Colpisce sino all’80% in presenza di malattie neurodegenerative. Focus al VI Congresso della Società Italiana di Nutrizione Clinica
Roma, 4 ottobre 2023 – La disfagia orofaringea è un sintomo, molto frequente nell’anziano, legato sia all’età che alla presenza e alla evoluzione di malattie neurologiche e muscolari. Si calcola che la prevalenza della disfagia orofaringea aumenti a circa il 50% o più nei soggetti anziani ospedalizzati o nelle RSA, colpendo circa il 13% della popolazione generale dopo i 65 anni di età.
Inoltre, si ritiene che circa 1 individuo su 17 ne possa soffrire prima o poi nel corso della vita. Nei pazienti affetti da ictus e malattie neurologiche cronico-degenerative, come l’Alzheimer, il Parkinson, la demenza e la SLA, la disfagia può comparire in percentuali comprese tra il 20% e l’80% dei casi.
“Questa condizione clinica, è in costante aumento, ha un elevato impatto sociale, sanitario ed economico, ma è molto spesso sotto diagnosticata e sotto trattata. Come nutrizionisti clinici era quindi centrale dedicare all’argomento una sessione della Via edizione del Congresso Nazionale SINuC – ha dichiarato il prof. Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC – una adeguata presa in carico e un corretto trattamento permettono non solo di diminuire la mortalità dei pazienti anziani, ma anche di migliorare la qualità di vita percepita”.
Conseguenze cliniche e psicologiche
La difficoltà nel deglutire può̀ causare stati d’animo negativi quali disagio, ansia, depressione e isolamento sociale e portare a malnutrizione, disidratazione e perdita di massa muscolare. Ma le complicanze non si limitano a questo, perché una diminuzione della sicurezza della deglutizione nel garantire la chiusura delle vie respiratorie al passaggio di liquidi o solidi, con conseguente rischio di aspirazione tracheo-bronchiale, polmonite ab ingestis e morte evitabile.
La deglutizione del bolo alimentare è un atto involontario che avviene circa 150 volte nelle 24 ore, mentre la deglutizione della saliva si verifica ogni 30 secondi, durante la veglia, e ogni minuto nel sonno: vale a dire circa 1600-2000 volte nelle 24 ore. È inoltre estremamente complesso svolto da due sistemi che lavorano in sinergia: il sistema respiratorio e il tratto digestivo superiore composto da cavo orale, faringe ed esofago.
La definizione dell’OMS che riconosce la disfagia
La disfagia oro faringea non è una malattia ma è un sintomo riconosciuto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che la definisce come ‘la difficoltà o l’incapacità di spostare un bolo alimentare in modo sicuro ed efficace dalla bocca all’esofago’. Tosse, soffocamento, polmonite ab ingestis ed infezioni ma anche ad un rischio aumentato di lesioni da decubito. sono alcune delle conseguenze. Mentre le cause sono riconducibili a malattie neurologiche come ictus, neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer, debolezza muscolare e sarcopenia. Proprio quest’ultima condizione, caratterizzata dalla perdita di muscolo può causare o aggravare la disfagia.
Riconoscere i campanelli di allarme che mettono a rischio di malnutrizione
“È importante che il paziente o chi lo assiste, sia esso un familiare o un sanitario, ponga attenzione ad alcuni campanelli d’allarme, che indicano il probabile e il potenziale rischio di passaggio di piccole quantità̀ di alimenti nelle vie aeree – spiega il dott. Paolo Orlandoni Direttore UOSD Nutrizione Clinica IRCCS-INRCA di Ancona e membro del Direttivo SINuC – Per modificare la consistenza degli alimenti proposti e raggiungere la densità̀ più sicura per la deglutizione, si possono utilizzare additivi naturali e/o artificiali, come addensanti, diluenti e lubrificanti”.
“D’altro canto, anche le linee guida 2018 sulla nutrizione clinica e idratazione in geriatria ribadiscono che agli anziani a rischio o con malnutrizione e segni di disfagia dovrebbero essere proposti cibi a consistenza modificata – prosegue Orlandoni – Così come sono candidati all’utilizzo di Supplementi Nutrizionali Orali (ONS), anziani con malattie croniche quando la consulenza nutrizionale e la fortificazione dei cibi non siano sufficienti a raggiungere gli obiettivi nutrizionali. Importante anche l’assistenza al momento dei pasti sia a casa che nelle strutture di ricovero e cura”.
L’assunzione di cibo come azione complessa e ricca di significati emotivi e culturali
Nei casi in cui, la sola alimentazione modificata non riesca a coprire i fabbisogni calorici e proteici del paziente, si può ricorrere all’uso di Supplementi Nutrizionali orali (ONS). “È necessario un approccio integrato alla nutrizione nella RSA in particolare nel disfagico” sottolinea Samir Sukkar, Specialista in Gastroenterologia e membro del Direttivo SINuC: “Alimentarsi non è un’operazione meccanica e medicalizzata, ma un’azione complessa, ricca di significati e di valori culturali, emotivi, psicologici, simbolici, sensoriali. Per questo è importante cercare soluzioni che permettano all’ospite RSA di continuare a provare il piacere del cibo, soprattutto quando questo è l’unico piacere che ha. A questo obiettivo contribuisce: La varietà̀ dei menù, la ricerca di ricette tradizionali e tipiche, l’accentuazione dei colori e dei gusti, come caratteristiche che aiutano a rafforzare e mantenere l’interesse, l’attenzione, l’appetibilità̀ e il piacere di mangiare. Colore, composizione e varietà dei menu sono elementi che mantengono il senso del gusto”.
Campanelli d’allarme della disfagia
- Difficoltà a far partire la deglutizione;
- Sensazioni di cibo fermo in bocca;
- Sensazione di cibo fermo in gola;
- Prolungamento dei tempi di assunzione del pasto;
- Il cibo sfugge dalla bocca;
- È presente la necessità di raschiarsi spesso la gola;
- È presente fuoriuscita di cibo dal naso;
- Presenza di reflusso;
- Comparsa di tosse involontaria dopo 2-3 minuti dalla deglutizione del bolo;
- Aumento della salivazione e presenza di catarro;
- Aumento della temperatura corporea;
Se si riscontrano questi sintomi, si può̀ eseguire il test di autovalutazione EAT 10: se il punteggio è superiore a 3 richiedere al proprio medico una visita specialistica.