Roma, 26 novembre 2024 – A che età è corretto parlare di educazione sessuale con il proprio figlio o la propria figlia? Quali parole dovrebbero essere usate? Qual è l’approccio più indicato? Posso contare sul pediatra di famiglia? Quanto conta la scuola? Ci sono differenze tra maschietti e femminucce? Se anche voi siete genitori di figli o figlie adolescenti, probabilmente vi siete posti queste e altre domande per tentare di affrontare al meglio questo delicato argomento.
Un intervento di educazione sessuale, in realtà, non consiste in una ‘lezioncina’ che si fa al bambino in un determinato momento. È piuttosto una educazione che si costruisce e che coinvolge non solo la sessualità ma anche il comportamento, la costruzione del sé e l’autostima. Dunque, anche l’educazione alla sessualità comincia già dall’educazione generale che i genitori danno ai propri figli.
Un bambino che viene educato al rispetto per sé e per gli altri, alla propria integrità e alla propria dignità, è un bambino che già comincia ad avere basi educative che poi saranno importanti anche nell’ambito della sessualità.
“L’approccio deve essere prima di tutto mirato e individualizzato – spiega all’agenzia Dire la dott.ssa Maria Carmen Verga, pediatra di libera scelta Asl Salerno, Vietri sul Mare, e segretario nazionale della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) – partendo da un’analisi del contesto, ovvero diversificato in base a chi mi trovo di fronte e in quale contesto sto lavorando. La divisione, infatti, non è tanto tra maschietti e femminucce, perché le differenze più importanti sono quelle culturali, quelle legate all’età e al carattere”.
“Già alle scuole elementari – continua – i bambini fanno proprie le differenze di genere e già alle scuole medie hanno elaborato le proprie idee e i propri pregiudizi. Bisogna quindi intervenire molto presto, prima dell’adolescenza. Non trascuriamo, inoltre, le differenze culturali: è chiaro che affrontare i problemi che riguardano la sessualità con bambini e adolescenti che appartengono ad alcuni nuclei familiari è un tabù, comporta un problema non indifferente. Con ogni adolescente, comunque, con qualsiasi famiglia dobbiamo davvero approcciarci in modo determinato, perché si tratta di una educazione finalizzata alla protezione stessa del ragazzo o della ragazza, però adeguata e rispettosa della cultura e delle sensibilità individuali”.
“Ad esempio – prosegue Maria Carmen Verga – possiamo avere di fronte il bambino o l’adolescente che ha scarsa autostima di sé: in questo caso l’educazione alla sessualità deve cominciare necessariamente prima di tutto dalla costruzione dell’autostima, perché se non abbiamo un carattere ben strutturato, su quelle insicurezze e su quelle fragilità si può poi innescare anche un vissuto della sessualità distorto, poco sereno e soddisfacente. Su tutti, il rischio di vivere rapporti che non sono sani ed equilibrati”.
Viene dunque data molta importanza alla costruzione di relazioni sane. “E per costruire relazioni sane, rispettose e soddisfacenti – evidenzia la pediatra – è necessario costruire anche la personalità del bambino e del ragazzo. Contestualmente, oltre alle specifiche conoscenze legate alla sessualità, ci sono anche quelle conoscenze normative, di legge, dei propri diritti, che devono essere portate a conoscenza del ragazzo. Ecco perché si parla di una educazione sessuale completa”.
Ma cosa può fare in tutto questo il pediatra? “Il pediatra di famiglia, in Italia, ha la grande possibilità di seguire la famiglia e i bambini/ragazzi fin dalla nascita – risponde – supportando i genitori nell’educazione del proprio figlio e nel promuovere un adeguato dialogo tra genitori e figli: è infatti provato che un rapporto di fiducia con i genitori e familiari e una buona comunicazione sono un fattore protettivo importante per rapporti e sessualità sana. Il pediatra dovrebbe entrare nell’ambito dei programmi di educazione alla sessualità, perché è ormai dimostrato da anni che gli interventi soggettivi occasionali non servono assolutamente a nulla: svolgere la classica lezione a scuola non ha, infatti, alcun tipo di efficacia nel modificare i comportamenti”.
