Dott. Enrico Zanalda, Direttore DSM Interaziendale ASL TO 3 – Past President SIP: “In Regione Piemonte abbiamo un progetto di reinserimento lavorativo, per rinforzare la possibilità che pazienti anche con schizofrenia possano essere inseriti nel mondo del lavoro”
Roma, 26 maggio 2022 – La legge 180, unica al mondo, ha abolito i manicomi demandando l’onere e il compito di gestire i pazienti psichiatrici ai servizi territoriali, ai reparti psichiatrici ospedalieri, ai dipartimenti di salute mentale e alle famiglie.
Per realizzare tale obiettivo, è importante che i dipartimenti psichiatrici lavorino coordinati all’interno di una rete che dia risposte efficaci dalla gestione della crisi e alla riabilitazione del paziente stesso, aiutando il gravoso compito delle famiglie e supportando anche economicamente i vari attori del sistema.
Nasce da questi presupposti l’evento “Tavolo regionale schizofrenia – Focus Piemonte”, promosso da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Angelini Pharma. Obiettivo fare un’analisi dei bisogni assistenziali e dello stato dell’arte della presa in carico di tali pazienti nelle regioni indicate, oltre a definire insieme agli stakeholder più importanti – istituzionali e clinici – le azioni di miglioramento da intraprendere per migliorare il percorso di cura del paziente schizofrenico.
“In Piemonte, come anche nelle altre Regioni d’Italia, uno dei problemi maggiori che abbiamo per una buona prognosi del trattamenti di pazienti con schizofrenia o con psicosi, è intercettarli dopo pochi anni o mesi dall’esordio della sintomatologia psicotica – spiega Enrico Zanalda, Direttore DSM Interaziendale ASL TO 3 – Past President SIP – Questo si chiama periodo di non trattamento ed è uno degli aspetti che rende la prognosi meno favorevole, nonostante i trattamenti. In media, un paziente arriva ad avere la diagnosi del trattamento corretto a 8-10 anni dall’esordio. Molto tempo dopo quindi di quello che potrebbe essere l’esordio della patologia o, quantomeno, i primi sintomi che sono anche dei sintomi prodromici che insorgono anche in età giovanile”.
“Un altro aspetto che mi preme sottolineare è quello dell’inserimento lavorativo anche in pazienti che sono in carico ai Servizi di Salute Mentale, quindi con diagnosi fatta e anche con invalidità della Legge 68, invalidità lavorativa con obbligo di assunzione: c’è una grossa difficoltà da parte delle aziende a inserire tra i loro dipendenti persone che abbiano questo tipo di invalidità legato alla patologia mentale. In Regione Piemonte abbiamo in corso un progetto di reinserimento lavorativo, utilizzando le multe che le aziende pagano per non ottemperare la Legge 68 e quindi rinforzare la possibilità che pazienti anche con schizofrenia possano essere inseriti nel mondo del lavoro”, prosegue Zanzalda.
E poi ci sono altri problemi ancora, che si ingranano l’uno nell’altro, come racconta Vincenzo Villari, Direttore SC Psichiatria-Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura afferente al Dipartimento Neuroscienze e Salute Mentale AOU Città della Salute e della Scienza di Torino: “Il primo è l’emergenza-urgenza che si determina sui territori e l’esecuzione dei TSO (Trattamento sanitario obbligatorio) e ASO (Accertamento sanitario obbligatorio) che sono problemi distinti, che però spesso vengono sovrapposti o confusi e questo è un problema per tutto l’ambito delle malattie mentali. C’è poi l’intercettazione precoce degli esordi, altro problema molto ampio, che non necessariamente deve comportare l’ospedalizzazione, ma che spesso viene intercettato in occasione di un ricovero o di un passaggio in Pronto Soccorso. In questo caso la continuità ospedale-territorio assume una importanza primaria, che viene ulteriormente ribadita nella fase delle dimissioni. Deve essere utilizzato il ricovero per costruire già un’ipotesi di trattamento in post acuzie, che sia rappresentato da una solida presa in carico dei Centri di Salute Mentale e, ovviamente, presa in carico del paziente e del suo contesto familiare e relazionale”.
“Inoltre c’è un problema di costruire una continuità e una integrazione degli interventi nei vari servizi, perché spesso abbiamo comorbidità con disturbo da uso di sostanze e c’è tuttora qualche difficoltà di integrazione tra i SerD (Servizi per le dipendenze Patologiche) e la Psichiatria Adulti e poi c’è anche un problema di continuità di cure con la neuropsichiatria infantile, visto che l’età di esordio, spesso, avviene in età minore”, conclude Villari.