Roma, 16 luglio 2021 – “Sono due i messaggi che voglio lanciare: il primo è che se si ha il sospetto di malattia meglio farsi una Tac piuttosto che aspettare; il secondo è che se una persona deve farsi curare, è meglio che vada in un centro attrezzato per tutte le esigenze della malattia, lungo tutto il suo decorso. In questo caso il PDTA è una ‘certificazione di qualità’”. Risponde così il dott. Andrea Talacchi, direttore della UOC di Neurochirurgia presso l’azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma, intervistato dall’agenzia Dire in occasione della recente attivazione, all’interno del nosocomio, del Percorso Diagnostico Terapeutico Assistito (PDTA) sui tumori cerebrali e spinali (di cui Talacchi è coordinatore).
“Il PDTA è costituito da un gruppo di esperti multidisciplinari, nel nostro caso all’incirca 30 – spiega Talacchi – che gestisce il paziente che ha una specifica malattia, come il tumore cerebrale o spinale. Il vantaggio è che il paziente non deve rivolgersi ogni volta che ne ha bisogno a un medico, ma è come se avesse a disposizione un reparto che si prende carico di tutti i passaggi necessari, dalla diagnosi alla terapia fino al follow-up. Questo perché il PDTA include un insieme di esperti, facenti capo ad alcuni reparti, collegati tra loro”.
Ma qual è il grande vantaggio di un approccio multidisciplinare alla malattia, che il paziente ‘perde’ meno tempo? “Questo senz’altro – risponde l’esperto – ma soprattutto i medici in un PDTA sanno esattamente quali sono le tempistiche giuste per portare avanti tutte le varie fasi, dalla diagnosi alla terapia, ed è loro la responsabilità di rispettare i tempi più opportuni, non deve pensarci il paziente”.
Niente più lunghe ricerche e risposte parziali, dunque, perché il paziente nel PDTA viene accompagnato per tutta la durata della malattia, secondo modalità di cura che tengono conto anche dell’ascolto di esigenze individuali. “In città grandi come Roma, il problema è che le persone si ‘perdono’, si scoraggiano e la malattia spesso viene affrontata troppo tardivamente – sottolinea Talacchi – con la conseguenza di una grandissima perdita in termini di mesi di vita”.
Ad oggi, quante persone sono colpite dai tumori cerebrali e spinali? “I tumori cerebrali sono considerati tumori rari, colpiscono circa 10 persone ogni 100mila abitanti. La loro bassa incidenza e il fatto che abbiano un inizio difficile da individuare – fa sapere Talacchi – ne rende complicato il riconoscimento per un medico curante di base, che tra i suoi 1.000 assistiti può essere che ne veda tre o quattro nell’arco di tutta la sua carriera professionale. Per questo è opportuno incoraggiare il paziente a fare un semplice esame, perché già da quello si può trarre il sospetto di una malattia. Purtroppo quello che si nota è spesso una diagnosi tardiva che pregiudica molto la capacità in termini di cura”.
Ma quali sono i ‘campanelli di allarme’ che possono far sospettare un tumore cerebrale o spinale? “Il tumore cerebrale è più insidioso – dice Talacchi – perché la persona può avere un cambiamento di comportamento, può mostrarsi confuso, smemorato, apparentemente apatico. Tutti quei comportamenti diversi rispetto al passato, che hanno come caratteristica saliente di essere progressivi e non passeggeri, meritano un approfondimento con la Tac. Ci sono poi segnali più chiari, come alcuni disturbi quali il parlare male, vedere male, zoppicare oppure muovere male un braccio o una gamba. Per quanto riguarda i tumori spinali, invece, di solito sono più ‘eloquenti’ come si dice in gergo, nel senso che possono manifestarsi come un disturbo della sensibilità alle gambe o alle braccia, accompagnato da un disturbo motorio. Questo mette subito facilmente in allerta chiunque”.
Interpellato infine sull’indice di sopravvivenza e mortalità per questa tipologia di tumori, l’esperto risponde: “Ci sono tumori benigni e tumori maligni. I tumori maligni più frequenti, come i gliomi, hanno la sopravvivenza ad uno o due anni; però ci sono anche i tumori benigni, come il meningioma, il neurinoma dell’acustico, l’adenoma dell’ipofisi. A Roma il problema è che ci sono tante neurochirurgie ma sono pochissime quelle che hanno percorsi PDTA, mentre il paziente dovrebbe essere indirizzato in centri attrezzati – conclude – altrimenti il rischio è quello di perdere tempo”.
(fonte: Agenzia Dire)