Roma, 18 aprile 2024 – Il nostro servizio sanitario deve continuare a essere definito universalistico. Liste d’attesa, mancanza di medici, di ospedali e di posti letto, concorsi deserti, specializzazioni senza iscritti, progressivo definanziamento mettono a rischio il rispetto dell’articolo 32 della Costituzione e dei principi fondanti del nostro modello di cura.
In appena due anni, durante l’emergenza Covid, addirittura il numero dei posti letto è diminuito, e ne sono stati tagliati 32.508: nel 2020 erano 257.977, ridotti a 225.469 nel 2022. Si stima che, negli ospedali italiani, manchino almeno 100mila posti letto di degenza ordinaria e 12mila di terapia intensiva. L’età media dei medici è sempre più elevata, con ben il 56% che ha più di 55 anni rispetto al 14% della Gran Bretagna e percentuali anche più basse in altri Paesi.
Entro il 2025, andranno in pensione 29.000 camici bianchi e 21mila infermieri, senza un sufficiente inserimento di nuovi professionisti. Circa 11.000 clinici ospedalieri (non in età da pensione) hanno già scelto di lasciare le strutture pubbliche fra il 2019 e il 2022. E sempre più giovani, formati a spese dello Stato (circa 150mila euro ognuno), vanno all’estero, dove ricevono stipendi anche tre volte superiori rispetto all’Italia e con condizioni di lavoro nettamente migliori.
Diminuisce anche il numero dei nosocomi: in 10 anni ne sono stati chiusi 95, il 9%. Nel 2012 erano 1.091, nel 2022 sono calati fino a 996, con una riduzione più consistente per quelli pubblici (67 in meno, da 578 a 511). Non solo. Nel 2024, il finanziamento del Fondo sanitario nazionale è aumentato in termini assoluti rispetto al 2021, ma è diminuito rispetto al PIL ed eroso in modo molto consistente dalla maggiore inflazione. Inoltre, queste risorse sono state in larga parte utilizzate per aumenti contrattuali irrisori del personale, che non sono in grado di contenere l’esodo dei medici.
Oggi in conferenza stampa a Roma, nella sede della rappresentanza in Italia del Parlamento e della Commissione Europea (Esperienza Europa – David Sassoli), 75 Società Scientifiche riunite in FoSSC (Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri ed Universitari Italiani) chiedono al Governo una grande riforma strutturale, con provvedimenti urgenti per salvare il servizio sanitario e mantenere il suo carattere universalistico.
“Dodici Regioni su 21 non garantiscono non la totalità, ma neppure la minima sufficienza dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè le cure considerate fondamentali. La maggioranza presenta infatti valori sotto la soglia in almeno una delle tre macroaree prese in esame: prevenzione, assistenza sul territorio e ospedale – spiega Francesco Cognetti, Coordinatore del Forum – E si tratta dei LEA attualmente in vigore che risalgono addirittura al DPCM 29 novembre 2001, o meglio ai DM del 1996 e 1999, aggiornati con il DPCM 12 gennaio 2017, ma mai attuati”.
“Inoltre – affermano le 75 Società Scientifiche riunite in FoSSC – l’introduzione dei nuovi parametri, pur pubblicati ad agosto 2023, è stata rinviata al 2025 per carenza di risorse. E le Regioni dovrebbero sobbarcarsi anche il cospicuo onere delle nuove prestazioni, la maggior parte delle quali sono divenute ormai parte integrante della corretta pratica clinica. Le più deboli e povere, in particolare quelle sottoposte a Piano di rientro, di certo non possono farlo. Le Società Scientifiche chiedono come sia possibile solo pensare in queste condizioni al varo della legge sull’Autonomia Differenziata. Fenomeni drammatici, quali le liste di attesa per prestazioni diagnostiche necessarie e la eterogeneità per terapie che avrebbero un effetto positivo sul decorso di gravi malattie, nonché le attese interminabili, anche di giorni, nei Pronto Soccorso prima del ricovero nei reparti di degenza, sono dovuti a gravissime carenze strutturali e organiche. È urgente risolvere questi problemi con una riforma strutturale e di sistema degli ospedali, con lo stanziamento di risorse davvero adeguate per rispondere ai principali parametri in vigore negli altri Paesi europei e con la vera realizzazione delle reti territoriali per patologie”.
