Come risolvere il problema alimentare sulla Luna? La risposta potrebbe arrivare da una specie di lombrichi in grado di colonizzare il suolo lunare e renderlo fertile per la crescita di piante. Lo studio è stato coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Le azioni benefiche dei lombrichi potranno essere sfruttare per la futura crescita delle colture nello spazio
Pisa, 29 marzo 2023 – I lombrichi sono in grado di sopravvivere e riprodursi su un simulante di regolite lunare (l’insieme di sedimenti, polvere e pietre che compongono lo strato più superficiale del suolo lunare). È questo il risultato di uno studio condotto dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che apre nuovi scenari sulla possibilità di una futura crescita di colture nello spazio. Le azioni benefiche dei lombrichi potrebbero essere sfruttate per rendere il suolo lunare fertile e produrre così cibo fresco per gli astronauti.
Lo studio, appena pubblicato su una rivista scientifica internazionale, è stato realizzato in collaborazione tra l’Istituto di BioRobotica, con il prof. Cesare Stefanini e il ricercatore Donato Romano, e il Centro di Ricerca in Scienze delle Piante con la prof.ssa Chiara Pucciariello. Coinvolto anche il Gran Sasso Science Institute (GSSI).
Acqua e cibo sulla luna? Quali soluzioni…
La NASA ha annunciato che la prima donna e il prossimo uomo raggiungeranno la Luna entro il 2024. Uno dei principali problemi delle missioni nello spazio a lungo termine è la limitata possibilità di stivare risorse come il cibo e l’acqua. Nonostante tecnologie come bioregenerative life support system (BLSS) e impianti di space farming siano promettenti per fornire cibo fresco, produrre ossigeno, fissare anidride carbonica e purificare l’acqua per gli astronauti, l’implementazione di questi sistemi è ostacolata dalla necessità di fornire quantità iniziali importanti di risorse dalla Terra.
I lombrichi per favorire le future piantagioni sulla Luna
Lo studio coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna ha investigato la capacità di una determinata specie di lombrico (Eisenia fetida, conosciuto come ‘verme rosso californiano’ e comunemente usato per la produzione di vermicompost) di sopravvivere e riprodursi su un simulante di regolite lunare. Questi animali ospitano nel loro sistema digerente un particolare microbiota che, se rilasciato nel terreno, ha azione di promozione della crescita delle piante e aumento della tolleranza agli stress.
“I risultati della ricerca – dichiara Donato Romano, primo autore dello studio – hanno mostrato come il lombrico possa adattarsi al suolo lunare fornendo un potenziale strumento biologico per promuovere i processi di creazione di suoli extraterrestri abitabili con un conseguente possibile aumento della fertilità della regolite lunare, più adatta ad ospitare le piante e quindi l’uomo”.
L’azione dei lombrichi potrebbe così contribuire a ridurre i costi e le sfide logistiche del trasporto di materiale per la coltivazione dalla terra alla luna, sfruttando così direttamente il suolo lunare.
“Studi precedenti hanno dimostrato come le piante siano in grado di crescere e germinare sulla regolite lunare, in presenza di elementi nutritivi. Questo substrato non è però completamente benefico per la pianta perché può indurre situazioni di stress. Quello che vogliamo studiare in un prossimo futuro è se la presenza dei lombrichi all’interno della regolite lunare possa ridurre questa situazione di stress e rendere questo substrato maggiormente benefico per la crescita delle piante” dichiara Chiara Pucciariello, professoressa associata presso il Centro di Ricerca in Scienze delle Piante.
“Un piccolo gruppo di ingegneri, entomologi e scienziati delle piante si è posto una grande sfida scientifica: come rendere fertile il suolo lunare, di per sé più aggressivo e ostile alla vita rispetto a quello terrestre. Siamo riusciti a dimostrare, primi nel mondo, che una specie di lombrico è capace di sopravvivere su questa superficie. È un primo passo per una possibile coltivazione sulla Luna” commenta Cesare Stefanini, professore ordinario presso l’Istituto di BioRobotica.
(foto: Pixabay)