Prof. Sergio Bernardini, Professore di Biochimica clinica e Biochimica molecolare dell’Università Tor Vergata di Roma: “Sarebbe auspicabile il dosaggio su larga scala di anticorpi con le giuste metodiche (solo test quantitativi e non rapidi), per acquisire maggiori informazioni sulla durata individuale degli anticorpi e sul livello necessario al fine di assicurare protezione nonché per migliorare la conoscenza sulle interazioni virus/ospite”
Roma, 27 ottobre 2021 – In queste settimane si parla diffusamente della terza dose di vaccino contro il Covid-19, di green pass con scadenza temporale dopo il ciclo vaccinale e di tamponi ravvicinati per i soggetti che hanno deciso di non vaccinarsi. Siamo ancora in attesa di studi ed evidenze che indichino la durata della protezione in base all’immunità cellulare e degli anticorpi, per cui l’invito è quello comunque di vaccinarsi.
Tuttavia, è sempre corretto non valutare la condizione immunitaria del soggetto ai fini della vaccinazione? Chi ha contratto naturalmente il virus e dimostra di avere sviluppato gli anticorpi, oggi è comunque obbligato, per avere il green pass, a sottoporsi a 2 dosi di vaccino. È davvero necessario? Potrebbe essere utile misurare la quantità di anticorpi per conoscere il livello delle proprie difese immunitarie? Le indicazioni ufficiali raccomandano di vaccinarsi senza eseguire verifiche, anche se la situazione è ben più delicata. I vaccini sono tutti efficaci, ma non al 100%.
Come si può essere certi di avere risposto alle dosi vaccinali senza verifiche? Questa domanda assume ancora più rilevanza per i soggetti fragili e immunodepressi che richiederebbero una verifica ancora più attenta e stringente della loro condizione. Ad oggi i test sierologici sono l’unico strumento per monitorare l’effettiva risposta immunitaria di un soggetto in modo semplice, rapido e su larga scala. Le informazioni fornite da tali test sono un potenziale poco sfruttato.
Se condotti in strutture sanitarie qualificate, i test sierologici potrebbero essere maggiormente utilizzati anche per supportare le decisioni in ambito vaccinale. Stanno emergendo anche ipotesi per considerare il risultato dei test sierologici come indicatore di sicurezza: potranno diventare elemento del green pass? La presenza di anticorpi potrebbe essere considerata per la sicurezza nell’ambiente di lavoro?
Oggi solo il green pass vale come garanzia, ma non contempla la positività anticorpale tra i criteri di guarigione: chi è guarito dalla malattia, pur avendo sviluppato gli anticorpi, sembra quindi discriminato. L’auspicio è che le istituzioni attribuiscano maggior valore all’utilizzo dei test sierologici, garantendo maggiore accesso a questo importante strumento di valutazione.
“Il green pass a mio modo di vedere è un giusto modo per incoraggiare fortemente la vaccinazione che sta dando eccellenti risultati nel contenimento della pandemia, ma soprattutto nella riduzione delle forme gravi di malattia e della mortalità”, ha dichiarato il prof. Sergio Bernardini, Professore di Biochimica clinica e Biochimica molecolare dell’Università Tor Vergata di Roma.
“D’altra parte sarebbe auspicabile il dosaggio su larga scala di anticorpi con le giuste metodiche (solo test quantitativi e non rapidi), per acquisire maggiori informazioni sulla durata individuale degli anticorpi e sul livello necessario al fine di assicurare protezione nonché per migliorare la conoscenza sulle interazioni virus/ospite. Quindi utile il dosaggio su larga scala di anticorpi con le giuste metodiche se considerato, con onestà intellettuale, un work in progress. Fossi le Istituzioni, lo farei”, conclude il prof. Bernardini.