I risultati dello studio internazionale “A Population-Level Analysis of the Protective Effects of Androgen Deprivation Therapy Against COVID-19 Disease Incidence and Severity” pubblicato su Frontiers in Medicine confermano le deduzioni del VIMM sulla correlazione tra terapie di deprivazione androgenica e incidenza del SARS-CoV-2
Padova, 21 giugno 2022 – Era il maggio 2020, nel pieno della pandemia da Covid-19, quando l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) di Padova conduceva uno studio – pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Annals of Oncology – che metteva in evidenza come i pazienti in cura per il cancro alla prostata avessero una probabilità sensibilmente inferiore di essere infettati dal virus SARS-CoV-2.
Lo studio, partito dall’intuizione del prof. Andrea Alimonti, Principal Investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) di Padova e professore ordinario di Farmacologia del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, e del prof. Francesco Pagano, presidente della Fondazione per la Ricerca Biomedica Avanzata Onlus (di cui il VIMM è braccio operativo), era stato condotto su un campione di 4.532 uomini residenti nella Regione Veneto e dimostrava come gli uomini sottoposti alla terapia antiandrogena avessero un rischio ridotto di quattro volte di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 rispetto ai pazienti che non avevano ricevuto cure ADT.
Oggi, a distanza di due anni, uno studio internazionale condotto da un pool di ricercatori di importanti università americane (tra cui University of Utah School of Medicine, Stanford University School of Medicine, New York University, Yale University e University of California) conferma che i soggetti di sesso maschile sottoposti a terapia di deprivazione androgenica (ADT) sono meno soggetti al contagio e alle conseguenze del SARS CoV-2.
In dettaglio, i ricercatori hanno analizzato un vasto campione (quasi 250.000 casi) di pazienti ricoverati dal 15 febbraio al 15 luglio 2020 nella Veterans Health Administration, rilevando come testosterone e ricettori sessuali abbiano un ruolo non secondario nell’infezione e nella propagazione del Virus e che, di conseguenza, i pazienti trattati con ADT fossero meno soggetti al Covid-19.
“L’uscita di questo nuovo studio, condotto su un campione molto più ampio rispetto a quello analizzato dai nostri ricercatori in Veneto, conferma la validità dell’intuizione del team del prof. Alimonti – sottolinea Francesco Pagano, Presidente della Fondazione per la Ricerca Biomedica Avanzata – Il nostro lavoro, condotto con l’indispensabile contributo del Registro dei Tumori – Azienda Zero, ha portato in questi due anni a nuove deduzioni”.