L’ortopedia più avanzata oggi fa quasi tutto “dall’esterno”, agendo con strumenti introdotti attraverso piccoli fori nella pelle. Obbiettivo: essere il più delicati possibile con tessuti già martoriati dai traumi, in modo da evitare le complicazioni, ridurre lo stress operatorio in persone già provate da un incidente. Ma queste tecniche avanzate esigono centri di alta specializzazione, e ciò costringe a ripensare l’organizzazione degli ospedali. I medici se ne sono resi conto, ma le autorità sanitarie devono ancora recepire queste esigenze. A Rimini oggi chiude il Trauma meeting 2023 organizzato da OTODI. Gli specialisti: la nuova frontiera è la chirurgia mininvasiva per tutti, ma occorre una rete trauma nazionale
Riccione, 6 ottobre 2023 – Negli ultimi 10 anni c’è stata una rivoluzione nei metodi usati dai traumatologi per affrontare le fratture da incidenti stradali, sportivi e domestici, che hanno reso le cure meno traumatiche e meno dolorose. Se un tempo il chirurgo, faceva subito ampie incisioni per raggiungere l’osso fratturato e ricomporlo, oggi si usa il bisturi meno possibile. Si agisce introducendo viti e fissatori dall’esterno, agendo sotto controllo radiografico, nei centri più attrezzati anche con la Tac, introducendo piastre attraverso piccoli fori e facendole “scivolare” tra i muscoli per metterle in posizione.
Si evita così di aggiungere trauma a trauma. Infatti i metodi tradizionali comportavano interventi stressanti per chi non era in ottima salute il rischio di infezioni su tessuti già traumatizzati e lacerati era sempre alto, la guarigione delle ferite chirurgiche lento con lunghi tempi di recupero. Insomma, la chirurgia mininvasiva, come in altre specialità, è entrata a pieno titolo in traumatologia.
“Inizialmente agivamo dall’esterno solo in artroscopia, ciò per riparare i menischi all’interno del ginocchio. Ma ci siamo resi conto che sviluppando queste tecniche avremmo potuto operare anche sulle fratture danneggiando meno i tessuti molli che gli stanno intorno – dice il dott. Fabrizio Cortese, Presidente di OTODI, Ortopedici Traumatologi Ospedalieri – La nostra preoccupazione maggiore era quella di evitare le infezioni, perché una infezione ossea è uno problema tra i più difficili da risolvere. Questa evoluzione metodologica e tecnologica è iniziata con l’Orthopedic Damage Control, cioè il fissare con viti e fissatori la frattura e poi operare dopo diversi giorni quando i tessuti si sono normalizzati, ed è proseguita con l’ARIF, Fissazione artroscopica assistita: cioè uso di microtelecamera introdotta nell’articolazione per seguire al millimetro come ricomponiamo l’osso fratturato”.
“Sono tecniche non solo vantaggiose ma necessarie, perché oggi gli incidenti sono molto più traumatici e devastanti di un tempo: le moto sono più veloci, lo sci moderno anche e inoltre, col carving, causa fratture al ginocchio anziché alla tibia – prosegue Cortese – Tutte cose più difficili da curare e in cui le complicazioni sono frequenti. Ecco perché la traumatologia minimamente invasiva oggi è indispensabile”.
Insomma, ortopedia e traumatologia sono diventate da una parte sempre più sicure e “delicate” con gli infortunati, e contemporaneamente via via più sofisticate. Il che comporta due cose: attrezzature ad alta tecnologia e medici con una formazione e una preparazione non generica ma specializzata per i vari tipi di fratture per le diverse parti del corpo. Perché quando si raggiungono questi livelli di raffinatezza, non è possibile che tutti gli ortopedici possano affrontare qualunque problema.
“Occorrono capacità e attrezzature – dice il dott. Cortese – Per questo l’assistenza oggi deve svolgersi a due livelli. Il primo livello sta nel lavare, fissare la frattura con fissatori e stabilizzare il paziente; e questo lo devono sapere fare in qualunque ospedale. Ma la fase successiva, cioè operare situazioni difficili, è un altro paio di maniche. Occorre quindi che ci siano i centri specializzati in chirurgia per il bacino, altri per la caviglia, altri per il ginocchio e così via”.
“Centri che affrontando un gran numero di casi sanno trattarli al meglio. Perché ognuno ha i suoi limiti, è passato il tempo in cui tutti devono fare tutto. Noi medici questo lo abbiamo compreso, e sappiamo quando e dove mandare i pazienti. Ma le strutture amministrative e politiche fanno ancora fatica a capirlo. Il problema oggi è questo, e vorrei rivolgere un appello a tutte le autorità sanitarie competenti perché approfondiscano la questione per realizzare un Rete trauma nazionale”, conclude il dott. Cortese.