Roma, 22 marzo 2024 – Tra il 2000 e il 2023, sono stati ben 1.385 i conflitti che hanno visto la risorsa idrica come fattore scatenante o come arma contro le popolazioni. Crescono le migrazioni forzate, tra le zone più interessate il Corno d’Africa ed in particolare la Somalia: nel 2023, secondo UNHCR, quasi 3 milioni di nuovi spostamenti forzati all’interno del Paese per la combinazione di siccità e inondazioni con situazioni di conflitto e insicurezza.
A ciò si aggiunge la difficoltà nelle aree dove le persone rifugiate e sfollate sono accolte a fornire servizi idrici e igienico-sanitari. Le buone pratiche di UNHCR: dall’estensione dell’acquedotto ad Agadez (Niger) alla solarizzazione di 295 pozzi nel 2023. “Urgente una cooperazione internazionale nella gestione sostenibile delle risorse idriche. Anche l’Italia deve fare la sua parte, Governo acceleri su attuazione del PNACC e su relative risorse economiche necessarie a partire da tre azioni chiave”.
L’acqua come ponte verso la pace piuttosto che fonte di conflitto. È l’appello che lanciano Legambiente e UNHCR (Agenzia ONU per i Rifugiati) con il focus “Acqua, conflitti e migrazioni forzate: la corretta gestione delle risorse idriche come strumento di stabilità e pace” (tratto dal report “Un’umanità in fuga: gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate”) presentato in occasione della Giornata mondiale dell’acqua 2024 (World Water Day), quest’anno dedicata proprio al tema della risorsa idrica come strumento di pace.
La crisi idrica globale, diretta conseguenza della crisi climatica (che si manifesta con l’intensificarsi di eventi meteorologici estremi, come siccità, alluvioni e tempeste) e della gestione insostenibile delle risorse idriche, rappresenta una minaccia per il Pianeta ma anche per la pace. Infatti, la gestione e il controllo delle risorse idriche porta sempre di più all’aggravarsi di tensioni e conflitti nelle aree più vulnerabili del mondo con impatti violenti sul futuro delle popolazioni, costrette a fuggire, talvolta verso insediamenti o campi esposti a gravi rischi climatici e dove è sempre più difficile fornire servizi idrici e igienico-sanitari.
Secondo il secondo rapporto Groundswell della Banca Mondiale, si prevede che entro il 2050 circa 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare a causa degli impatti climatici, tra cui lo stress idrico. Tra le parti del mondo più colpite il Corno d’Africa: solo in Somalia nel 2023, secondo le stime dell’UNHCR, la più grande siccità degli ultimi 40 anni e le inondazioni, combinandosi con situazioni di conflitto e insicurezza, hanno causato quasi 3 milioni di nuovi spostamenti forzati all’interno del Paese.
Tornando ai conflitti, tra il 2000 e il 2023 sono stati ben 1.385 quelli legati alla gestione della risorsa idrica (fonte Pacific Institute). Tra questi la guerra civile siriana scaturita, oltre che da tensioni religiose, sociali e politiche, dalla scarsa disponibilità idrica esasperata da un lungo periodo siccitoso (dal 2007 al 2010) e i conflitti nella regione africana del Sahel tra agricoltori e pastori per questioni di uso del suolo e di accesso alle risorse idriche, esacerbati dai lunghi periodi siccitosi, violente piogge e inondazioni.
Alla luce di questo è urgente una cooperazione internazionale nella gestione sostenibile delle risorse idriche. Infatti, secondo l’ONU, seppure 3 miliardi di persone nel mondo dipendano dall’acqua che attraversa i confini nazionali, appena 24 Paesi su 153 dichiarano di avere accordi di cooperazione per l’acqua condivisa.
Anche l’Italia deve fare la sua parte
La sfida di una corretta gestione dell’acqua non riguarda solo i paesi con economie in via di sviluppo ma anche quelli con economie sviluppate, dove si aggravano gli effetti della crisi climatica. Anche l’Italia, che nel corso del 2023 ha registrato un incremento del 22% degli eventi meteorologici estremi rispetto all’anno precedente e che dal 2010 al 31 dicembre 2023 ha contato su 1.947 eventi meteorologici estremi ben 1.168 con protagonista la risorsa idrica (dati aggiornati Città Clima Legambiente), è chiamata a fare la sua parte.
