studio” potesse essere poco aggiornato, e allora mi sono rivolto a dei professori universitari: quasi tutti mi hanno detto che si trattava di un problema psicologico e che dovevo quindi tornare a prendere l’antidepressivo (cosa che mi sono rifiutato di fare) o aspettare. Solo allora ho capito che, oltre a ritrovarmi con questa condizione, ero anche ‘solo’.
Ora immaginate cosa tutto questo voglia dire per un ragazzo di 25 anni. Il problema di questa sindrome è proprio questo: medici, psichiatri, pazienti e forse nemmeno tante persone che ne soffrono sono a conoscenza di ciò. Non esiste perciò una ricerca scientifica o delle cure, anche se questi farmaci sono usati da più di vent’anni e la sindrome non è poi così rara come si potrebbe credere, basta fare una breve ricerca su Google per rendersene conto.
Perciò vi chiedo di raccontare questa storia, perché accanto a tante bufale ci sono storie tremendamente reali assolutamente nascoste e che dovrebbero essere invece portate alla conoscenza del cittadino e soprattutto dei professionisti, i quali molto spesso omettono di comunicare i possibili effetti collaterali dei farmaci che prescrivono, considerandoli delle innocue caramelle senza troppe controindicazioni.
Confido nel vostro aiuto.
Grazie, Leonardo