Abuso e maltrattamento del minore

Gli studi sul fenomeno dell’abuso e del maltrattamento nei confronti dei minori hanno conosciuto, nel corso degli anni, diverse fasi teoriche ed interpretative focalizzando l’interesse sull’abuso fisico e la Sindrome del bambino battuto è stata proposta non tanto come una vera e propria unità sindromica e nosografica, quanto come un modello clinico che mostrava come le diverse condizioni d’interesse psicopatologico potessero originare da ripetuti episodi di violenza fisica nell’ambiente familiare. L’altro aspetto rilevante riguardava la necessità di far emergere situazioni che tendevano a restare nascoste, “sepolte” nella vita familiare. Inevitabilmente, l’attenzione si è spostata su un altro problema, più o meno direttamente connesso all’abuso fisico: l’abuso sessuale, intra ed extra-familiare, legato al fenomeno della pedofilia.

In ogni momento, dalla gestazione fino all’adolescenza, il bambino e la famiglia sono costretti a confrontarsi con sfide evolutive, possibili rischi e situazioni traumatiche. Di fronte ai vari problemi, sia il bambino che la famiglia utilizzano i propri modelli di adattamento. Dal successo di questi dipenderà la riuscita delle loro competenze e la capacità di ridurre i possibili esiti della loro vulnerabilità. I fallimenti nell’adattamento impongono al bambino e ai suoi familiari di uscire dal fisiologico processo di crescita e di seguire un percorso di sviluppo nel quale il disagio rischia di aumentare esponenzialmente.

Un bambino, che si trova a crescere in una famiglia disfunzionale, non è in grado di seguire una linea di sviluppo equilibrata; presenta spesso difficoltà nelle relazioni sociali, corre il rischio d’incontrare fallimenti negli studi e nell’inserimento lavorativo per divenire, a sua volta, un genitore inadeguato. Il destino di molti bambini è così segnato da un susseguirsi di fallimenti che possono aprire la strada che conduce, in molti casi, alla devianza sociale o al disturbo mentale.

Gli episodi di abuso, a danno di un minore, vengono commessi anche sui diversamente abili, troppo spesso ingiustamente considerati come coloro che si trovano al di fuori della norma, i fuori rotta con le loro bizzarrie; sono, nel contempo, quelle persone che presentano maggior fragilità e debolezza, vittime di soprusi ed abusi nascosti perché ritenute non in grado di poter parlare.

Se il diversamente abile compie male qualcosa, ci sono diverse motivazioni alla base: non riesce a realizzare l’accaduto a causa di un limite dettato dal ritardo mentale, oppure non riesce a descrivere con dovizia di particolari l’episodio, a causa di difficoltà nella verbalizzazione del vissuto o perché il suo vocabolario risulta assai povero e, dunque, fatica in maniera esacerbante a descriverlo. Questo non rappresenta l’assoluto! Ci sono situazioni in cui un diversamente abile può parlare in merito ad un evento, sfruttando anche quelle poche parole che ha immagazzinato nel corso della sua vita.

Fino a qualche decennio addietro, si riteneva la vittima un semplice soggetto passivo, che si limitava a subire il reato e tutte le sue conseguenze. La vittimologia ha sottolineato, invece, come la vittima possa, a volte, rivestire un ruolo importante e determinante nei momenti di maggior interesse per le scienze criminologiche, quali quello del reato e del processo.

Se pensiamo, anche solo per un istante, a ciò che accade nel momento in cui viene commesso un reato, magari particolarmente grave (per l’allarme sociale che ha provocato), efferato (per le modalità con le quali è stato compiuto) o riprovevole (per la “tipologia di vittima” che ha colpito), vedremo come, dopo un primissimo momento nel quale tutta la solidarietà è rivolta alla vittima, l’attenzione si concentra, fin da subito, sull’autore di reato. Nel momento in cui l’autore catalizza, seppur involontariamente, tutta l’attenzione su di sé, automaticamente la vittima inizia ad essere dimenticata…

I casi di maltrattamento e abuso hanno bisogno di un’accurata analisi, per accertare la veridicità dell’accaduto ed evitare il rischio di mettere alla gogna giudiziaria e mediatica quella persona che “non ha commesso il fatto”. Non sono rari, infatti, i casi di persone che hanno subìto ingiustamente accuse così gravi, a causa dello scarso interesse nelle indagini e della povertà di conoscenze in materia di ascolto del minore abusato. Non è possibile, oggi, proporre affermazioni basate solo su semplici teoremi, ipotesi e non da modelli interpretativi validati e “falsificabili”. Per questo motivo, sarebbe giustissima la continua e specifica formazione per tutte quelle figure che ruotano attorno all’infanzia, in grado di cogliere, partendo dalle conoscenze cliniche di base, e interpretare cambiamenti, innovazioni e sperimentazioni.

Il Documento d’indirizzo per la formazione in materia d’abuso e maltrattamento all’infanzia, approvato il 6 aprile del 2001, individua tre chiari obiettivi relativi alla formazione: l’acquisizione delle competenze utili al rilevamento precoce dell’abuso all’infanzia. Rilevare significa raccogliere le informazioni necessarie affinché l’eventuale segnalazione scaturisca da un “sospetto sufficientemente fondato”. Il secondo, riguarda l’acquisizione delle conoscenze e competenze necessarie, durante il processo, della valutazione dell’abuso per consentire la messa in opera di specifiche competenze relative alla propria professione.

L’ultimo, è relativo all’acquisizione delle conoscenze e competenze necessarie per il sostegno ed il trattamento del bambino vittima di abuso. In tal caso, interagiscono anche gli strumenti giuridici di protezione del bambino e quelli finalizzati all’accertamento del reato di maltrattamento o di atti sessuali. Parliamo di Forze dell’Ordine, Tribunale per i Minori, la Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario, GIP, il Giudice Civile che si occupa di separazioni e affidamenti, talvolta il Giudice Tutelare, affinché si possa fornire una fondamentale piattaforma interpretativa per programmare interventi efficaci a favore proprio dei minori.

Tina Iannella

Tina Iannella

Neuropsicomotricista dell’età evolutiva. Criminologa forense. Fondatrice e presidente dell’associazione “Il Bambino Incompreso” - onlus

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