“Va anche osservato che tutti i Paesi europei, durante la pandemia, hanno prodotto aumenti del finanziamento pubblico alla sanità nettamente superiori al nostro – continua il prof. Cognetti – Dal 2012 al 2021 l’incremento per l’Italia è stato solo del 6,4%, rispetto al 33% della Germania, al 24,7% della Francia e al 21,2% della Spagna”.
Negli ultimi 10-12 anni, i Governi che hanno preceduto quello attuale hanno operato tagli irresponsabili. Ma ora, anche nel 2024, il finanziamento del Fondo sanitario nazionale si attesta solo al 6,4% rispetto al PIL, come indicato nel Documento di Economia e Finanza dello stesso Ministero dell’Economia, con la previsione di un’ulteriore diminuzione al 6,3% nel 2025 e 2026, fino al 6,2% nel 2027. Al netto dell’inflazione, quest’anno risulta addirittura una diminuzione delle risorse pubbliche destinate alla sanità del 6,2% rispetto al 2021.
Una tendenza preoccupante, visto che l’OCSE per i Paesi che investono poche risorse in sanità, come l’Italia, prevede un auspicabile investimento pari ad almeno l’1,4% in più rispetto al PIL 2021, che equivale ad un aumento annuo di ben 25 miliardi di euro.
Di conseguenza, la contribuzione alla spesa sanitaria da parte dei privati cittadini è in continua ed esponenziale crescita e, nel 2022, ha raggiunto la cifra di ben 41 miliardi e 500 milioni di euro, in vistoso incremento rispetto agli 8-12 miliardi degli anni precedenti, con un valore doppio rispetto a Francia e Germania, che equivale al 24% della spesa complessiva (171 miliardi e 867 milioni).
“Come evidenziato dalla Corte dei Conti – affermano le Società Scientifiche – la grave crisi di sostenibilità del servizio sanitario nazionale non garantisce più alla popolazione un’effettiva equità di accesso alle prestazioni sanitarie, con intuibili conseguenze sulla salute delle persone e pesante aumento della spesa privata. Il servizio sanitario, dopo aver sostenuto l’impatto della pandemia, soffre di una crisi sistemica, accentuata dalla fuga del personale, non adeguatamente remunerato, cui si dovrebbe rispondere, a livello nazionale e regionale, con decisioni ed investimenti non più rinviabili, nei campi dell’organizzazione, delle strutture, della formazione e delle retribuzioni”.
Per frenare l’emorragia dei medici è necessario intervenire con provvedimenti immediati. Nei prossimi 7 anni, in base alla previsione della Commissione istituita dal Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, saranno 30mila i medici in più, ma i tempi sono troppo lunghi, vista la significativa carenza attuale e occorrono altre iniziative.
“L’obiettivo deve essere il passaggio dal numero chiuso a quello programmato – sottolineano le Società Scientifiche – Sono necessari anche sostanziali aumenti retributivi, soprattutto per le specialità mediche ‘neglette’ (ad esempio Emergenza-Urgenza, Anestesiologia e Rianimazione, Radioterapia e alcune Chirurgie), i cui bandi per i corsi di specializzazione negli ultimi anni sono restati in gran parte deserti. A nulla servono i minimi aumenti stipendiali dell’ultimo contratto rispetto alle retribuzioni molto più elevate che i nostri giovani medici trovano in altri Paesi europei, anche confinanti con il nostro. E va considerata l’immissione in ruolo di figure professionali quali l’infermiere di ricerca, i data manager e i biostatistici, soprattutto in IRCSS e Policlinici Universitari, oltre a figure esperte di temi quali l’Intelligenza Artificiale e Data Mining, da formare attraverso percorsi innovativi”.