Per questo Legambiente torna a ribadire l’appello al Governo di accelerare sull’attuazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e delle relative risorse economiche necessarie, partendo da:
- una cabina di regia e una governance unica e integrata dell’acqua per risolvere le inefficienze ed ottimizzare i prelievi e gli usi;
- assicurare la buona qualità e la sicurezza dell’acqua per uso potabile, come richiesto dalla direttiva europea 2020/2184 sulle acque destinate al consumo umano, aggiornando i limiti per alcuni inquinanti, aggiungendo altri contaminanti (PFAS e microplastiche) e promuovendo un sistema di monitoraggio che consideri tutta la catena di approvvigionamento dell’acqua potabile e che si basi sul rischio;
- una progettazione e pianificazione integrata e di qualità per ridurre gli usi della risorsa e prevenire l’inquinamento, assicurare una buona qualità in uscita dagli impianti che sia adeguata agli usi per un corretto riutilizzo in agricoltura e nell’industria.
“Riconoscere l’acqua non solo come una risorsa da utilizzare ma come un diritto umano è fondamentale per costruire un futuro pacifico – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale Legambiente – L’acqua è sempre più al centro di molteplici sfide globali, tra cui cambiamenti climatici, migrazioni forzate e conflitti. La crisi climatica e la sua gestione poco sostenibile è un problema che, seppur abbia ricadute gravi in aree del mondo già vulnerabili, riguarda tutti i paesi, anche l’Italia. Per questo torniamo in quest’occasione a chiedere al Governo italiano di fare la sua parte accelerando l’attuazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici proponendo tre azioni chiave”.
“L’accesso all’acqua è un diritto umano fondamentale. Spesso, però, è proprio la mancanza di risorse idriche e la competizione per esse a innescare situazioni di conflitto che costringono le persone a lasciare la propria casa – ha dichiarato Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino – Le popolazioni di rifugiati e sfollate, a loro volta, spesso trovano protezione in regioni del mondo ad alto rischio climatico, dove l’accesso all’acqua è già limitato e le risorse necessarie per sopperire a tale mancanza sono scarse”.
“In questi contesti, è difficile garantire l’accesso a servizi idrici e igienico-sanitari adeguati, con gravi conseguenze sulla salute e sul benessere generale sia delle persone in fuga che delle comunità che le ospitano – prosegue Cardoletti – Attraverso il proprio lavoro, UNHCR si impegna a livello mondiale per garantire l’accesso all’acqua per le persone rifugiate e sfollate e affrontare l’impatto ambientale delle migrazioni forzate”.
Accesso all’acqua, migrazioni forzate e buone pratiche
La difficoltà di accesso all’acqua non è solo causa di conflitti e violenze che possono portare a spostamenti forzati, ma è anche un problema che riguarda le aree di insediamento dei rifugiati e delle persone sfollate. In queste aree, fornire servizi idrici e igienico-sanitari è sempre più difficile a causa dell’alto rischio climatico e della mancanza di risorse necessarie e piani di sviluppo adeguati per affrontare la crisi climatica.
Fiore all’occhiello nel garantire l’accesso all’acqua potabile ai rifugiati e agli sfollati è l’intervento realizzato nel 2022 da UNHCR, e finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, per l’estensione dell’acquedotto ad Agadez (Niger). Ciò ha permesso di collegare il centro umanitario di Agadez – che ospita circa 2.800 persone provenienti principalmente da Sudan, Sud Sudan, Camerun e altri Paesi del Corno d’Africa – all’acquedotto pubblico, sostituendo il vecchio sistema di trasporto su ruote, inefficace, non sostenibile e difficoltoso, e favorendo la convivenza pacifica tra le diverse comunità.
Altro esempio positivo nel garantire il benessere e la sicurezza delle popolazioni ospitate sono i programmi WASH (Water, Sanitation and Hygiene) dell’UNHCR attualmente presenti in 29 Paesi che ospitano oltre 4,7 milioni di rifugiati e persone sfollate, che hanno permesso non solo di aumentare l’accesso medio giornaliero all’acqua per i rifugiati passando da 13 litri per persona nel 2014 a 23 litri nel 2023, ma anche di prevenire la trasmissione di malattie (come il colera in Botswana, Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Malawi e Sudan). Infine, nel 2023 UNHCR ha convertito ad energia solare 295 pozzi (corrispondenti al 50% di quelli presenti in tutte le sue operazioni) con un risparmio annuale di oltre 20.000 tonnellate di CO₂.