Roma, 26 luglio 2021 – In Italia ogni anno circa 270mila cittadini sono colpiti dal cancro. Attualmente, il 50% dei malati riesce a guarire, con o senza conseguenze invalidanti. Dell’altro 50% una buona parte si cronicizza, riuscendo a vivere più o meno a lungo. Da qui la proposta di Paolo Pronzato, Direttore Oncologia Medica IRCCS San Martino, Genova e Coordinatore DIAR Oncoematologia Regione Liguria: parlare di cancro come di una malattia cronica, senza banalizzazioni. “Una malattia cronica particolare”, ha precisato nel corso del webinar “ONCOnnection. Il paziente al centro? Dal labirinto assistenziale ad una rete di servizi organizzata”, promosso da Motore Sanità.
“Non è come le altre, come ad esempio l’ipertensione arteriosa, perché il paziente oncologico richiede di essere osservato dall’oncologo e dal team multidisciplinare molto frequentemente – spiega Pronzato – Quando noi immaginiamo la territorializzazione di certi servizi oncologici e pensiamo di portare la terapia oncologica più vicina, la portiamo in ospedali più piccoli, perché al di fuori dell’ospedale è praticamente impossibile ricreare quelle condizioni di sicurezza e di appropriatezza per quanto riguarda la somministrazione dei farmaci oncologici. Però è ben vero che, essendo la malattia diventata cronica, essendoci una incidenza estremamente elevata, parti del percorso devono essere fatte sul territorio, fuori dall’ospedale. Per esempio con accessi alle cure intermedie, con il potenziamento dell’assistenza domiciliare, con lo spostamento al di fuori dell’ospedale di funzioni che vanno completamente ripensate”.
“Se le reti oncologiche sono il modello migliore per garantire equità, prossimità, corretto accesso all’innovazione, omogeneità dell’offerta, allora bisogna fare le reti oncologiche su tutto il territorio nazionale e non continuare in questa situazione in cui ci sono reti storiche che funzionano, reti che incominciano un po’ ad avventurarsi nel loro percorso, reti dichiarate ma non esistenti – è il commento di Gianni Amunni, Direttore Rete Oncologica Toscana, Direttore Generale ISPRO, Regione Toscana – Da qui il forte impegno di Periplo che io rappresento e che può avere un ruolo importante perché le reti si facciano e che abbiano regole comuni per essere attive”.
Entrambi, al pari degli altri illustri esperti intervenuti durante in webinar, concordano sul fatto che il Sistema sanitario nazionale debba pensare a una profonda riorganizzazione dei percorsi assistenziali dei pazienti oncologici anche in fase avanzata (gestita tradizionalmente dall’oncologo medico e dall’équipe dedicata alla cure palliative).
Oggi lo scenario cambia per una serie di motivi: sempre più frequentemente, sia come diagnosi di esordio, sia come diagnosi nel decorso di malattia, si verifica il cosiddetto scenario della malattia oligometastatica, come ha spiegato bene Pierfranco Conte, Direttore SC Oncologia Medica 2 IRCCS Istituto Oncologico Veneto, Padova, Coordinatore Rete Oncologica Veneta: “Significa un paziente che è in buone condizioni, che ha un carico di malattia seppur metastatico relativamente limitato e che, se inserito in un programma di approccio multidisciplinare, può per certe patologie tumorali ambire a un “programma terapeutico curativo” in presenza di metastasi. Ormai abbiamo molti esempi, come tumori del polmone con metastasi cerebrali che guariscono. Esiste una frazione crescente anno dopo anno di pazienti metastatici, dove l’obiettivo diventa oggi obbligatoriamente la guarigione. Perseguibile se, noi oncologi per primi, cominciamo a discutere queste situazioni in maniera multidisciplinare. Non vengono guariti dai soli farmaci, ma dall’integrazione di farmaci nuovi e potenti con radioterapie mirate, interventi chirurgici mini invasivi, terapie radiologiche interventistiche e così via”.
Ha parlato di multidisciplinarietà anche Alessio Auci, Responsabile UOSD Radiologia Interventistica Nord presso l’Ospedale Apuane di Massa, Azienda USL Toscana Nord Ovest: “In qualità di radiologo interventista noi interveniamo in due fasi cruciali nell’approccio al paziente: in quella diagnostica precoce con le nuove tecnologie e le macchine che abbiamo a disposizione (Tac, risonanza e Pet) e in quella terapeutica, con la nuova logica di approccio multidisciplinare. Possiamo così aiutare sia l’oncologo, sia il chirurgo, sia il radioterapista, possiamo proporre al paziente trattamenti mininvasivi che speriamo in futuro possano andare verso un’organizzazione molto più snella. Tutte queste considerazioni sono il frutto di un lungo lavoro fatto nel 2019 sotto l’egida di ISPRO, che ha visto coinvolta tutta la rete ospedaliera”.
In tutto questo, il ruolo della telemedicina rappresenta la più concreta possibilità di potenziare al massimo i servizi territoriali. Lo sostiene Francesco Gabbrielli, Direttore Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali, Istituto Superiore di Sanità, che precisa: “Dobbiamo saperla utilizzare ed essere molto accorti nel determinare quali prestazioni vanno portate a distanza e in che modo. In tutto questo dovremmo porci il problema di disegnare la medicina del futuro nell’evoluzione complessiva del servizio”.
Non mancano a tal proposito i nodi ancora da sciogliere, come ha fatto notare Milena Vainieri, Professore Associato in Economia e Gestione delle Imprese, responsabile del Laboratorio Management e Sanità, Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa: “Dall’indagine fatta attraverso il nostro Osservatorio, è emerso ancora un basso utilizzo della telemedicina. Solo qualche Regione, fra l’altro, riesce a contare quante sono state le visite nel 2020: in Toscana per esempio è stato effettuato solo il 4% delle visite oncologiche a distanza. C’è da pensare a come utilizzare questo tipo di tecnologia e dove spingerla un po’ di più, avendo dei sistemi che permettano di monitorarla di più a livello centrale tramite dati amministrativi. I pazienti ci hanno anche detto che sono riusciti a rimanere in contatto con gli specialisti tramite whatsapp, che sicuramente non è il modo migliore per gestire queste relazioni”.