“Bisogna, invece, perseguire obiettivi e metodologie anche multidimensionali che non siano focalizzate solo sulla sessualità – dice ancora la dott.ssa Verga – ma anche sulle capacità personali, promuovendo le proprie competenze di vita, le cosiddette ‘Life skills’, coinvolgendo direttamente i ragazzi. È però necessario che il pediatra, ma anche gli operatori scolastici e i genitori, abbiano poi una specifica formazione su come approcciare questo tipo di problema con i ragazzi”.
Secondo l’esperta, “bisogna comunque partire da una breve analisi preliminare del contesto, cercare di parlare quando si creano progetti con piccoli gruppi, considerare da quanti soggetti siano formati, che età abbiano, quali siano i bisogni insoddisfatti e i riferimenti culturali. Bisogna stabilire degli obiettivi mirati all’età e costruire una serie di strumenti come poster, storie, brain storming, giochi di ruolo in cui devono essere stimolate anche le capacità comunicative e di confronto. Ma non deve essere una lezione in cui in ragazzi ascoltano in modo passivo, perché il coinvolgimento attivo e una metodologia attiva di apprendimento incidono molto di più sui comportamenti. E poi, eventualmente, vedere se vi siano anche dei piccoli strumenti di valutazione per verificare ciò che i ragazzi hanno recepito”.
Secondo il Global Early Adolescent Study dell’OMS, intervenire più precocemente è davvero fondamentale, perché gli stereotipi sulla sessualità sono quelli che si inculcano prima nella mente dei bambini. “È bene – afferma il segretario nazionale della SIPPS – che già dalle età più precoci fino alle più grandi vi sia una formazione continua. Si è infatti visto che quando si fanno questi progetti e quando si svolge un’educazione sessuale completa, si assiste a una diminuzione delle gravidanze precoci e delle malattie sessualmente trasmesse, a un aumento dell’uso dei contraccettivi e a un numero inferiore di relazioni insane”.
Tutto questo è particolarmente importante perché negli ultimi tempi si registra un aumento delle relazioni violente o comunque abusanti nell’ambito delle coppie di adolescenti. “Questi adolescenti lasciati a sé stessi, in balia dei mass media – informa Maria Carmen Verga – tendono prima di tutto ad avere modelli distorti e ideali sia del corpo, come ragazze bellissime o uomini adulti superdotati, sia degli atti sessuali, che inducono molta frustrazione, perché la realtà dell’adolescente è ben diversa. Si ha inoltre un maggior rischio ad avere relazioni di coppia che non sono rispettose, equilibrate, paritarie e soddisfacenti. Anzi, spesso vi trovano spazio situazioni di sopraffazione e di abuso psicologico. Ed è proprio la costruzione di una sana relazione di coppia, in realtà, alla base di una educazione alla sessualità vera e propria. Non meno importante è la necessità di puntare sull’educazione tra pari, la cosiddetta ‘peer education’, cercando di formare gli stessi ragazzi per la formazione dei propri compagni”.
Purtroppo, di un tema così importante come l’educazione sessuale si parla poco a scuola, il luogo dove i ragazzi e le ragazze passano gran parte del proprio tempo. “Si parla poco e se ne parla male – precisa la dott.ssa Verga. L’Italia è uno dei pochi Paesi in Europa che non ha programmi istituzionali e nazionali di educazione alla sessualità, non c’è alcun investimento su questo problema educativo e preventivo. Ai ragazzi, a volte, sono offerte semplici lezioni di scienze. È proprio per questo che è importante una formazione specifica tra gli operatori, anche scolastici, che devono occuparsi di educazione alla sessualità, che non può essere improvvisata. Vi sono proprio linee guida su come impostare le lezioni”.
“I genitori – ricorda – sono le figure deputate a prendere per mano un bambino, un adolescente e insegnargli quale sia la strada corretta da percorrere nell’ambito della sessualità. Sono infatti loro che hanno i figli in casa, che li vedono davanti alla televisione, che possono parlare con loro di qualunque argomento. L’aiuto che i genitori devono dare ai pediatri, dunque, è davvero grande e parte tutto da loro. La famiglia, però, deve essere formata nella comprensione dell’importanza di questo tipo di educazione”.
