Un ‘passaporto farmacogenetico’ basato sul Dna indicherà farmaci e dosi più efficaci per ogni paziente

È il sequenziamento genomico sull’intera popolazione la sfida nella cura delle malattie e non solo di quelle rare. Di “pangenomica” e di nuove prospettive per una medicina ad personam si parla oggi durante un evento voluto dal genetista Giovanni Romeo. Evento organizzato dall’Accademia delle Scienze presso la Johns Hopkins University con l’obiettivo di spiegare con un linguaggio semplice gli enormi progressi della genetica umana

Bologna, 5 giugno 2024 – È l’approccio su cui lavorano gli scienziati oggi, che potrebbe determinare un nuovo concetto di sanità pubblica e di ospedale tecnologico, dove le scelte terapeutiche si potrebbero basare anche sull’assetto genomico del singolo paziente. Si chiama pangenomica la nuova frontiera che permetterà di aumentare le informazioni sul genoma individuale per un approccio medico veramente personalizzato, influendo sulla cura ma anche la prevenzione delle malattie. Un genoma è l’insieme delle istruzioni che il DNA utilizza affinché ogni creatura vivente si sviluppi e funzioni.

“Le sequenze del genoma differiscono leggermente tra gli individui. Nel caso degli esseri umani, i genomi di due persone sono, in media, identici per oltre il 99%. Le piccole differenze contribuiscono all’unicità di ogni persona e possono fornire informazioni sulla sua salute, aiutando a diagnosticare una malattia, prevedere gli esiti e stabilire i trattamenti medici” spiega il prof. Marco Seri, Direttore Scientifico IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico di Sant’Orsola.

“Per comprendere queste differenze genomiche, è necessario avere una sequenza di genoma umano di riferimento da utilizzare come standard. La sequenza originale del genoma umano di riferimento ha quasi 20 anni ed è stata regolarmente aggiornata man mano che la tecnologia ha apportato nuove conoscenze. Tuttavia, il suo apporto può risultare limitato nella rappresentazione della diversità della specie umana, poiché consiste di genomi di sole 20 persone circa e la maggior parte della sequenza di riferimento, circa il 70%, proviene da una sola persona, un americano con origini europee e africane”.

“Il nuovo ‘pangenoma’ include le sequenze del genoma di 47 persone provenienti da Africa, Asia, Americhe ed Europa, e l’obiettivo dei ricercatori è quello di aumentare le sequenze del genoma a 350 persone. Dal momento che ognuno ha un genoma unico, l’utilizzo di un genoma di riferimento basato prevalentemente su una singola persona può portare a disuguaglianze nelle analisi genomiche alterando l’interpretazione e di conseguenza, per esempio, la previsione di una malattia genetica. In altre parole, così sarà possibile quindi avere a disposizione per ogni individuo una mappa completa delle sue criticità, e di tutte le sue specificità nel reagire”.

Ma il nostro Sistema Sanitario Nazionale riuscirebbe a sostenere i costi di questa nuova visione? “Se da una parte dobbiamo tenere in considerazione i costi legati alla produzione e conservazione del dato – conclude il prof. Marco Seri – dall’altra dovremmo considerare i risparmi dovuti sia alla riduzione dei costi legati a terapie non appropriate sia a quelli inerenti percorsi diagnostici spesso molto lunghi. Inoltre dobbiamo considerare i risparmi per ricoveri e cure continuative di quei pazienti affetti da patologie complesse e/o croniche che potevano essere prevenute”.

Al meeting, fortemente voluto dal prof. Giovanni Romeo, genetista che si sta adoperando per la diffusione della conoscenza della genetica tra il pubblico e in particolare tra i giovani, partecipano diversi altri esperti e ricercatori di livello internazionale. Tra questi, Steve Desiderio Professore Emerito di Biologia Molecolare e di Genetica – JHU, Baltimore, Maryland, che racconta in parole comprensibili come funzionano i vaccini a mRNA(finora usati contro il Covid) un ingegnoso “cavallo di Troia” biologico che nel primo anno di utilizzo hanno salvato 10 milioni di vite. Smentendo fra l’altro un luogo comune: non è vero che siano stati creati frettolosamente, la loro messa a punto è frutto di 30 anni di ricerca.

Altrettanto chiare le spiegazioni di Daniela Turchetti, Direttrice della Genetica Medica del S.Orsola di Bologna: i rapporti tra genetica e cancro non si esauriscono nella predisposizione ereditaria. È vero che circa un paziente oncologico su dieci si ammala a causa della presenza nel suo DNA di un’alterazione che favorisce lo sviluppo di tumori, e che conoscerla in tempo permette di fare una prevenzione efficace. Ma non tutti sanno che oggi individuare i difetti genetici specifici che stanno alla base di ogni tipo di cancro permette di individuare la terapia davvero più precisa (farmaci a bersaglio molecolare), consentendo di monitorare l’evoluzione dei tumori durante la loro cura mediante la (cosiddetta “biopsia liquida”).

Un altro argomento di grande interesse è quello proposto dal prof. Francesco Chemello, Associato di Genetica presso l’Università di Bologna, l’editing genetico: si tratta di una sorta di “forbice” molecolare, la tecnica CRISPR-Cas9, che permette di “curare” i geni difettosi, causa di determinate malattie: lo si adopera già contro l’anemia falciforme e la beta-talassemia; ora ricerche dello stesso prof. Chemello stanno dimostrando che in futuro si potrà utilizzare anche contro altre malattie genetiche, quali la distrofia muscolare di Duchenne.

Covid e genetica è infine il tema di Tommaso Pippucci, professore a contratto della Struttura di Genomica computazionale del S. Orsola di Bologna. L’obiettivo è capire perché certi pazienti hanno superato facilmente la malattia mentre per altri è stata letale. Oggi la situazione Covid non è più critica come prima, ma tuttora ci sono pazienti che non sono capaci di eliminare il virus e vanno incontro ad una infezione e malattia cronica. Dipende dai geni? Ci si sta arrivando.

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