Tumore ovarico: test HRD cruciale per terapia personalizzata, ma l’accesso in Italia è ancora disomogeneo
La profilazione molecolare, che guida la scelta delle terapie più efficaci, oggi è effettuata solo in alcuni centri. A Roma il 26° Congresso della Società Europea di Oncologia Ginecologica (ESGO)
Roma, 24 febbraio 2025 – La metà dei casi di tumore dell’ovaio presenta alterazioni dei geni coinvolti nella riparazione del DNA. Sono chiamati deficit di ricombinazione omologa (HRD, Homologus Recombination Deficiency), in cui rientrano, ad esempio, le mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, e sono in grado di guidare la scelta della terapia più efficace. Il test HRD, che identifica questi deficit genetici, dovrebbe essere eseguito in tutte le donne al momento della diagnosi. Ma oggi in Italia non è così, perché la situazione è ancora a macchia di leopardo.
Da qui la richiesta dell’Ovarian Cancer Commitment (OCC), presentata al 26° Congresso della Società Europea di Oncologia Ginecologica (ESGO) in corso a Roma, di garantire la rimborsabilità e un accesso omogeneo al test HRD contestualmente alla diagnosi. OCC è un’iniziativa di ESGO, della Rete europea dei gruppi di advocacy del cancro ginecologico (ENGAGe) e di AstraZeneca, con l’obiettivo di migliorare la conoscenza della malattia, la qualità di vita e la sopravvivenza delle donne colpite da carcinoma ovarico.
Al Congresso ESGO, insieme a SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia), OCC ha presentato la versione italiana del sito Olivia (ovarian.gynecancer.org/it), una risorsa digitale che offre informazioni e supporto alle pazienti che affrontano il percorso di cura e che può essere utile anche per i familiari, i caregiver e i clinici. Olivia è una piattaforma unica nel suo genere, include infatti il “percorso del tumore ovarico”, uno strumento interattivo “disegnato” in base alle esigenze della paziente in ogni fase della malattia, dalla diagnosi, ai trattamenti, all’assistenza continua fino all’eventuale recidiva. Alle iniziative di OCC è dedicata una conferenza stampa oggi a Roma.
“Nel 2024, in Italia, sono state stimate circa 5.400 nuove diagnosi di tumore dell’ovaio. Si tratta di una delle neoplasie ginecologiche più gravi – spiega Anna Fagotti, Presidente ESGO, Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore dell’Unità Operativa Complessa Tumore Ovarico alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma – La sopravvivenza a 5 anni resta bassa, pari al 43%, anche perché troppe donne, circa l’80%, scoprono la malattia in fase avanzata. A differenza di quanto avviene nei tumori del colon-retto, della mammella e della cervice uterina, in questa patologia mancano efficaci strumenti di screening. Inoltre, il 70% delle pazienti con carcinoma ovarico in stadio avanzato va incontro a recidiva entro due anni. L’oncologia di precisione ha cambiato la pratica clinica. Infatti oggi vi sono terapie mirate, in particolare gli inibitori di PARP, che possono essere utilizzati in combinazione con farmaci antiangiogenici come terapia di mantenimento di prima linea e sono in grado di ottenere una remissione a lungo termine, aiutando a vivere più a lungo e ritardando la progressione della malattia”.
La scelta di questi trattamenti richiede l’esecuzione del test HRD. “Il difetto di ricombinazione omologa rappresenta un ‘errore’ nel meccanismo di riparazione della doppia elica del DNA, presente in circa il 50% dei casi di carcinoma ovarico – continua la prof.ssa Fagotti – Il test HRD, che consente di individuare anche le mutazioni BRCA, deve costituire il primo step di un approccio di medicina di precisione per definire la miglior cura e va eseguito in tutte le pazienti al momento della diagnosi. L’esecuzione di questo test richiede piattaforme tecnologiche corredate da software che generano specifici algoritmi, attualmente presenti soltanto in pochi centri specializzati. Ciò determina una grande barriera all’accesso a queste importanti analisi genetiche e, pertanto, un limite all’utilizzo delle terapie innovative. L’Ovarian Cancer Commitment, pertanto, chiede che siano identificati i requisiti dei laboratori in grado di realizzare queste analisi e che siano create reti laboratoristiche regionali”.
“Fa ben sperare la proposta avanzata di una rimborsabilità non più riferita al singolo gene, come avvenuto per il BRCA, ma a pannelli multigenici – afferma Nicoletta Cerana, Presidente Acto Italia (Alleanza contro il tumore ovarico ETS) – È una nuova prospettiva con cui guardare alle mutazioni e alla complementarietà tra test genomici e genetici e alla loro indispensabilità. L’accesso equo a test molecolari che permettono di definire la terapia su misura di ogni paziente e la possibilità di essere curate nei centri di riferimento di alta specialità, che eseguono un elevato numero di interventi chirurgici all’ovaio, non sono ancora una realtà in Italia. Come rileva il Policy Paper di OCC, nel nostro Paese solo 3 centri possiedono un volume di interventi annui superiore a 100. La grande maggioranza non supera i 20 casi l’anno e non può ottenere la certificazione ESGO. A ciò si aggiunga che solo 7 Regioni hanno identificato i centri di riferimento regionali e le loro caratteristiche”.
“Attraverso OCC, chiediamo alle Istituzioni di adottare in breve tempo un PDTA nazionale, che definisca i requisiti dei centri di riferimento – spiega Manuela Bignami, Direttore di Loto OdV – ESGO ha identificato gli standard essenziali che prevedono, in particolare, la presenza di un chirurgo specializzato, un volume soglia di almeno 30 interventi annui, la presenza di team multidisciplinari ed expertise oncologiche con possibilità di accesso agli studi clinici. Anche nel sito Olivia è evidenziato il ruolo dei team multidisciplinari, l’unico approccio che garantisca un’alta qualità delle cure. OCC ha realizzato Olivia proprio per fornire a pazienti e caregiver tutte le informazioni, attraverso un percorso interattivo, che spazia dalla diagnosi, ai test genetici, ai trattamenti fino al follow up, includendo le storie delle donne che hanno vissuto l’esperienza della malattia, un glossario dei termini medici tradotti in un linguaggio accessibile a tutti, l’elenco delle Associazioni di pazienti e schede informative su temi come la nutrizione e l’esercizio fisico, la recidiva e il supporto psiconcologico”.
“Tutte le informazioni contenute in Olivia sono state validate da clinici e pazienti – conclude la prof.ssa Fagotti – Il periodo successivo alla diagnosi è molto difficile per le pazienti, impegnate a trovare un equilibrio fra i bisogni clinici, inclusi quelli relativi al trattamento, e la necessità di condurre una vita quanto possibile normale. La versione in inglese di Olivia fu lanciata nel 2022 proprio per rispondere alle difficoltà delle pazienti e dei familiari nella ricerca di informazioni certificate. In questi anni sono state realizzate versioni in altre lingue, che hanno riscosso grande apprezzamento, e da oggi la piattaforma è disponibile anche in italiano. Olivia può trasformare l’esperienza della malattia, aiutando non solo le pazienti e i caregiver, ma anche i clinici”.