“A tal proposito – interviene il presidente della SIPPS, Giuseppe Di Mauro – la nostra Società scientifica ha realizzato il progetto ‘Chiedi a me’
(https://www.sipps.it/wp/wp-content/uploads/2023/12/SIPPS_booklet_
2023_HR_singole.pdf), un vero e proprio booklet di ginecologia e di educazione alla salute che contiene video della durata di un minuto, destinati non solo agli adolescenti ma anche ai genitori, proprio per sapere come e quali parole usare per rispondere alle domande dei propri figli, ma possibilmente anche per intuire tali domande. È un progetto estremamente importante, perché le tematiche sono spiegate sempre sulla base di evidenze scientifiche”.
È evidente che per fare questo, il genitore deve crescere il bambino in un clima di confronto, di apertura, cercare di sollecitare la confidenza del proprio figlio, di fargli capire che non devono esistere tabù o chiusure rispetto a qualsiasi tipo di curiosità che lui o lei possano avere.
Maria Carmen Verga tiene però a ribadire che “non esiste una educazione esclusivamente sessuale. Noi, infatti, non abbiamo una persona suddivisa in compartimenti stagni. Abbiamo, invece, una persona che è un tutt’uno e tutto ciò che interviene in quella persona influisce sul resto. Per il nostro ordine mentale tendiamo a catalogare cose come sessualità, educazione, apprendimento scolastico, ma in realtà sono tutte componenti della crescita e dello sviluppo del bambino che si intersecano l’una con l’altra. Ecco perché educare un bambino anche nella semplice buona educazione è una cosa che poi si può ripercuotere in futuro anche nei suoi rapporti di coppia. Dare al bambino la soddisfazione delle proprie capacità è una cosa che gli dà autostima, una cosa che lo porterà a crescere libero. E lo stesso vale per la sessualità: se il bambino pone una domanda su questo tema e la domanda non cade nel vuoto, il bambino stesso vivrà la propria sessualità senza particolari inibizioni, sicuramente in modo molto più sereno”.
Il pediatra, grazie alle guide anticipatorie, non deve aspettare, deve essere pronto a rispondere a richieste specifiche nel momento in cui c’è l’esigenza, ma deve anche saper intervenire nei tempi giusti, oltre che con le modalità e con il linguaggio corretti, in modo da preparare prima il genitore ai problemi che possono presentarsi e a quello che devono fare nel periodo successivo.
A quale età è dunque corretto parlare di educazione sessuale con un bambino? “Le linee guida dell’OMS e dell’Unesco pubblicate nel 2020, quelle in base alle quali dobbiamo parlare di una educazione sessuale completa, la ‘Comprehensive sexuality education’ – le parole di Immacolata Scotese, pediatra di famiglia a Campagna, provincia di Salerno – suggeriscono a pediatri e genitori di affrontare l’argomento fin dalla primissima infanzia. Dai 3 ai 5 anni si può iniziare a insegnare i nomi corretti dei genitali senza usare soprannomi, per esempio. L’abitudine che abbiamo a tutte le latitudini di dare un soprannome agli organi genitali maschili e femminili va abolita. Questo, ad esempio, perché i predatori sessuali hanno la tendenza a utilizzare il nome scientifico dicendo “Mi fai vedere il pisellino?”. Se noi indichiamo l’organo genitale con il nome corretto e non con il soprannome, a quell’età gli conferiamo già una maggiore autoconsapevolezza e uno strumento per potersi difendere. Dai 3 ai 5 anni, l’età prescolare, bisogna poi favorire il rispetto delle proprie parti, cioè avere rispetto delle zone intime del proprio corpo ma anche del proprio spazio corporeo. Nei bambini un po’ più grandi, quelli tra i 6 e gli 8 anni, la cosa importante sarebbe rispondere alle domande spontanee sulla riproduzione senza anticiparle. Ma bisogna farlo in modo semplice, non fantasioso, non poetico, cercando di aumentare la consapevolezza dei propri limiti e del proprio corpo. Quando entriamo nella pre-adolescenza e nell’adolescenza, quindi a partire dai 9 anni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unesco invitano poi ad accogliere i cambiamenti della pubertà e, soprattutto, delle emozioni che l’accompagnano”.
