Ricerca condotta tra l’ospedale di Siena e l’Università di Oxford dimostra che i soggetti con performance peggiori nei compiti di intelligenza ottengono maggiori benefici dalla stimolazione elettrica corticale rispetto a soggetti più rapidi
Siena, 25 agosto 2015 – Aumentare le capacità cognitive grazie agli impulsi elettrici e alla stimolazione corticale. Non si tratta di superuomini né di fantascienza ma di realtà scientifica grazie alle ricerche portate avanti dal laboratorio di “Brain Stimulation and Neuroinvestigation” dell’ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena, diretto dal dott. Simone Rossi e dal dott. Emiliano Santarnecchi, all’interno del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Neurosensoriali, diretto dal prof. Alessandro Rossi.
Grazie ad uno studio effettuato congiuntamente con l’Università di Oxford, su 58 soggetti sani sottoposti a stimolazione corticale non invasiva, cioè con impulsi elettrici a basso voltaggio applicati sullo scalpo, è emerso che gli individui con capacità cognitive individuali migliori hanno ottenuto risultati inferiori rispetto ai soggetti più lenti nel risolvere compiti di “intelligenza fluida”, suggerendo che è possibile, in contesti sperimentali, ridurre le differenze cognitive individuali.
“È quindi possibile allenare e migliorare le capacità cognitive – spiega Simone Rossi, che è stato appena eletto presidente della Società Italiana di Psicofisiologia – anche e soprattutto in quei soggetti che sembrano avere una minore rapidità di ragionamento, tramite la stimolazione corticale elettrica, sia con correnti alternate, come in questo studio, ma anche con corrente continua o magnetica ripetitiva. Un risultato che apre scenari molto particolari nell’utilizzo di queste metodiche in persone che hanno deficit cognitivi, di attenzione o di memoria, tramite la modulazione non invasiva dell’attività cerebrale che sottende a determinate funzioni. Il prossimo obiettivo – prosegue Rossi – è capire perché, a parità di stimoli e impulsi elettrici, alcuni soggetti rispondono meglio di altri. Questa distinzione è fondamentale per pianificare le attività di riabilitazione cognitiva in persone con particolari malattie neurologiche, psichiatriche o neurodegenerative”.
A tal riguardo, insieme all’UOC Genetica Medica, diretta dalla prof.ssa Alessandra Renieri, è in corso di realizzazione uno studio per valutare quanto le caratteristiche individuali dei soggetti, incluse quelle genetiche, possano influire nelle modalità di risposta agli stimoli elettrici. “In questo studio – aggiunge Santarnecchi, responsabile della ricerca – arruoleremo un campione ampio di soggetti che saranno valutati tramite test cognitivi, prelievi genetici, risonanza magnetica funzionale ed elettroencefalografia a riposo per capire quanto il profilo delineato in ciascuna di queste indagini possa contribuire alla risposta ai protocolli di stimolazione ed al conseguente potenziamento cognitivo. Identificare i candidati migliori per ciascun trattamento, puntando in futuro alla creazione di protocolli di stimolazione individualizzati, può essere un punto di svolta per l’applicazione clinica su larga scala della neuromodulazione non-invasiva”.
fonte: ufficio stampa