Nuove speranze nella lotta contro la SLA: una scoperta potrebbe trasformare il futuro dei pazienti

(foto: Pixabay)

Milano, 28 ottobre 2024 – Un importante studio internazionale coordinato dal National Institute on Aging (NIH) e pubblicato su Cell Genomics, che ha visto la partecipazione di diversi centri di ricerca italiani e milanesi in particolare, ha identificato un promettente approccio terapeutico per i pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) causata da mutazioni del gene C9orf72, la forma genetica più comune della malattia.

Lo studio ha permesso di identificare l’acamprosato, farmaco già approvato per il trattamento della dipendenza da alcol, come potenziale terapia per rallentare la progressione della malattia nei pazienti con mutazioni del gene C9orf72. Gli esperimenti condotti su cellule motoneuronali derivate da pazienti hanno dimostrato che l’acamprosato ha infatti un effetto neuroprotettivo paragonabile o superiore a quello del riluzolo, l’attuale standard di cura per la SLA.

I ricercatori del “Centro Dino Ferrari” dell’Università degli Studi di Milano sia della Fondazione IRCCS Istituto Auxologico Italiano – tra cui la dott.ssa Silvia Peverelli, la dott.ssa Cinzia Tiloca, il prof. Nicola Ticozzi, il dott. Federico Verde, la prof.ssa Antonia Ratti e il prof. Vincenzo Silani – che della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico – tra cui la prof.ssa Daniela Galimberti, la dott.ssa Maria Serpente, la dott..ssa Chiara Fenoglio, il prof. Elio Scarpini, il prof. Giacomo P. Comi, la prof.ssa Stefania Corti e il dott. Roberto Del Bo – hanno contribuito a questo importante studio che ha analizzato dati genomici di oltre 41.000 individui affetti da SLA.

Prof. Vincenzo Silani

Il gruppo italiano fa parte del Consorzio SLAGEN fondato anni addietro per favorire la ricerca genetica sulla SLA. Autore co-senior del lavoro è la dott. Isabella Fogh che ha a lungo soggiornato in Inghilterra anche con il contributo del Centro Dino Ferrari, che sempre ha profuso generoso supporto ai ricercatori.

I ricercatori hanno anche scoperto che i fattori genetici che influenzano il rischio di sviluppare SLA sporadica possono modificare l’età di esordio nei pazienti con mutazioni di C9orf72, fornendo nuove informazioni sulla variabile espressione clinica della malattia.

“L’originalità dell’ approccio sta nell’ avere inizialmente focalizzato la ricerca su varianti geniche influenzanti l’ età di esordio dei pazienti con mutazione nel gene C9orf72 – commenta il prof. Nicola Ticozzi, direttore dell’UO di Neurologia dell’Auxologico San Luca di Milano – per utilizzare poi questa strategia per identificare molecole terapeuticamente efficaci”.

“Questo studio rappresenta infatti un importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi alla base della SLA legata a mutazioni di C9orf72 e nell’identificazione di nuove terapie – commenta la prof.ssa Stefania Corti – L’approccio innovativo basato sull’analisi dei dati genomici ha permesso inoltre di identificare un farmaco già disponibile che potrebbe essere rapidamente testato in trials clinici”.

“La completezza dello studio sta nella conferma di efficacia utilizzando modelli in vitro – precisa la prof.ssa Antonia Ratti – ottenuti da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs) differenziate a cellule motoneuronali umane quale modello di prezioso significato biologico per testare molecole di impiego clinico”.

“Questi risultati aprono nuove prospettive per lo sviluppo di terapie personalizzate per i pazienti con SLA – aggiunge il prof. Giacomo P. Comi – La possibilità di utilizzare un farmaco già approvato potrebbe accelerare significativamente il processo di sviluppo di nuovi trattamenti”.

“La disponibilità di un affiatato consorzio come SLAGEN e la collaborazione decennale delle due sedi del Centro Dino Ferrari – conclude il prof. Vincenzo Silani, direttore del Laboratorio di neuroscienze dell’Auxologico – rappresenta una garanzia per il progresso scientifico relativo ad una malattia scarsamente curabile come la SLA ed un riferimento per la crescita di future generazioni di ricercatori”.

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