Medici di famiglia e infettivologi insieme per una nuova medicina del territorio. Obiettivo realizzare gli screening per l’Epatite C e per l’HIV. Urgente incrementare gli accessi ai programmi di prevenzione, più diagnosi precoci e far emergere il “sommerso” HCV nella coorte dei nati dal 1969 al 1989, nella popolazione carceraria e tra gli utenti dei SERD. “Per effettuare gli screening presso gli studi dei medici di famiglia, servono codici precisi, canali preferenziali, un sistema informatico avanzato, automaticità verso il linkage-to-care, immediatezza e semplicità” sottolinea Alessandro Rossi, Responsabile Ufficio di Presidenza della Macro-Area “Patologie Acute” SIMG
Roma, 1 febbraio 2022 – HIV ed Epatite C: sono questi i virus meno visibili che mantengono numeri elevati e conseguenze potenzialmente molto gravi. Occorre attrezzarsi per contrastarli oltre alle politiche contro il SARS-CoV-2, servendosi della lezione imparata. Gli strumenti ci sono: le nuove terapie consentono di eradicare in maniera definitiva, in poche settimane e senza effetti collaterali l’Epatite C. L’HIV invece si può controllare, cronicizzando l’infezione e rendendo la durata e la qualità della vita della popolazione infetta analoga in larga parte a quella della popolazione generale.
Affinché si possa intervenire con le terapie è però necessario individuare i soggetti con l’infezione ancora latente: un passaggio per cui il ruolo del Medico di Medicina Generale può rivelarsi fondamentale. Da questa esigenza nasce una nuova convergenza tra la Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie e la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.
Lo scenario attuale per HIV e HCV
Tra gli effetti della pandemia da SARS-CoV-2 vi è anche la riduzione degli accessi ai programmi di prevenzione, di diagnosi precoce e di screening. Un peso che grava soprattutto sull’impiego dei fondi stanziati nel 2020 dallo Stato, che dovrebbero essere investiti dalle Regioni in progetti volti a far emergere il ‘sommerso’ dell’Epatite C nella coorte dei nati dal 1969 al 1989, nella popolazione carceraria e tra gli utenti dei SERD, per poi indirizzarli alla cura. Inoltre, il Piano nazionale AIDS varato nell’ottobre del 2017 è rimasto in larga misura irrealizzato. Visto che si suppone di dover convivere ancora a lungo con il Covid-19, diventa necessario prospettare nuovi modelli di intervento in questo contesto culturale e sanitario.
Proprio a questi nuovi scenari è stato dedicato il webinar “Alla ricerca del virus: stato dell’arte e prospettive future”, che si è tenuto lunedì 31 gennaio. Sono intervenuti Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT; Luigi Bertinato, Responsabile della Segreteria Scientifica della Presidenza, Istituto Superiore di Sanità; Claudio Cricelli, Presidente Nazionale SIMG; Ignazio Grattagliano, Segretario Regionale SIMG Puglia; Loreta Kondili, Ricercatore Medico Responsabile Progetto Piter Istituto Superiore di Sanità; Francesco Lapi, Direttore Ricerca Health Search, Istituto di Ricerca SIMG; Loris Pagano, Docente di Sanità Pubblica Università La Sapienza Roma; Alessandro Rossi, Responsabile Ufficio di Presidenza della Macro-Area “Patologie Acute” SIMG e Segretario Regionale SIMG Umbria; a moderare Daniel Della Seta, giornalista scientifico e curatore della rubrica Focus Medicina.
“Il progetto avviato da SIMG e SIMIT è basato sulla constatazione che le due infezioni da HCV e HIV hanno ampia diffusione in Italia: servono quindi tutte le strategie possibili per individuare i soggetti che possano aver contratto l’infezione – commenta il prof. Massimo Andreoni – Per questo era nata l’idea di un camper che girasse le città per eseguire i test; il Covid ha reso più complicata questa ipotesi, che si è comunque realizzata nelle fasi di regressione della pandemia. Oggi in Italia vi sono circa 120-130mila persone infette da HIV, e il 10% non ne è a conoscenza; il ‘sommerso’ dell’Epatite C si stima tra le 200 e le 300mila unità. Intervenire rispettivamente nel controllo e nell’eradicazione del virus è determinante anche per evitare un’ulteriore propagarsi dell’infezione. Per questo bisogna pensare a nuove soluzioni, come dei check point in punti strategici delle città, e tenere conto di nuove condizioni. Per l’HIV, infatti, con nuove terapie efficaci che rendono cronica l’infezione, i pazienti invecchiano, la presenza di comorbosità si fa più frequente e serve un’assistenza continuativa, che deve trovare supporto anche sul territorio, per seguire i pazienti in maniera più agevole”.
