Roma, 19 dicembre 2023 – La realtà virtuale e immersiva è una grande maestra per i medici in formazione, ma i giovani chirurghi hanno anche bisogno di cimentarsi con le mani, in esercitazioni cosiddette ‘hands-on’. È questo il razionale del primo corso di “Training agli approcci chirurgici per il trattamento degli aneurismi cerebrali su simulatori anatomici” organizzato presso il Gemelli Training Center del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS dalla Scuola di Specializzazione in Neurochirurgia dell’Università Cattolica diretta dal professor Alessandro Olivi.
“Si tratta di un training dedicato ai neurochirurghi vascolari in erba – spiega il prof. Enrico Marchese, responsabile della UOS di Neurochirurgia Vascolare di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Associato di Neurochirurgia presso l’Università Cattolica, campus di Roma – che mirano a far acquisire loro tutte le skill necessarie”.
Il primo corso di questa serie, realizzato con il supporto di Integra LifeSciences e l’uso di un esoscopio, ha coinvolto 10 specializzandi delle scuole di specializzazione in neurochirurgia di Roma. “Sono state allestite delle postazioni con dei modellini anatomici che hanno permesso loro di allenarsi ad effettuare una craniotomia e il posizionamento di clip vascolari su vasi aneurismatici”.
Il modellino di scatola cranica è realizzato in resina acrilica, mentre il ‘cervello’ e i vasi sono in silicone. “È il primo corso di questo tipo che si tiene a Roma – afferma il prof. Marchese – e visto il successo dell’iniziativa, il progetto è di ripeterli due volte l’anno. Il prossimo si terrà a giugno e sarà dedicato ai tumori cerebrali”.
Il 65% degli aneurismi cerebrali oggi vengono corretti con tecniche endovascolari, il restante 35%, che comprende le forme più gravi e complesse, con la classica tecnica neurochirurgica. E il training chirurgico è fondamentale, per acquisire le tutte competenze necessarie ad intervenire su un paziente.
“Gli aneurismi cerebrali – spiega il prof. Marchese – sono malformazioni delle arterie cerebrali, in genere acquisite; interessano una piccola porzione di un’arteria cerebrale che si dilata formando una sorta di palloncino. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, gli aneurismi sono asintomatici e danno segno di sé solo in occasione della rottura, che determina una emorragia cerebrale (emorragia subaracnoidea) che rappresenta una patologia molto grave, anzi la cosa peggiore che può succedere al nostro cervello. La rottura dell’aneurisma può infatti inondare di sangue tutto il cervello. La mortalità da emorragia subaracnoidea è altissima: il 28% delle persone colpite da emorragia subaracnoidea non arriva nemmeno in ospedale; tra quelli che riescono ad arrivare al ricovero, una metà muore durante la degenza, mentre gli altri possono andare incontro ad un grado più o meno elevato di disabilità”.
Si stima che il 2-5% della popolazione generale sia portatore inconsapevole di un aneurisma cerebrale e ogni anno si verificano 10 emorragie da rottura di aneurisma cerebrale ogni 100.000 abitanti. “È come se – spiega il prof. Marchese – in uno stadio con 100.000 spettatori, ci fossero 2.000-5.000 portatori di un aneurisma cerebrale e, nel corso dell’anno, 10 di queste persone andassero incontro ad un’emorragia”.
Quello di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS, con oltre 100 aneurismi trattati ogni anno, è il centro di neurochirurgia romano con la più ampia casistica.
La rottura di un aneurisma cerebrale, come visto, rappresenta un evento devastante. Cosa fare dunque? “Fondamentale è la prevenzione – afferma Marchese – andando ad agire sui fattori di rischio modificabili, in primis fumo e ipertensione arteriosa, che favoriscono la formazione e la rottura dell’aneurisma cerebrale. Non è possibile invece intervenire sulla predisposizione genetica, che penalizza soprattutto le donne (rapporto 2:1 rispetto ai maschi)”.
Gli aneurismi in genere sono silenti fino al momento della rottura; solo raramente possono dare sintomi premonitori, come la cosiddetta ‘cefalea sentinella’, legata a minuscole emorragie, molto difficili da individuare. Se l’aneurisma diventa molto grande (di solito però ha un diametro inferiore al centimetro) può dare anche effetti da compressione.
“Può capitare – ricorda il prof. Marchese – e sono circostanze fortunate, che in occasione di una TAC o di una risonanza fatta per studiare un mal di testa o una sindrome vertiginosa, si scopra casualmente un aneurisma, che dunque si può trattare in elezione, prima della rottura. Naturalmente trattiamo anche gli aneurismi rotti e sebbene si tratti di una patologia molto grave, il 20-30% di queste persone può tornare a una vita normale”.
In sala operatoria insomma ci si può trovare di fronte a due patologie completamente diverse: aneurisma rotto e aneurisma non rotto. “Nella situazione più favorevole, quella dell’aneurisma non rotto – spiega il prof. Marchese – il trattamento chirurgico mininvasivo prevede in una prima fase la realizzazione di una piccola apertura della scatola cranica (craniotomia); poi si raggiunge la sede dell’aneurisma, che si trova di solito a livello della base del cranio, dunque in profondità, e si applica sul colletto dell’aneurisma una clip vascolare (una ‘molletta’) in titanio, con uno strumento dedicato (‘porta-clip’), per escluderlo dal circolo”.
“L’intervento viene effettuato con il microscopio operatorio perché la neurochirurgia è tutta micro-chirurgia. Il chirurgo indossa speciali occhiali-microscopio; inoltre da diverso tempo è stato introdotto l’uso dell’esoscopio (Olympus Orbeye), cioè di uno speciale microscopio digitale montato su un braccio orientabile sopra il campo operatorio che restituisce al chirurgo, munito di speciali occhiali, una immagine 3D con definizione 4K su uno schermo 55 pollici”.