Dolore cronico non oncologico: ne soffre un quarto della popolazione italiana

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“Occorre un miglioramento della diagnosi e del trattamento del dolore cronico non oncologico che affligge gran parte degli italiani e il cui impatto in termini di costi e di qualità di vita è ancora difficile da stimare”. Così racconta nell’intervista Gennaro Savoia, direttore Uosc anestesia e rianimazione presso il Cardarelli di Napoli

medico-paziente-visitaRoma, 10 dicembre 2015

Professore, quali sono le principali novità che stanno emergendo dai Congressi in corso di svolgimento?
“La congiunzione di due Congressi, il XIV ACD SIAARTI (incontro annuale dei quattro gruppi di studio SIAARTI che fanno capo all’area culturale dolore SIAARTI dolore acuto e cronico, dolore da cancro e cure palliative, anestesia ed analgesia in ostetricia ed in anestesia locoregionale) e la XXV edizione del congresso SIA sicurezza in anestesia sta offrendo quattro corsi di aggiornamento (dolore cervicale, cure palliative, ecografia in anestesia locoregionale, percorsi sicuri in ostetricia e nella medicina del dolore) numerose letture sui vari argomenti; tavole rotonde sul trattamento del dolore postoperatorio, sul trattamento del dolore intervallare nel dolore da cancro, sul ruolo e sulle problematiche del dolore coniugato al femminile (bollino rosa) e sulle modalità dell’insegnamento in medicina del dolore. Dopodomani ci sarà lo scontro finale (ARENA) tra fautori delle tecniche multimodali contro tecniche interventistiche”.

Quali sono le principali criticità nel trattamento del dolore acuto e cronico?
“La costruzione delle reti regionali in hub e spoke in congiunzione con il processo di riorganizzazione della medicina di base, secondo i dettami della legge 38 del 2010, procede in Italia a macchia di leopardo e richiede un monitoraggio continuo dell’appropriatezza delle prestazioni erogate e della qualità delle cure, soprattutto nel setting a lungo termine della presa in carico di alcune forme di dolore cronico quali il dolore spinale, osteoartrosi e il dolore neurodegenerativo e neuropatico con scenari clinici che durano 10-20 anni e più, ove bisogna bilanciare tra rischi e benefici di tecniche farmacologiche multimodali e tecniche interventistiche i cui esiti vanno seguiti e valutati a lungo termine”.

Secondo lei, il consumo di morfina e più in generale di oppioidi, in Italia, è ancora inadeguato rispetto alle reali esigenze terapeutiche dei pazienti. Cosa si dovrebbe fare?
“Anche se si è osservata in Italia un continuo aumento dei consumi di morfinici negli ultimi cinque anni siamo ancora al di sotto dei consumi medi europei; c’è una serie di preconcetti culturali nella classe medica ancora duri da sradicare anche se è aumentata la consapevolezza delle complesse problematiche in gioco; vi è anche la consapevolezza culturale da parte dei medici del dolore italiani che i progressi si dovrebbero misurare non solo con l’aumento dei consumi di morfinici, ma anche con il miglioramento della qualità di vita e del coping a lungo termine dei pazienti affetti da dolore cronico, ottenuto bilanciando le tecniche di analgesia multimodale (morfinici + paracetamolo + adiuvanti (gabapentinoidi ed antidepressivi ) con l’impiego appropriato e mirato delle tecniche mininvasive “.

Professore, cosa si sta facendo in Italia per ridurre il dolore cronico?
“Tutte le società scientifiche coinvolte e in primis la SIAARTI sono convinte che solo stimolando un processo di aggiornamento culturale continuo a beneficio di tutta la classe medica sarà possibile un miglioramento continuo nella diagnosi e nel trattamento del dolore cronico non oncologico, la cui prevalenza riguarda un quarto della popolazione italiana ed il cui impatto in termini di costi e di qualità di vita a lungo termine è ancora tutto da valutare”.

fonte: ufficio stampa

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