Sono oltre 150 le malattie endocrine rare o rarissime ma, solo 15 riconosciute dal Ministero della Salute, e solo per queste esistono registri nazionali o regionali. Ciò significa che per tutte le altre non esistono dati italiani e che i pazienti non possono godere dei diritti riconosciuti ai malati rari. Doppia marcia fra Nord e Sud crea difficoltà e differenze di accesso a diagnosi e cure dei malati: servono collegamenti fra i centri di eccellenza e i servizi territoriali, risorse aggiuntive dedicate e migliorare il dialogo con gli assessorati regionali
Taormina, 6 marzo 2023 – Rappresentano il numero più alto in Europa, però mal distribuiti, con un gap al Sud: sono i centri italiani di riferimento per la cura delle malattie rare endocrine, riconosciuti e inseriti nella Rete europea ENDO-ERN (Endocrine European Reference Network), che rappresenta un gruppo di centri ospedalieri-universitari di eccellenza, ad elevata competenza e complessità. Sono 111 quelli accreditati, prima a livello nazionale e poi dall’Unione Europea, e il nostro Paese ne concentra ben 20, più della Germania con 15 e della Francia (10) e Spagna (5). Ma solo 4 centri di eccellenza si trovano al Sud e precisamente 3 a Napoli e uno a Messina.
Le differenze regionali per l’accesso a diagnosi e cure e il ruolo degli ERN sono state al centro della quarta edizione di “Parliamo di Ma.R.E. in Sicilia – Una rete a maglie strette per le malattie rare endocrino-metaboliche”. L’evento appena concluso e organizzato dall’UOC di Endocrinologia del Policlinico Universitario ‘Martino’ di Messina, con il patrocinio dalla Società Italiana di Endocrinologia (SIE) e dalla Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) ha visto la partecipazione di esperti di riconosciuta fama anche internazionale, delle federazioni di pazienti più rappresentativi e delle istituzioni.
Le malattie endocrine sono circa 150, ma solo 15 riconosciute ufficialmente
“Le malattie rare endocrine generano alterazioni del sistema endocrino o del metabolismo e rappresentano un gruppo eterogeneo di patologie che comprende, tra le altre, tumori rari alla tiroide dovute ad alterazioni genetiche, malattie di ipofisi, surrene e pancreas. Sono più di 150 ma solo 15 riconosciute nei LEA e solo per queste esiste un registro nazionale per esempio presso l’Istituto Superiore di Sanità o registri regionali – spiega Salvatore Cannavò, organizzatore del congresso direttore del centro ENDO-ERN del Policlinico “G. Martino” di Messina e segretario della Società Italiana di Endocrinologia (SIE) – Ciò significa che per tutte le altre malattie non ci sono dati epidemiologici italiani, e che i pazienti non possono godere dei diritti riconosciuti ai malati rari. Sono però tutte accumunate dalle stesse caratteristiche: scarsa conoscenza dei medici e gravi disparità regionali che non consentono ai pazienti equità di accesso a diagnosi e cure”.
“Ma la più grave disparità non sta tanto nell’avere un centro d’eccellenza sotto casa, che pure consente di arrivare più tempestivamente a una diagnosi e di avere un piano terapeutico preciso, quanto la possibilità di accedere a tutti i presidi territoriali diagnostici e terapeutici in modo equo, indipendentemente dalla propria residenza. Con il federalismo regionale non tutti i cittadini hanno accesso allo stesso modo alle terapie, per cui in alcuni casi i pazienti si vedono costretti addirittura a cambiare residenza” commenta Andrea Lenzi, presidente Comitato Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita, ordinario di Endocrinologia alla ‘Sapienza’ di Roma e responsabile del centro ENDO-ERN del Policlinico Umberto I.
“Le diversità tra le Regioni nella presa in carico dei pazienti sono legate anche ai piani di rientro di alcune di queste e quindi alla loro impossibilità di allargare i LEA con ricadute fortemente negative sui pazienti – spiega Maria Piccione, Direttore della Genetica dell’Università di Palermo – È quindi necessario utilizzare quei pochi strumenti che abbiamo a disposizione per migliorare e riorganizzare in maniera corretta e istituzionalizzata la presa in carico dei pazienti e l’attivazione della continuità assistenziale, che oggi sono entrambi percorsi non codificati, nonostante le normative ci siano, e che generano confusione”.
Per sopperire alla carenza in alcune Regioni di centri d’eccellenza riconosciuti, tra le soluzioni proposte c’è quella di mettere in piedi un sistema che consenta al paziente di gestire, almeno in parte, la propria malattia più vicino possibile al proprio domicilio.
“La doppia marcia tra Nord e Sud crea grosse difficoltà per i malati rari, non solo nell’accesso alla diagnosi ma anche nella presa in carico – dice Annalisa Scopinaro, presidente di UNIAMO, Federazione Italiana Malattie Rare, che unisce oltre 180 associazioni di pazienti – Spostarsi per i pazienti significa dover sostenere costi non indifferenti. Consapevoli che non si può avere un centro in ogni regione, abbiamo la necessità di dover trovare un modello sostenibile e, quindi, sviluppare collegamenti con i servizi territoriali di riferimento in modo da rendere fattibile la gestione delle attività ordinarie e di emergenza vicino alla residenza del paziente”.
Cruciale è anche l’interazione tra i centri ERN e quelli di riferimento sul territorio e le istituzioni sanitarie. “Attualmente, i centri ERN non sono considerati interlocutori privilegiati dagli assessorati – osserva Cannavò – Inoltre, non esiste un sistema di finanziamento aggiuntivo per i centri ERN, come avviene invece in altri paesi europei, malgrado siano costretti a mantenere standard assistenziali sicuramente più complessi e qualificati rispetto agli altri ospedali”.
Ma si sta lavorando anche su questo fronte. “Nel primo quinquennio di attività degli ERN che si è appena concluso si è lavorato molto nel strutturarli e per avviare progetti di interazione con i pazienti, orientati a linee guida, a ricerca, a diagnostica, a registri per tutte le patologie rare – dichiara Maurizio Scarpa, responsabile del Centro di Coordinamento Regionale Malattie Rare Friuli Venezia Giulia e coordinatore MetabERN – Adesso ci stiamo avviando al secondo quinquennio e stiamo procedendo con la revisione dei membri dell’ERN e del loro funzionamento. C’è un action che sta partendo in questi giorni e che è stata prevista dalla Commissione Europea per permettere agli stati membri di individuare delle strategie di integrazione dei membri ERN all’interno del servizi sanitari nazionali. Per l’Italia sembra un paradosso perché siamo già all’interno del SSN perché siamo tutti operanti in strutture ospedaliere, ma è necessario perché questi network possano portare il nostro paese in Europa e l’Europa nel nostro paese”.