Le notizie intorno a Ebola occupano da tempo le prime pagine dei giornali e dei media di tutto il mondo e con varie sfumature di toni si prevedono scenari presenti e futuri, creando allarmismi ingiustificati e rassicurazioni eccessive. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine per avere un’idea di quale sia la reale situazione nel mondo.
La malattia da virus Ebola è una malattia grave, spesso fatale per l’uomo, con un tasso di mortalità di circa il 50% che colpisce gli uomini e i primati (scimmie, gorilla, scimpanzé). Il nome “Ebola” deriva da un fiume della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), presso il quale nel 1976 si verificò uno dei primi due focolai epidemici.
Il cosiddetto serbatoio naturale del virus è rappresentato molto probabilmente dai pipistrelli della frutta e dalle volpi volanti, grossi chirotteri che mangiano frutta e abitano le foreste tropicali; si pensa che il virus “viva” all’interno di questi animali da moltissimo tempo perché non causa in essi nessun sintomo. Per arrivare all’uomo il virus potrebbe essere passato dalle volpi volanti alle scimmie, o ad altri animali della foresta, e infine all’uomo attraverso il consumo del bush-meat, cioè della carne ricavata da animali selvatici. Il periodo di incubazione (dal momento del contagio all’insorgenza dei primi sintomi) va da 2 a 21 giorni.
Il virus Ebola si trasmette attraverso il contatto diretto (attraverso ferite della pelle o mucose) con sangue o altri liquidi o materiali biologici, quali saliva, feci, vomito, sperma, incluse le secrezioni salivari, o il contatto indiretto (per via cutanea o attraverso le mucose), con oggetti contaminati con sangue o altri liquidi biologici (ad esempio aghi). Non vi sono evidenze di trasmissione del virus per via aerea. Gli operatori sanitari sono stati i più esposti al virus durante la cura dei pazienti con Ebola, perché, in particolare nelle prime fasi della epidemia, non hanno indossato dispositivi di protezione individuale idonei.
I sintomi più ricorrenti sono l’insorgenza molto rapida di febbre, mal di testa, senso di debolezza, dolori alle ossa e ai muscoli. Con il progredire della malattia compaiono diarrea (talvolta con presenza di sangue), vomito, perdita di appetito e mal di stomaco. Questa prima fase può durare fino a 10 giorni. La malattia poi evolve in maniera devastante assumendo le caratteristiche tipiche di una febbre emorragica. L’infezione da malattia da virus Ebola può essere confermata solo attraverso test virologici. Durante il periodo di incubazione le persone non sono considerate a rischio di trasmettere l’infezione perché il paziente diventa contagioso tramite secrezioni quando comincia a manifestare sintomi e si mantiene contagioso fino a quando il virus è rilevabile nel sangue. L’eliminazione del virus tramite allattamento e per via sessuale può proseguire anche dopo la guarigione clinica. In particolare, la permanenza del virus nello sperma può verificarsi fino a 7 settimane dopo la guarigione.
Non esistono vaccini o farmaci specifici con efficacia dimostrata a contrastare l’azione del virus e pertanto, anche se ci sono stati tentativi con la trasfusione di sangue di individui colpiti ma sopravvissuti, il trattamento ospedaliero per i malati di Ebola si limita purtroppo al supporto del paziente e alla gestione dei sintomi. Al momento non è possibile identificare i pazienti infetti durante il periodo di incubazione (ovvero prima dell’inizio dei sintomi), neanche con i test molecolari.
A questo punto ritengo che sia molto importante sapere, per evitare inutili allarmismi, come non si può contrarre il virus Ebola:
- venendo in contatto con persone senza sintomi (ma che poi sviluppano la febbre emorragica) perché con Ebola ci si può contagiare solo con persone che hanno già i sintomi della malattia;
- viaggiando in aereo con una persona che poi ha sviluppato i sintomi;
- attraverso la puntura di una zanzara. Ebola si diffonde solo tra mammiferi e non ci sono prove dirette che venga trasportato come avviene per esempio per la malaria con le zanzare.
Ricordiamo anche che il virus Ebola viene ucciso facilmente da sapone, candeggina, luce solare o asciugatura; il lavaggio in lavatrice di indumenti contaminati da liquidi è sufficiente a distruggere il virus Ebola che sopravvive solo per breve tempo su superfici esposte alla luce solare o secche. L’ipotesi del cambiamento nelle modalità di trasmissione del virus Ebola non ha per ora nessun fondamento; è vero che Ebola – come tutti i virus – è soggetto a mutazioni genetiche, ma queste non sono mai tali da determinare un cambiamento delle caratteristiche di trasmissione.
Per quanto riguarda la probabilità che Ebola arrivi in Italia bisogna sottolineare che il rischio che un malato di Ebola raggiunga l’Italia è di circa il 5-10% in quanto l’Italia non ha collegamenti aerei diretti con i paesi africani dove è in corso l’epidemia, così come è molto improbabile che possa arrivare sui barconi dei profughi perché chi arriva nel nostro Paese via mare affronta un viaggio lungo, durante il quale, se la malattia c’è, dovrebbe già manifestarsi.
Concludendo, possiamo affermare che l’emergenza Ebola riguarda soprattutto l’Africa perché i paesi occidentali hanno i mezzi per rintracciare e isolare coloro che sono stati in contatto con chiunque abbia contratto la malattia, e hanno i mezzi per trattare e curare coloro che sono stati contagiati. Per contenere l’epidemia la strategia prevede di riuscire a isolare efficacemente gli infetti per evitare il contagio di altre persone e di rintracciare le persone con cui i malati hanno avuto contatti. L’altra possibilità è di riuscire a mettere a punto un vaccino in grado di immunizzare l’intera popolazione a rischio; tuttavia, anche nella migliore delle ipotesi, serviranno mesi prima di avere un numero di dosi confrontabile con le persone da vaccinare.
Per questo motivo l’OMS durante l’ultima riunione del Comitato di Emergenza a Ginevra ha detto che Ebola continua a costituire un’emergenza sanitaria pubblica di rilievo internazionale, e ha espresso “grande preoccupazione” per la situazione nei tre paesi dell’Africa occidentale più colpiti. Ha anche spiegato, però, che il successo ottenuto in Senegal e Nigeria dimostra come sia possibile fermare il contagio grazie a una diagnosi precoce, a una pronta risposta, a campagne di sensibilizzazione e al sostegno delle organizzazioni esterne.