Un pool di ricercatori del Cnr e del Mit di Boston, tracciando quattro milioni di individui e analizzando otto miliardi di dati di telefonia, ha provato che le persone visitano di più i luoghi meno distanti. La ricerca è stata pubblicata su Nature
Roma, 26 maggio 2021 – Come possiamo spiegare la frequenza con cui visitiamo certi luoghi? L’intuizione sembra suggerire che la distanza del luogo da raggiungere giochi un ruolo importante, ma fino ad ora non ci sono sostanziali prove empirico-scientifiche che confermino questa “ovvietà” e cioè che le persone visitano di più i luoghi meno distanti (legge-inversa).
Un articolo pubblicato sulla rivista Nature da ricercatori dell’Istituto di informatica e telematica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iit) e del Senseable City Lab del Massachussets Institute Technology di Boston (Mit) MIT, basato su data set globali, ha evidenziato scientificamente che le persone visitano con maggiore frequenza luoghi per cui devono percorrere distanze minori.
“Quella che abbiamo osservato è una chiara relazione inversa fra la distanza percorsa per raggiungere un luogo e la frequenza con cui questo viene visitato – afferma Paolo Santi, dirigente di ricerca presso il Cnr-Iit, ricercatore presso il Senseable City Lab del Mit e coautore della pubblicazione – Le persone si spostano raramente in luoghi lontani, e solitamente tendono a visitare quelli vicini con maggiore frequenza. Questa osservazione ci spiega il modo con cui organizziamo le nostre vite e tutto ciò andava provato empiricamente”.
La ricerca si è basata sull’analisi di dati di telefonia mobile raccolti in quattro continenti, riuscendo a dimostrare in modo molto accurato questa relazione. I dati telefonici permettono di individuare sia l’area dove una persona risiede, sia i luoghi che questa visita per un intervallo di tempo significativo. In alcuni casi, i ricercatori hanno potuto definire i luoghi visitati usando una griglia di soli 500m di lato, ottenendo quindi risultati molto accurati.
Complessivamente, sono stati tracciati oltre otto miliardi di dati geografici generati da oltre quattro milioni di persone. Il tracciamento anonimo è avvenuto nelle aree metropolitane di Abidjan, Costa d’Avorio; Boston, Stati Uniti; Braga, Lisbona e Porto, Portogallo; Dakar, Senegal; e Singapore.
“Potremmo fare la spesa tutti i giorni in una panetteria a poche centinaia di metri, ma andremo solo una volta al mese nella boutique di lusso a chilometri di distanza dal nostro quartiere. Questo tipo di nozione intuitiva, non era mai stata testata empiricamente. Quando l’abbiamo fatto abbiamo trovato una legge incredibilmente regolare e robusta – che abbiamo chiamato the Universal visitation law”, spiega Carlo Ratti, coautore dell’articolo e direttore del Mit Senseable City Lab, dove è stata condotta la ricerca.
Nella maggior parte dei casi in cui una deviazione rispetto a questa legge è stata osservata, siamo in presenza di luoghi quali porti, attrazioni turistiche, o parchi divertimenti, che riescono con facilità ad attrarre persone anche da distanze maggiori.
L’articolo dimostra non solo questa “legge inversa”, ma è in accordo con una teoria formulata quasi cento anni fa dal geografo Walter Christaller, la “Teoria dei Luoghi Centrali”, utilizzata ad esempio, per scegliere la posizione di centri commerciali ed altre attività, ma anch’essa non era mai stata dimostrata con dati empirici, fino ad oggi.
“I nostri risultati possono aiutare a progettare meglio una buona infrastruttura urbana perché un’altra implicazione del nostro studio sta nella dimostrazione del valore dell’utilizzo di dati nel processo di pianificazione urbana – conclude Santi – I dati, se opportunamente considerati, possono contribuire a fornire un’altra dimensione di analisi e decisione per i professionisti della pianificazione urbana”.