Delle circa 30mila nuove diagnosi di tumore l’anno in Italia, l’8,5% è dovuto a infezioni, che sono responsabili o concause di neoplasia. Il batterio Helicobacter Pylori, il Papillomavirus e i virus epatitici all’origine del 90% di questi tumori, da quello dello stomaco a quelli di fegato, cervice uterina, ano, genitali, distretto testa-collo. Prevenzione e sensibilizzazione da parte dei MMG con gli infettivologi, epatologi e oncologi
Roma, 24 ottobre 2022
Tumori e malattie infettive, binomio scindibile con la prevenzione
Nel mondo ci sono circa 2,2 milioni di casi di tumori ogni anno dovuti a infezioni. In Italia, l’8,5% di tutti i tumori riconosce un’eziologia infettiva che è responsabile o una concausa di neoplasia sulle circa 30mila nuove diagnosi di tumore l’anno. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione ha classificato una decina di agenti patogeni diversi – virus, batteri e altri microrganismi – come cancerogeni, con il 90% di questi tumori provocato da quattro agenti principali: l’Helicobacter Pylori (batterio), il Papillomavirus (HPV) e i virus dell’epatite B (HBV) e C (HCV).
A questi si aggiungono il virus di Epstein-Barr (EBV), causa del carcinoma del rinofaringe, linfoma di Hodgkin e Non Hodgkin; Herpesvirus umano di tipo 8 (HHV-8) associato al sarcoma di Kaposi; virus linfotropico a cellule T umano di tipo 1 (HTLV-1) che provoca la leucemia; Opisthorchis viverrini; Clonorchis sinensis; Schistosoma haematobium. Ma ci sono anche il parassita che provoca la malaria (nell’insorgenza del linfoma di Burkitt), il batterio Salmonella typhi (cancro della cistifellea), il poliomavirus che colpisce le cellule di Merkel (alla base di un aggressivo tumore della pelle). Un quadro composito, con su cui si può intervenire con strategie di prevenzione primaria mediante politiche di vaccinazione e in alcuni casi con l’eradicazione dell’infezione.
La sinergia tra le società scientifiche
A questo tema si è dedicato il convegno istituzionale al Ministero della Salute “Malattie infettive e patologie tumorali”, nuovo appuntamento del ciclo “La Sanità che vorrei”, promosso dalle società scientifiche SIMIT, SIMG, AISF. Sono intervenuti prof.ssa Loreta Kondili, Centro Nazionale Salute Globale Istituto Superiore Sanità, Responsabile Progetto PITER; sen. Elisa Pirro, Parlamentare Movimento 5 Stelle; on. Mauro D’attis, Parlamentare FI; prof. Alessio Aghemo, Segretario AISF; prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT; Domenico Corsi, Tesoriere Fondazione AIOM; Ignazio Grattagliano, Coordinatore SIMG Puglia.
Hanno partecipato alla tavola rotonda “Virus oncogeni, microbi e cancro. Tumori prevenibili e attualità terapeutiche” prof.ssa Vincenza Calvaruso, Membro Comitato Coordinatore AISF; Maurizio Cancian, Segretario SIMG Veneto; Giacomo Germani, Dirigente Medico Unità Trapianto Multiviscerale Azienda Ospedale Università Padova e Segretario della European Liver & Intestine Transplant Association (ELITA); Stefano Giordani, Direttore Scientifico Associazione Onconauti; prof.ssa Miriam Lichtner, Professore Ordinario Malattia Infettive Università La Sapienza Roma; prof. Francesco Saverio Mennini, Research Director – Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma. A moderare il giornalista scientifico Daniel Della Seta.
Il tumore dello stomaco
Il 36% circa dei tumori causati da agenti infettivi è riconducibile all’Helicobacter Pylori, considerato il più rilevante fattore di rischio per il tumore dello stomaco. Secondo i dati dell’ISS, questo batterio potrebbe esser presente nello stomaco di circa 25 milioni di italiani, provocando talvolta gastriti e, raramente, il linfoma MALT, tumore dello stomaco; più frequente lo sviluppo del carcinoma gastrico, il secondo cancro più comune nel mondo.
