Roma, 28 luglio 2023 – Tra il 2001 e il 2019 in Italia la quota di nascite da madri con più di 35 anni è più che raddoppiata. Parallelamente sono migliorati e aumentati gli screening prenatali attraverso test genetici, sempre più sofisticati e meno invasivi, per individuare eventuali patologie nel feto.
Ma secondo il prof. Giuseppe Novelli, genetista presso il Policlinico “Tor Vergata” di Roma, tali test devono necessariamente rispondere ai criteri di “validità scientifica, accuratezza ma anche di utilità”, questo per indirizzare verso procedure più invasive, come l’amniocentesi, solo quelle gestanti che hanno un rischio di anomalie cromosomiche considerato alto.
Tra tutti i test prenatali non invasivi oggi a disposizione, sempre per il medico, è soprattutto “Vanadis” (esame di screening in grado di valutare la quantità di Dna fetale che circola nel sangue materno) ad assicurare un “elevato livello di precisione”.
Per saperne di più, la Dire ha intervistato l’esperto.
Prof. Novelli, sono sempre di più in Italia le donne che diventano mamme per la prima volta dopo i 35 anni. Quali sono i principali rischi a cui potrebbero andare incontro e perché?
“Per la donna oltre i 35 anni di età il fattore di rischio più importante è sostanzialmente la patologia cromosomica legata all’età. Esistono poi i rischi individuali, da valutare caso per caso. Per questo è fondamentale che una coppia che si accinge ad avviare una gravidanza faccia una consulenza genetica con un genetista, perché non esiste un test genetico che consenta di rilevare tutte le possibili problematiche. Per una gravidanza a rischio non ci si può limitare a fare un semplice esame del sangue.
Oggi abbiamo a disposizione dei test non invasivi straordinari e da oltre venti anni, ormai, abbiamo scoperto che nel sangue della madre c’è anche il Dna del feto, che possiamo analizzare e valutare per trarre informazioni sul suo stato di salute. Ma attenzione: non stiamo facendo una diagnosi, bensì uno screening che ci potrà suggerire eventualmente di approfondire la situazione, attraverso ecografie e prelievi invasivi come l’amniocentesi o la villo centesi”.
Circa 100mila donne ogni anno nel nostro Paese si sottopongono all’amniocentesi – il test diagnostico prenatale più diffuso – proprio perché hanno superato i 35 anni. Quali sono i limiti di questa metodica, che è anche la più antica?
“L’amniocentesi è il gold standard della diagnostica prenatale, il prof. Bruno Dellapiccola ed io abbiamo iniziato a farla a Roma alla fine degli anni Settanta. È un test diagnostico affidabilissimo ma invasivo, così molte donne rifiutano di farlo per paura del prelievo, mentre altre potrebbero tranquillamente evitarlo perché hanno rischi molto bassi. Lo screening neonatale, allora, che è rapido ed economico, serve proprio a ridurre il numero dei test invasivi inutili che vengono fatti e ad indirizzare verso l’amniocentesi solo quelle donne che hanno un rischio considerato alto”.
Intanto nel campo della genetica medica sono stati fatti passi da gigante, con il superamento di tecniche invasive. Parlando dei nuovi test prenatali non invasivi, qual è ad oggi il gold standard?
“Sono numerosi oggi i test a disposizione e ognuno, a mio avviso, dovrebbe necessariamente rispondere a tre criteri: essere valido dal punto di vista scientifico; essere accurato e restituire una bassa percentuale di falsi negativi o positivi; ma soprattutto essere utile, altrimenti non serve a nulla.
Tornando alla domanda, senz’altro il Vanadis ha il grande vantaggio rispetto ad altri test di avere una grande accuratezza, perché questo sistema è in grado di conteggiare in media 650mila molecole per cromosoma, assicurando un’elevata precisione. Inoltre ha un livello di automazione molto elevato, in grado di gestire fino a 20mila campioni l’anno con un unico tecnico di laboratorio, con una velocità senza pari. Questo naturalmente facilita i programmi di screening regionali e nazionali per identificare le gravidanze ad alto rischio, che necessiteranno di analisi più sofisticate”.
In cosa consiste esattamente questo esame?
“Con Vanadis andiamo a valutare la quantità di Dna fetale che circola nel sangue materno a partire dal primo trimestre di gravidanza; in questo modo possiamo scoprire se il feto è affetto o meno dalle principali alterazioni cromosomiche, con tassi di rilevamento del 99,7%, 98,2% e 99% rispettivamente per le trisomie 21, 18 e 13, con risultati falsi positivi nello 0,04%, 0,05% e 0,04% dei campioni. Questi tre cromosomi, lo ricordo, insieme rappresentano il 70-80% delle possibili anomalie cromosomiche del feto. Naturalmente ce ne sono delle altre, ma sono molto rare”.
Rispetto alla sua esperienza, quanto sono informate le donne e le coppie che aspettano un bambino su questi temi?
“Ancora troppo poco. Lo dimostrano anche studi recenti, l’ultimo, condotto da alcuni ricercatori di Hong Kong, risale ad una settimana fa: le donne e le coppie sono molto poco informate in materia di test neonatale, confondono ancora un test di screening con un test diagnostico, così come un falso positivo da un falso negativo.
Nessuno li informa, per questo è importante rivolgersi a strutture o laboratori qualificati che offrano una consulenza genetica pre-test. Nel nostro ospedale abbiamo un percorso dedicato, che prevede un colloquio con l’ostetrico, uno il ginecologo ed un altro ancora con il genetista. Colloqui, questi, che vengono ripetuti anche in un secondo momento, dopo aver effettuato ecografie ed altri esami. Oggi abbiamo tutti gli strumenti per seguire e tranquillizzare la donna nel suo percorso di gravidanza”.
Qual è, infine, il consiglio che si sente di rivolgere a quelle donne che intraprendono una gravidanza dopo i 35 anni?
“È semplice, cito lo slogan del mio collega, il genetista Edoardo Boncinelli: “meglio sani per scelta, che malati per caso””.
(fonte: Agenzia Dire)