Alzheimer: scoprire la malattia 20 anni prima. Nuove terapie e sfide etiche

In Europa progrediscono le frontiere diagnostiche e terapeutiche per la malattia di Alzheimer, ma restano alti i costi. Gli effetti collaterali e le tante incognite inducono alla prudenza. Il tema trattato al 25° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, a Padova dal 27 al 29 marzo

(foto Pixabay)

Padova, 27 marzo 2025 – Sapere con 20 anni di anticipo se potessimo sviluppare l’Alzheimer potrebbe rappresentare un progresso straordinario, ma anche un dilemma etico. È la prospettiva su cui sta lavorando la comunità scientifica. Da una parte sono stati scoperti alcuni biomarcatori semplici, identificabili anche con un semplice prelievo di sangue, per capire i soggetti che possano essere predisposti allo sviluppo della patologia; dall’altra, alcuni anticorpi monoclonali permettono di rallentare il decorso del declino cognitivo. Proprio questi progressi, con risultati in continuo divenire, pongono però anche sfide etiche e sociali, come emerge nel 25° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, in corso presso il Padova Congress, Via Goldoni, 8, dal 27 al 29 marzo.

La possibilità di prevedere l’Alzheimer anche con 20 anni di anticipo

In Italia, oltre un milione di persone è affetto da demenza; circa il 60% proprio da Alzheimer. Negli ultimi anni sono state analizzate le prime alterazioni neuropatologiche, che si verificano già 15-20 anni prima dell’insorgenza dei sintomi veri e propri, con disturbi di memoria, al linguaggio, difficoltà funzionali. Si verifica un aumento del tasso di proteina beta-amiloide a cui segue l’alterazione della proteina tau. In questo filone si colloca anche lo studio italiano Interceptor, promosso dal Ministero della Salute e dall’Aifa.

Prof. Diego De Leo

“Le nuove ricerche sui biomarcatori dell’Alzheimer mettono in luce segnali precoci che possono indicare la successiva insorgenza della demenza – evidenzia il prof. Diego De Leo, Presidente AIP – Per rilevare questi indicatori si utilizza una puntura lombare che preleva il liquido cefalorachidiano, il quale circonda il sistema nervoso. Oggi, però, è possibile effettuare analisi dei biomarcatori anche tramite un semplice esame del sangue, rendendo il test più accessibile e potenzialmente utilizzabile su soggetti ancora asintomatici”.

“La maggiore semplicità nel sapere in anticipo se una persona svilupperà l’Alzheimer comporta nuove sfide sia etiche che organizzative – sottolinea il prof. Angelo Bianchetti, Segretario Generale AIP – Gli interrogativi sono numerosi: quali persone sottoporre a tali analisi; quando, in che misura, con che progressione si verificherà la malattia. Serve pertanto molta cautela sia da parte degli operatori sanitari che del pubblico. In generale, per chi abbia una predisposizione, si consiglia un approccio preventivo basato su socializzazione, alimentazione corretta, attività fisica”.

Le nuove terapie per mitigare la malattia

“L’immunoterapia con gli anticorpi monoclonali anti-amiloide rappresenta il fulcro di numerosi studi che hanno dimostrato l’efficacia nel ridurre il deposito di amiloide cerebrale e, in una certa misura, il declino cognitivo in un gruppo selezionato di pazienti – commenta il prof. Diego De Leo – La FDA americana ha approvato tre anticorpi monoclonali anti-amiloide di seconda generazione, aducanumab, donanemab e lecanemab, con quest’ultimo riconosciuto anche dall’EMA. Oltre agli anticorpi monoclonali, si sta lavorando su altre soluzioni: l’uso di piante medicinali per le proprietà neuroprotettive; la modulazione del microbiota intestinale per i processi neuro-infiammatori e degenerativi nel cervello. Inoltre, esistono approcci emergenti, come l’uso di microRNA per regolare processi cellulari chiave, e la nanoterapia, che consente la somministrazione precisa di farmaci al sistema nervoso centrale. Tuttavia, qualsiasi opzione terapeutica deve tenere conto dell’opportunità etica di somministrare farmaci costosi e con effetti collaterali”.

“Il riconoscimento europeo di lecanemab rappresenta una notizia importante, ma serve grande prudenza – evidenzia il prof. Angelo Bianchetti – Questo farmaco, infatti, rallenta la progressione della malattia, ma non sappiamo se la blocca del tutto. Porta a un rallentamento del 20-30%, ma non si sa se solo il primo anno o anche negli anni successivi. Peraltro, solo il 10% dei pazienti potrà giovarsi di questi farmaci, lasciandone fuori dunque un’ampia maggioranza. Bisogna dunque pensare a una gestione che tenga conto dei costi, della somministrazione endovenosa, del monitoraggio degli effetti collaterali, senza dimenticare la disomogeneità del sistema delle regioni italiane. Infine, le novità farmacologiche non ci devono far dimenticare il ruolo determinante della stimolazione cognitiva e fisica nel ridurre i disturbi del comportamento e migliorare la qualità di vita”.

Il 25° Congresso AIP: la psiche dell’anziano al centro

Il 25° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria – AIP si tiene presso il Padova Congress, Via Goldoni, 8, dal 27 al 29 marzo. In questi tre giorni si affronteranno tutti gli aspetti relativi alla salute psicofisica dell’anziano: la demenza, la depressione, la psicosi, i disturbi d’ansia e del sonno, i problemi di memoria, la fragilità fisica e mentale, nonché la fragilità psicosociale, la solitudine e il malessere. Inoltre, si toccherà il tema della telemedicina e delle terapie digitali, il dolore, le nuove molecole, con particolare attenzione ai progressi realizzati nella lotta alle demenze e all’Alzheimer e alle implicazioni etiche che pongono le nuove scoperte.

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