“In queste linee guida – aggiunge Immacolata Scotese – sia l’OMS che l’Unesco pongono molto l’accento sulle emozioni, sulle emotività, sul rispetto e sull’accettazione del sé. Quando poi il ragazzo, la ragazza, sono un po’ più maturi, quindi verso i 12-13 anni, le linee guida individuano le modalità per parlare anche di prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse e di contraccezione. Probabilmente, però, parlare di contraccezione a 13 anni è un po’ tardi, se si considera che l’età del primo rapporto sessuale si è notevolmente abbassata. L’importante è non far radicare in questi ragazzi concetti sbagliati”.
Uno fra tutti, secondo Scotese, è fondamentale: “L’adolescente deve sempre avere a disposizione la doppia contraccezione. La femminuccia deve assumere la pillola anticoncezionale e pretendere che il ragazzo usi il condom, che deve essere indossato prima di qualsiasi contatto con i genitali: il ragazzino che è alle prime esperienze non conosce infatti il proprio corpo come un uomo maturo e potrebbe essere travolto dall’atto sessuale. Pertanto si corre il rischio di una gravidanza indesiderata ma anche di contrarre una delle tante malattie sessualmente trasmesse”.
Cosa possono fare i genitori per supportare i pediatri? “L’OMS ha stilato alcuni punti. Il primo – dice Immacolata Scotese – è creare un ambiente di ascolto aperto e senza giudizio: i ragazzi si devono sentire a proprio agio, ma questo è un ambiente che si costruisce nel tempo, non si improvvisa. Il genitore dovrebbe essere una persona aperta e accogliere le differenti posizioni sul tema dell’inizio dell’attività sessuale. Un genitore non si deve solo preoccupare di queste tematiche, ma piuttosto se ne deve occupare. Lasciamo dunque che le domande che pongono i nostri figli siano accolte, mentre se siamo in difficoltà o non sappiamo rispondere non rispondiamo, potremmo dire che ne riparliamo una seconda volta, con onestà. Se i ragazzi esprimono dei dubbi, accogliamo questi dubbi e condividiamoli”.
Secondo Immacolata Scotese, “quello che i genitori devono fare è dare informazioni certe sull’obiettivo, che è quello di proteggere i ragazzi dalle malattie sessualmente trasmesse e anche dalle gravidanze indesiderate. In una società come quella odierna è dunque fondamentale mantenere un ascolto aperto e privo di giudizio”.
Il secondo punto stilato dall’OMS si sofferma sulle modalità di parlare ai figli. “Bisogna far sì che l’argomento delle conversazioni sia affrontato brevemente ed è fondamentale approfittare del momento: ad esempio, se la televisione lancia un input su un determinato tema, io ne devo approfittare per parlarne con mio figlio, mia figlia, ma senza fare tutto un capitolo sulla contraccezione. I genitori, dunque, dovranno essere bravi a parlare con i propri figli senza ricorrere a tecnicismi, a meno che non siano gli stessi ragazzini a chiederlo. Voglio poi ricordare ai ragazzi e alle ragazze alle prime armi che il profilattico non si apre mai con i denti, perché il lattice si può danneggiare, e ribadire che va messo prima di qualunque contatto tra i genitali. Non si tiene in macchina, perché le alte temperature lo possono danneggiare. Molti, poi, i ragazzi che lo conservano nella custodia del telefonino, altra cosa sbagliatissima, così come tenerlo nel portafoglio. I profilattici vanno tenuti nello zaino o nelle borse. È fondamentale che il profilattico sia in buone condizioni, perché potrebbe rompersi durante l’atto sessuale”.
“Credo – conclude Immacolata Scotese – che tutti noi, genitori, pediatri, ragazzi, tutto il mondo, ci dobbiamo preparare alla fluidità di genere: i giovani sono pronti, loro sono innamorati dell’amore, non del sesso”.