L’optogenetica svela come le funzioni biologiche rispondano agli stimoli luminosi sino a “comandare” i geni
Roma, 4 dicembre 2015 – Come spesso accade è la Natura che offre gli spunti della ricerca e in questo caso il pensiero corre al modo in cui proprio la luce è il fattore che regola meccanismi biologici e metabolici in batteri, funghi e alghe. Per non parlare delle piante che dalla luce dipendono anche per il nutrimento. Queste osservazioni della Natura si sono fuse con lo studio della neurofisiologia, con i meccanismi della visione, con la genetica e si sono sposate con le più moderne tecniche di stimolazione ottica cerebrale per portare ad una nuova branca di studi molto promettente, l’optogenetica. Se il nome sembra ostico, sarà più facile ricordarlo quando diremo che nel prossimo futuro con questa tecnica saremo in grado di trattare molte patologie cerebrali e non. L’argomento sarà oggetto di una relazione al Forum delle Neuroscienze in corso a Roma presso l’Accademia dei Lincei, l’evento internazionale che fa il punto sulla ricerca sul cervello.
In termini di tempo la sfida più prossima, alla quale stanno lavorando all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, diretti da Fabio Benfenati, Coordinatore del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, è la realizzazione della prima retina artificiale realizzata con raffinati materiali biocompatibili: “in pratica funziona come un minuscolo pannello fotovoltaico che cattura gli stimoli luminosi e li trasforma in stimoli elettrici capaci di attivare i neuroni posti in contatto con l’interfaccia. Il materiale polimerico (una grande molecola che ha l’aspetto di una lunga catena, alla quale possono essere legate ramificazioni) è in grado pertanto di imitare l’azione dei fotorecettori retinici (coni e bastoncelli) che fisiologicamente trasformano la radiazione luminosa in attività elettrica dei neuroni retinici”.
Si è infatti dimostrato che, una volta impiantato in retine affette da degenerazione dei fotorecettori (quello che succede nella Retinite pigmentosa e nella degenerazione maculare) come protesi retinica, tale materiale è in grado di ripristinare la sensibilità alla luce della retina malata. “Al momento siamo passati dalla sperimentazione sui ratti a quella sui suini, un modello molto più simile a quello umano e se dovesse funzionare potremmo avere i primi test sull’uomo ottimisticamente entro un paio d’anni” prosegue Benfenati.
Ma i ricercatori hanno fatto balzi in avanti ancora più ambiziosi e si sono spinti ad utilizzare delle fibre ottiche per stimolare, proprio con la luce, i neuroni, arrivando a capire che non solo è possibile indurre le cellule nervose a produrre proteine fotosensibili derivate da cellule microbiche (opsine) in grado di eccitare o inibire elettricamente i neuroni se stimolate con la luce, ma addirittura a usare la luce per accendere o spegnere i geni, in una forma raffinata di epigenetica che potremmo definire artificiale.
“Stiamo lavorando su cellule che producono particolari proteine chiamate opsine – prosegue Benfenati – Identificate negli anni ‘70 e oggi utilizzate per ‘dare ordini’ ai neuroni che si vogliono studiare. Attraverso dei vettori virali, ossia virus programmati per veicolare materiale genetico ma che non inducono malattie, è possibile ‘iniettare’ all’interno delle cellule neuronali il gene che codifica l’opsina. L’inserimento di questo gene fa si che il neurone designato, divenga sensibile allo stimolo luminoso e risponda a ‘comandi’ impartiti dall’esterno con una precisione temporale dell’ordine di millisecondi”.
Da questo punto di vista, ‘interrogare’ il cervello con la luce permette di stimolare o inibire in modo specifico solo i neuroni che sono stati trasformati a produrre le opsine fotosensibili, mentre la stimolazione elettrica, usata nell’uomo ad esempio nella terapia del morbo di Parkinson, provoca solo eccitazione in tutte le cellule nella zona in cui viene inserito l’elettrodo, senza distinguere i vari tipi cellulari.
Inserendo i geni delle opsine all’interno dei neuroni, i ricercatori usano la luce emessa da fibre ottiche per innescare a comando l’attività di cellule cerebrali specifiche. Questa tecnologia, detta optogenetica, permette di studiare specifici tipi cellulari nel cervello, eccitandoli, inibendoli o modificando l’espressione genica, cosa impossibile con la semplice stimolazione mediante elettrodi (che esercitano solo una azione eccitatoria).
Verso una “epigenetica artificiale”
Se l’epigenetica è l’azione dell’ambiente sull’attivazione o la disattivazione dei geni, in futuro potremo usare la luce per accendere i geni benefici e disattivare quelli pericolosi a nostro piacimento. Proprio come utilizziamo un comune interruttore, potremo usare la luce per modificare il nostro DNA, modificare geni malati e quindi curare molte patologie. Gli scienziati stanno sfruttando l’optogenetica per capire come gruppi definiti di neuroni causano eventi fisiologici e comportamenti complessi nei vermi, nei moscerini, nei pesci, negli uccelli e nei mammiferi. Questi studi stanno permettendo anche di comprendere l’origine di disturbi come la depressione, i disturbi del sonno, il morbo di Parkinson e la schizofrenia e rappresentano un promettente futuro approccio terapeutico a queste patologie.
L’optogenetica è la combinazione dell’ottica e della genetica, per controllare eventi ben definiti entro qualsiasi specifica cellula del tessuto vivente, non solo di quello nervoso. Comporta, l’inserimento nelle cellule di geni che permettono di rispondere alla luce emessa da particolari sonde a fibra ottica impiantate in siti specifici del cervello.
fonte: ufficio stampa