Lombalgia aspecifica e noduli di Copeman: terapie mirate per ristabilire mobilità e benessere

Per lombalgia si è soliti intendere una forma molto diffusa di dolore o fastidio aspecifico della regione lombare bassa, lombosacrale e/o sacroiliaca, talora irradiato al primo prossimale degli arti inferiori. Una condizione spesso indotta dalla scarsa mobilità specifica che caratterizza l’odierna quotidianità, con lunghi periodi di tempo trascorsi in posizione seduta (talvolta in posizione ergonomicamente non idonea) genera dolore e perdita progressiva di funzione, insorta per effetto degli adattamenti connettivali a una più breve distanza fra l’origine della fibra e la sua inserzione.

Il prolungarsi del periodo di immobilizzazione genera inoltre una repentina degenerazione del tessuto connettivo. I tessuti connettivi sono sensibili a una diminuzione delle forze meccaniche più di quanto non lo siano a un progressivo aumento: la mancanza temporanea di stimoli meccanici (periodi di immobilità relativa) genera modifiche strutturali adattive difficilmente regredibili, legate all’orientamento delle fibre del connettivo e alla composizione della sostanza amorfa di base con riduzione della lubrificazione interfibrillare, sclerotizzazione del tessuto fibrograssoso e formazione di aderenze.

In area lombare, questa condizione è caratterizzata dalla presenza di fibrolipomi (noduli di Copeman) in grado di provocare dolore trafittivo. All’indagine ecografica questi appaiono come lesioni ipoecogene (non vascolarizzate) del sottocute, ben circoscritte nella parte superiore della cresta iliaca di uno o entrambi i lati.

Dott. Claudio Santoro

Potenziali biomarcatori della disfunzione meccanica, sebbene presenti in buona parte delle persone con dolori lombari, nella fase clinica vengono spesso trascurati in favore di verosimilmente asintomatiche lesioni discali o ipotetiche alterazioni radicolari. Al tatto si presentano come strutture nodulari presenti lungo il decorso dell’osso iliaco, variabili nella forma, la cui palpazione provoca fastidio (iperestesia) o dolore, localizzato o esteso alla porzione laterale delle gambe. Sono spesso integrate in un’adesione patologica del tessuto fibroconnettivalelombo-sacrale, dolente al reclutamento e al tatto (estensivo).

La condotta terapeutica deve tener conto degli effetti assolutamente non favorevoli che lo stato di riposo assoluto o immobilità hanno sul decorso dell’alterazione, poiché in grado di contribuire a rallentare la guarigione e cronicizzare la lesione.

È ormai assunto che i fibroblasti hanno una notevole capacità proliferativa in seguito a stimoli lesivi: nel giro delle 48 ore successive all’evento primo, infatti, comincia un processo proliferativo che continua aumentando in maniera progressiva ed esponenziale per ulteriori 20 giorni circa. Maggiore è il periodo di permanenza nello stato di alterazione, più complessa sarà la fase di ripristino degli equilibri funzionali.

Condizioni generali (di salute e fisiche) del paziente, sintomi denunciati, alterazioni funzionali registrate, ecc., costituiscono quella base su cui strutturare un protocollo d’intervento utile a migliorare la funzione per eliminare il dolore. Considerato che le tecniche di mobilizzazione dovrebbero essere usate secondo necessità e opportunità, graduate in base al feedback del paziente, alla definizione dell’iter terapeutico e all’esperienza clinica dell’operatore, ogni intervento in correzione andrebbe affrontato definendo due momenti principali:

  1. fase neuro-muscolare e connettiva, finalizzata a ridurre le rigidità tissutali, migliorandone funzione. Mobilizzazioni tissutali lente, progressive e prolungate, con movimenti delicati ma decisi, rispettosi o meno della direzione di fibra, all’uopo associati a pressioni ischemiche, devono puntare a:
    • ripristinare la mobilità dei tessuti salvaguardando il movimento tissutale fisiologico (risoluzione delle aderenze in essere);
    • produrre iperemia locale per diminuire il dolore e regolare il flusso di substrati e metaboliti (eliminazione delle tossine infiammatorie);
    • orientare le fibre di collagene nel modo più idoneo, così da resistere ai carichi di natura meccanica (aumento delle capacità elastiche tissutali);
    • stimolare i meccanocettori per inibire i messaggi afferenti nocicettivi (eliminazione del dolore).
  2. fase articolare, tesa dapprima a raggiungere un arco di movimento non doloroso, così da stimolare l’orientamento delle fibre di collagene (incremento dell’agitazione del liquido tissutale, prevenzione o risoluzione di aderenze tra fibre, effettuazione di stiramenti longitudinali, ripristino della normale funzione, riduzione di eventuali corpi mobili liberi); quindi il raggiungimento del massimo arco disponibile (barriera funzionale), prolungando per qualche secondo la permanenza in posizione, così da determinare l’allungamento permanente del collagene (interruzione delle aderenze capsulari, riduzione del dolore e miglioramento della funzione). In ultima analisi, laddove necessari, una manovra di minima ampiezza e massima velocità sviluppata alla fine dell’arco di movimento (barriera strutturale), tale da: sbloccare le articolazioni interessate (L4-L5-S1 e sacro-iliaca), ridurre lo spostamento intra-articolare, eliminare la condizione di compressione e iperpressione (interruzione di aderenze periferiche), limitare al massimo ogni fattore di rischio, ripristinando una funzione completa ed indolore.

Ad esse fa seguito la fase rieducativa, utile a consentire il miglioramento e il potenziamento delle capacità di equilibrio e coordinazione motoria attraverso un programma di lavoro teso a correggere la funzione motoria e colmare gli squilibri meccanici da cui si è ingenerato il dolore.

Dott. Claudio Santoro

Dott. Claudio Santoro

Dottore di Scienze in Chiropratica. Dottore di Scienze in Osteopatia. Specialista in Neuroriabilitazione. Master in Aging Brain. Perfezionato in Recupero della Funzione Motoria e Sportiva

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