“Nel 2020 sono state stimate circa 14.500 nuove diagnosi di carcinoma gastrico, mentre sono 82.400 le persone in Italia che vivono con una diagnosi di tumore dello stomaco – commenta Domenico Corsi – La presenza dell’infezione di H. pylori aumenta di 6 volte il rischio di sviluppare questo tumore, che si sviluppa prevalentemente nell’induzione di una gastrite cronica attiva che, in alcuni pazienti, può evolvere in atrofia, metaplasia e displasia, che costituiscono le lesioni precancerose gastriche. Il rischio di cancro è particolarmente aumentato quando l’atrofia o la metaplasia sono diffuse nell’antro e nel corpo gastrico (pangastrite), e quando la metaplasia intestinale è di tipo incompleto (colico). Non esistono schemi di trattamento efficaci nel 100% dei casi al primo tentativo, ma la combinazione di diversi antibiotici può portare all’eradicazione del batterio”.
Epatiti ed epatocarcinoma
Il tumore del fegato o epatocarcinoma è una delle patologie tumorali con il più alto livello di mortalità nel mondo, con circa 800mila decessi l’anno. In uno studio pubblicato in questi giorni sul Journal of Hepatology, la IARC stima che il numero annuale di nuovi casi e decessi aumenterà di oltre il 55% entro il 2040. La diagnosi di un cancro al fegato nel 2020 ha riguardato 905.700 persone nel mondo, con 830.200 decessi; circa 13mila le nuove diagnosi in Italia nel 2020. Con questi tassi di incidenza e mortalità, si stima che nel 2040 potrebbe essere diagnosticato a 1,4 milioni di persone, con 1,3 milioni di decessi.
“Per arginare queste previsioni possiamo intervenire preventivamente sulle epatiti, visto che oltre il 70% dei casi di tumori primitivi del fegato è riconducibile all’infezione da virus dell’epatite C (HCV) e da virus dell’epatite B (HBV) – sottolinea il prof. Alessio Aghemo – Per l’Epatite C, con i nuovi antivirali ad azione diretta è possibile eradicare il virus in maniera definitiva, in poche settimane e senza effetti collaterali. Per l’Epatite B l’Italia è un esempio, vista la vaccinazione obbligatoria alla nascita introdotta nel 1991, grazie alla quale il virus è quasi assente nella popolazione under 40, sebbene si riscontri ancora in altre fasce anagrafiche e in soggetti non nati in Italia. Per l’Epatite Delta, anch’essa causa di epatocarcinoma, il nuovo farmaco bulevirtide, unico per meccanismo d’azione e somministrazione, permette di trattare anche senza interferone pazienti che prima non potevano ricevere alcuna terapia”.
I rischi dell’HPV e l’efficacia delle vaccinazioni
“Il papilloma virus si può prevenire grazie a un vaccino particolarmente efficace, soprattutto se fatto in età preadolescenziale – spiega il prof. Massimo Andreoni – Purtroppo, in Italia nel 2020 si è verificato un calo delle vaccinazioni: come rilevato dal Ministero della Salute, la copertura vaccinale media per HPV nelle ragazze è al di sotto della soglia ottimale prevista dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (95% nel dodicesimo anno di vita); ancor più lontana quella dei ragazzi. Eppure, il vaccino contro il papilloma virus è fortemente raccomandato, soprattutto a 12-13 anni, sia per l’elevata contagiosità, visto che può bastare un rapporto intimo non completo, sia per le possibili conseguenze. Pur contribuendo solo al 5% dei tumori, al papilloma sono associati il 99% dei tumori della cervice uterina, il 90% di quelli del canale anale, il 75% di quelli vaginali e di quelli vulvari, senza dimenticare la forte associazione del 70% dei tumori di testa e collo e il 60% di quelli del pene”.
Il ruolo del medico di famiglia
“Il medico di famiglia ha un compito fondamentale nell’identificare le persone a rischio, informandole e accompagnandole in un processo decisionale personalizzato – afferma Maurizio Cancian – Numerose esperienze confermano che questa attività del MMG può produrre grandi risultati in termini di adesione e di partecipazione consapevole da parte dei cittadini ai programmi di prevenzione, traducendo in concreti risultati di salute i grandi progressi della ricerca scientifica. La pandemia ha reso evidente la necessità di una profonda riorganizzazione della Medicina Generale da troppo tempo rinviata, i medici di famiglia devono poter contare su risorse sufficienti per poter lavorare in team con assistenti di studio e infermieri, per sviluppare al massimo le potenzialità di una evoluzione digitale, per puntare ad uno sviluppo professionale continuo attraverso integrazione, formazione e attività di audit. In generale va superata la dimensione burocratica ed amministrativa del servizio sanitario riportando al centro dei processi di cura gli indicatori di salute e di buone pratiche”.