L’inserimento di nuovi professionisti è stato impedito per molti anni dai tetti di spesa per il personale e dai blocchi delle assunzioni, in un quadro desolante di totale mancanza di programmazione da parte di tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi 10-12 anni. E oggi siamo costretti ad inserire nei servizi specializzandi, anche dei primissimi anni di corso, senza che questo provvedimento sia stato oggetto della necessaria discussione e programmazione.
“Oggi la conferenza stampa si svolge in una sede istituzionale, quale quella italiana del Parlamento e della Commissione europea, a significare l’assoluta necessità che il servizio sanitario dell’Italia, Paese fondatore dell’Unione europea, sia ricondotto e adeguato agli standard vigenti negli altri Stati che fanno parte dell’Unione – continuano le Società Scientifiche – Serve una grande riforma di sistema, che tenga conto delle diversità dei bisogni di salute, del progresso delle tecnologie e dell’organizzazione degli ospedali. L’Italia occupa il 22° posto nella graduatoria europea del numero di posti letto. La media italiana è di 314 posti letto di degenza ordinaria per 100mila abitanti rispetto alla media europea di 550 e di 8-10 posti letto di terapia intensiva per 100mila abitanti rispetto ai 30 della Germania e a più di 20 della Francia. Ma il PNRR prevede di riservare solo l’8,3% dei fondi previsti alla Sanità, di cui la maggior parte per il potenziamento dell’assistenza territoriale e per l’avvio di strutture quali le Case e gli Ospedali di comunità, che sarà molto difficile da realizzare per la carenza di personale medico e di infermieri. Vengono destinate risorse agli ospedali, ma solo per l’aggiornamento tecnologico e per la ricerca scientifica, nulla invece per il potenziamento strutturale e organico o per l’acquisizione di nuovo personale. Le conseguenze sono un’insufficiente interazione ospedale-territorio e un’irrazionale compartimentalizzazione del sistema. Allo scopo di affrontare e cominciare a risolvere tutti questi problemi, nel giugno 2023 era stato dato avvio, al Ministero della Salute, a un Tavolo Tecnico sulla riforma dei DM 70 e 77, cui il nostro Forum ha offerto un contributo immediato e fattivo con la presentazione di documenti, analisi e proposte che, purtroppo, non hanno ancora ricevuto accoglienza. Manteniamo, in ogni caso, la nostra più totale disponibilità alla collaborazione con il Governo e le forze politiche”.
Sono necessari più investimenti anche in prevenzione. “È scientificamente dimostrato che il 40% di patologie a grande incidenza, come i tumori e le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari, può essere evitato grazie agli stili di vita sani – concludono le Società Scientifiche – Anche la prevenzione secondaria è fondamentale. Ma le percentuali di cittadini che aderiscono agli screening oncologici sono pari a circa il 40% per la mammografia e per il Pap Test o l’HPV test ed inferiori al 30% per lo screening colorettale. L’Unione Europea chiede a tutti i Paesi membri di raggiungere, entro il 2025, il livello del 90% di adesione per tutti e tre i programmi. Si tratta di un obiettivo molto ambizioso, ma è importante sollecitare l’azione delle Regioni in questo settore, eventualmente prevedendo sistemi premianti o penalizzanti in termini di risorse economiche da destinare a livello locale. Inoltre, il Piano Oncologico Nazionale 2023-2027, che allo stato è solo un pregevole trattato di oncologia, deve essere trasformato in un vero e proprio piano operativo e adeguato allo ‘Europe’s Beating Cancer Plan’ della Commissione europea, documento snello, incisivo e sintetico, con la previsione di iniziative ed obiettivi precisi ed un cronoprogramma nonché la possibilità di accedere a finanziamenti per la sua realizzazione. Analogamente, la Strategia Nazionale per la Salute del Cervello 2024-2031, che sancisce la ratifica del Governo Italiano al Piano Globale sulla Salute del Cervello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, deve essere implementata in tutte le Regioni, per ridurre l’impatto delle malattie neurologiche e mentali in tutte le fasce di età”.