“Oltre alla morbilità e mortalità direttamente provocata dall’infezione dal SARS-CoV-2, ci saranno conseguenze sulle diagnosi e sui trattamenti dell’infezione da HCV e delle malattie correlate, come cirrosi epatica ed epatocarcinoma – sottolinea la Loreta Kondili – In Italia, per soli sei mesi di ritardo, ci saranno in 5 anni oltre 500 morti da malattia del fegato HCV correlata, del tutto evitabili se i ritmi dei trattamenti si ripristinassero prontamente. Si stima che il rapido avvio dei trattamenti delle nuove infezioni, che potrebbero essere diagnosticate con gli screening per scoprire il sommerso da HCV, eviterà in 20 anni 7769 eventi clinici infausti, come cancro del fegato, insufficienza epatica, la necessità di trapianto del fegato e morte HCV correlata, per 10.000 pazienti trattati. A questi vantaggi sanitari, si aggiungerà anche un risparmio di 838.73 milioni di Euro per il SSN. Nel perseguire la strategia di controllo dell’infezione e della malattia da Covid-19, la diagnosi dell’infezione da HCV e la cura per eliminarlo dovrebbe essere quindi ripristinata con priorità”.
Il ruolo determinante del medico di famiglia
Tranne alcune lodevoli eccezioni, le Regioni sono indietro nei progetti di screening dell’Epatite C della popolazione. Esistono alcune iniziative isolate, ma resta molto da fare: per raggiungere i cittadini sul territorio i Medici di famiglia possono svolgere un ruolo di primo piano.
“Le Regioni devono attuare gli screening con piani operativi – sottolinea Alessandro Rossi – Il Medico di famiglia può essere di grande supporto, ma servono codici precisi e canali preferenziali, visto che con i nati nelle coorti ‘69-’89 si fa riferimento ad un’ampia parte di popolazione. Serve un sistema informatico che ricordi quali siano i soggetti candidati agli screening; una via preferenziale per poter esortare il paziente a effettuare questo controllo; una modalità automatica per screening di secondo livello che determinino la viremia e per avviare al linkage-to-care; la gratuità, che garantita dai fondi già stanziati; la semplicità, che deve valere anche per il paziente, il quale deve confrontarsi con una burocrazia ridotta al minimo. Infine, trattandosi di un approccio di squadra, nei gruppi di lavoro che si stanno istituendo all’interno delle regioni diventa opportuna una rappresentanza della medicina generale. Tra gli strumenti che possiamo mettere in campo, vi è anche la cartella clinica, che aiuta a individuare i pazienti in base ai fattori di rischio e permette di ottenere informazioni sull’interpretazione delle linee guida e sull’indice di vulnerabilità di ciascun individuo. Ne risulta una conoscenza approfondita utile per definire un’auspicata estensione degli screening ad altre popolazioni oltre a quelle già identificate dalla legge”.
Dalla ricerca tramite il database Health Search agli strumenti di governo clinico
Gli strumenti della Medicina Generale per la profilazione dei soggetti maggiormente a rischio di patologia e delle relative complicanze si sviluppano tramite il database Health Search dalla SIMG. “Il MMG è determinante nell’individuare la possibile infezione da HIV o HCV, che hanno certamente un ruolo anche l’attuale situazione pandemica – evidenzia il Francesco Lapi – I soggetti con HIV, ad esempio, sono tra coloro che rispondono meno bene al vaccino e che rischiano una malattia più grave: in epoca prevaccinale, un paziente HIV positivo aveva il 30% di probabilità in più di andare incontro a ingravescenza di Covid; con i vaccini i numeri sono cambiati, ma resta un rischio maggiore di complicanze per i pazienti immunodepressi. Con il database Health Search di SIMG identifichiamo i vari fattori di rischio (classe di età, trasfusioni, comportamenti a rischio, presenza di recente malattia respiratoria o di altre infezioni) e ne deriviamo indicatori di performance assistenziale. Grazie a una quantificazione di ciascun indicatore, il medico può valutare al meglio la propria governance dei pazienti e mettere in atto le procedure assistenziali più proficue per un loro follow up. Queste valutazioni permettono dunque al software di avvisare il medico e di svolgere un’azione preventiva o una maggiore attenzione su determinati pazienti”.