Uno studio condotto da MUSE – Museo delle Scienze di Trento, Lipu e Università degli Studi di Milano ha indagato il “ruolo” di questi uccelli negli allevamenti bovini. La ricerca ha infatti valutato l’effetto che la presenza e l’abbondanza delle rondini all’interno delle stalle della Val di Non, in Trentino, possono avere sul tasso di attività delle mosche, loro potenziali prede e portatrici di diversi patogeni e stress per il bestiame allevato. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Applied Ecology
Milano/Trento, 28 marzo 2024 – L’abbondanza di rondini e mosche è stata misurata per 16 settimane in nove diversi allevamenti in Val di Non, in Trentino, occupati o meno da rondini nidificanti. Da aprile ad agosto 2022, sono stati raccolti dati settimanali sul tasso di attività delle mosche e sulla presenza di rondini, sulle dimensioni della covata, sul numero e sull’età dei pulcini.
Attraverso opportuni modelli statistici è stato quindi possibile quantificare l’effetto delle rondini su questi insetti. I risultati mostrano come il tasso di attività delle mosche aumenti, come atteso, con la temperatura e nel corso della stagione; tuttavia, tale incremento appare molto meno marcato in presenza di rondini e ulteriormente limitato quando le rondini sono relativamente abbondanti. A una temperatura di 22°, riporta lo studio, la presenza locale di 25 rondini corrisponde a una riduzione media di oltre il 60% nel tasso di attività delle mosche rispetto a quello che si avrebbe in una stalla senza rondini.
“La collaborazione degli allevatori trentini coinvolti nel progetto è stata fondamentale – commenta Alberto Bertocchi della Lipu di Trento – Grazie alla collaborazione dell’Unità Operativa di Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria del Trentino, siamo anche riusciti a formulare un protocollo da seguire all’interno delle stalle con i nidi di rondine, in modo da consentirne la presenza senza che essa crei “intralci”, ponendo le basi per la loro tutela e per far sì che gli allevatori possano beneficiare del loro prezioso contributo”.
La rondine Hirundo rustica è un’iconica specie delle campagne di molti paesi e uno dei più noti uccelli migratori. Pur essendo una specie di grande rilevanza ecologica e fortemente radicata nella cultura contadina di molte aree, tra il 1980 e il 2021 nel nostro continente la rondine, secondo i dati del Farmland bird index, ha subito un declino del 19%.
L’intensificazione dell’agricoltura, gli insetticidi e i cambiamenti climatici si aggiungono ad altri impatti che insistono sia sulle aree di svernamento che su quelle di riproduzione di questa specie migratoria. Fattori come il degrado degli habitat nell’Africa sub-sahariana, la ridotta disponibilità di siti di nidificazione in Europa e il generalizzato calo degli insetti stanno infatti influenzando negativamente la sua riproduzione e sopravvivenza.
Francesca Roseo, leading author dell’articolo insieme a Marco Salvatori, entrambi ricercatori al MUSE – Museo delle Scienze di Trento, Ambito Biologia della Conservazione, ricorda le ragioni alla base di questo lavoro e le sue implicazioni anche a larga scala: “Questo studio è stato fortemente voluto da MUSE, Lipu e Università Statale di Milano, perché il calo di questa specie carismatica e di tanti altri uccelli insettivori meno noti è davvero preoccupante. Abbiamo bisogno di approcci innovativi per contrastare il declino della biodiversità nel settore agricolo e zootecnico e trovare delle sinergie tra le attività umane e la conservazione della biodiversità è fondamentale. Inoltre, se vogliamo raggiungere gli obiettivi di iniziative cruciali per la sostenibilità a livello globale, come quelli di Agenda 2030, del Green Deal europeo e del Global Stock Take redatto all’ultima COP28, dobbiamo impegnarci seriamente nell’applicare le Soluzioni Basate sulla Natura (Nature-based Solutions). Per poterlo fare, dobbiamo prima di tutto migliorare le nostre conoscenze scientifiche, così da supportare lo sviluppo sostenibile attraverso delle valutazioni davvero robuste”.
“Rondini e agricoltori possono essere alleati gli uni degli altri – aggiunge Mattia Brambilla, ecologo presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano – Questo studio rappresenta un esempio dei servizi ecosistemici che molte specie ci offrono, facendo luce sul contributo degli uccelli insettivori in particolare. La conservazione di questi animali porta benefici anche ad allevatori e consumatori, e ci ricorda che abbiamo bisogno di ecosistemi ‘sani’ e funzionanti per far fronte alle sfide ambientali che dobbiamo affrontare”.
Federica Luoni, responsabile agricoltura per la Lipu, ricorda che “Il drammatico calo degli uccelli degli ambienti agricoli, in atto in Italia e in Europa, è una delle principali urgenze a livello di conservazione. Abbiamo bisogno degli uccelli e della biodiversità nelle nostre campagne, e questo lavoro dimostra ulteriormente come dalla loro conservazione possa trarre giovamento il nostro stesso sistema produttivo, per questo le normative Nazionali ed Europee ad iniziare dalla Politica Agricola Comune dovrebbero aiutare in tal senso e non fare passi indietro, come purtroppo sta accadendo in queste settimane”.