La Legge 38/2010, approvata all’unanimità dal Parlamento italiano e considerata un modello di eccellenza dalla Commissione Europea, è ancora misconosciuta a troppi operatori sanitari. Ne abbiamo parlato con il prof. Guido Fanelli, ordinario di Anestesia e rianimazione dell’Ospedale di Parma nonché l’estensore tecnico della legge e autore del libro, in via di pubblicazione, “La legge del dolore. Una storia di riscatto tutto italiano”
Roma, 9 dicembre 2015
Professore, nel suo ultimo libro che sta per essere pubblicato, “La legge del dolore. Una storia di riscatto tutto italiano”, afferma che da varie ricerche risulta cha a fine 2015 all’incirca il sessanta per cento dei medici italiani ignora l’esistenza della legge 38. Oltre alle sinergie con la SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) quali altre iniziative potrebbero essere intraprese per aumentare le potenzialità della legge 38, fiore all’occhiello non solo in Europa ma nel mondo?
“Le iniziative sono state molteplici in questi ultimi anni: dalla Campagna di comunicazione in occasione della Giornata della Sofferenza del 2011 ai banchetti informativi per i medici. Occorre informare i medici ma soprattutto l’opinione pubblica, attraverso qualsiasi mezzo divulgativo”.
Il dolore cronico è una malattia e non un sintomo. È possibile fare una stima di quante ore lavorative si perdono in Italia ogni anno per il dolore cronico. La spesa per il dolore come potrebbe essere meglio utilizzata?
“In Italia, ogni anno, si perdono quaranta milioni di giornate lavorative per dolore cronico benigno, (non dolore da cancro) e in Europa sono oltre cinquecento milioni le giornate di lavoro perse. Negli Stati Uniti si stima che il costo sociale del dolore sia superiore alla somma di quello dei tumori, delle malattie cardiovascolari e del diabete”.
A cinque anni dall’applicazione della legge 38 quanti sono i centri specializzati per la diagnosi e la terapia del dolore in Italia? Quali le Regioni più virtuose?
“La legge 38 ha avuto percorsi attuativi e uno di questi è stato quello dell’individuazione dei requisiti minimi per diventare centro Hub. Per questi ultimi ne devono essere previsti uno ogni due milioni e mezzo di abitanti. Oggi, in Italia, abbiamo sedici centri Hub con delibera regionale attiva. La Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Toscana, il Lazio e la Campania sono a norma ma ci sono Regioni che non hanno ancora deliberato o dove la delibera è scaduta”.
Professore, di cosa soffrono di più gli italiani? Il mal di schiena e il mal di testa sono ancora in vetta alla classifica come qualche anno fa?
“Il mal di schiena rappresenta più del trentacinque per cento del dolore cronico benigno”.
Secondo lei i cassetti degli italiani sono ancora troppo pieni di antinfiammatori?
“Sì, assolutamente. L’Italia è leader mondiale nel consumo degli antiinfiammatori e questo è un triste primato tutto italiano. L’Aifa ha, infatti, dato limitazioni sull’uso degli antiinfiammatori. Non sono solo gli anestesisti a prescrivere gli antinfiammatori, ma anche ortopedici e medici di famiglia”.
Nel corso del Congresso ACD SIAARTI che si terrà nei prossimi giorni, il titolo di una sessione da lei moderata è “Quid novi nel dolore post operatorio”. Cosa c’è dunque di nuovo nel dolore post operatorio?
“Da un lato una nuova organizzazione, dall’altra nuove vie di somministrazioni di vecchi farmaci e nuovi devices elettronici. La ricerca non ha più soldi per nuove molecole. Queste le principali novità per il dolore acuto postoperatorio”.
fonte: ufficio stampa