Team dell’Università di Padova, partner di INF-ACT, ha partecipato alla scoperta che può cambiare le strategie di prevenzione di questa malattia infettiva. Studio pubblicato su Nature Microbiology
Padova, 10 aprile 2024 – Non si sono ancora registrati focolai in Italia, ma il virus è presumibilmente già presente nel nostro Paese e si sta lentamente diffondendo in Europa. Un virus temuto, quello della febbre emorragica Crimea-Congo, che può essere letale fino al 40% dei casi e che l’OMS considera una delle malattie infettive di importanza prioritaria e dal potenziale pandemico.
Oggi, però, fa meno paura grazie allo studio “Crimean–Congo haemorrhagic fever virus uses LDLR to bind and enter host cells” pubblicato su Nature Microbiology dove è stato individuato il recettore che consente l’ingresso del virus nelle cellule.
“La scoperta ha la potenzialità di cambiare le strategie di contrasto di questa febbre emorragica: conoscendo il modo in cui il virus interagisce con le proteine per introdursi nella cellula, potremo scoprire come disattivare il meccanismo. In pratica ora conosciamo la serratura e la chiave che il virus usa per infettare le cellule – spiega Cristiano Salata, professore di Microbiologia e Virologia al Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova, inserita nella rete INF-ACT – È stato il risultato di un’importante collaborazione internazionale, in cui noi abbiamo contribuito consentendo l’identificazione del recettore, recettore che poi si è dimostrato funzionare sia con virus modello di laboratorio che con i virus isolati da pazienti, sia con quelli isolati dalle zecche”.
La febbre emorragica della Crimea-Congo è la seconda febbre emorragica trasmessa da vettore più diffusa dopo la dengue. È una patologia virale trasmessa dalle zecche del genere Hyalomma, che infestano sia mammiferi e uccelli selvatici, sia capi di bestiame. In Europa si sono registrati contagi su esseri umani in Spagna e nei Balcani, mentre la Turchia è tra i principali epicentri della malattia.
“In Italia non si sono ancora registrati casi di contagio sull’uomo, ma è considerato un paese ad alto rischio di introduzione della malattia. Sebbene al momento non siano state trovate zecche infettate, in Basilicata sono stati individuati dei bovini che avevano gli anticorpi contro il virus suggerendo una circolazione del virus tra gli animali. Questo ci ha spinto a unire le forze tra vari enti appartenenti ad INF-ACT per una ricerca più meticolosa del virus nel territorio italiano”, prosegue Cristiano Salata.
“Stiamo raccogliendo i frutti della rete di collaborazioni creata proprio per preparare l’Italia a eventuali pericoli epidemici – dice Federico Forneris, presidente della Fondazione INF-ACT – Con soddisfazione vedo che i nodi si rafforzano. In quest’ambito, per esempio, grazie a un lavoro congiunto tra il gruppo di Salata dell’Università di Padova e quello di Domenico Otranto, professore ordinario di malattie parassitarie degli animali del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari, entrambi atenei partner di INF-ACT, si collabora al monitoraggio del virus della febbre emorragica della Crimea-Congo in Basilicata, lì dove si è registrata la presenza di anticorpi contro il virus in mammiferi domestici”.
“Inoltre, con il supporto della rete degli Istituti zooprofilattici si è estesa l’attività di monitoraggio anche al Nord-Est, grazie a Fabrizio Montarsi e colleghi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, al Centro, grazie a Ilaria Pascucci e colleghi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, e alle Isole, grazie a Giovanna Masala e colleghi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna”, conclude Forneris.