Le richieste dal territorio e dagli ospedali: potenziamento dell’assistenza domiciliare e territoriale, più medici, infermieri e digitalizzazione
Roma, 27 gennaio 2021 – Pioveranno miliardi sulla testa della sanità italiana e le aspettative sono tante sia da parte dei veri protagonisti della bollente questione ossia i medici, associazioni di categoria, società scientifiche, che non sono state interpellate nella elaborazione della bozza del Recovery Plan, sia da parte dei cittadini che sperano in una vera rivoluzione sanitaria delle cure e dell’assistenza.
Per i medici urge comunicare quello che servirà per cambiare pagina ed aprire un nuovo capitolo della sanità del prossimo futuro. Dalla rete territoriale all’organizzazione ospedaliera, all’assistenza territoriale e domiciliare, dal potenziamento delle file degli operatori sanitari alla digitalizzazione in sanità.
Per discutere e fare chiarezza sugli stanziamenti sulla sanità, sulle necessità e sulle possibilità reali dell’Italia, Motore Sanità ha organizzato il webinar “RECOVERY FUND, INVESTIMENTO IN SALUTE E SOSTENIBILITÀ FUTURA DEL SSN”.
Il Piano Nazionale italiano per l’uso del Recovery Fund europeo per accedere al Next Generation UE prevede uno stanziamento su più voci per la sanità alla quale saranno destinati 19,7 miliardi dei fondi complessivi del Next Generation EU. La missione si articola in due componenti: “assistenza di prossimità e telemedicina” a cui sono destinati 7,9 miliardi in totale e “innovazione dell’assistenza sanitaria” che assorbirà 11,8 miliardi.
“Stiamo parlando di un piano approvato dal Consiglio dei Ministri che dovrà andare in Parlamento e poi anche ad un confronto ulteriore con le parti sociali, quindi parliamo ovviamente di qualcosa che può cambiare, anche per via della situazione politica – ha spiegato Brando Benifei, Europarlamentare – Vedremo cosa succederà dato che oggi sappiamo che c’è un governo dimissionario che può solo disbrigare gli affari correnti per come sono le cose, ma vedremo come evolve la discussione sul piano di ripresa e vedremo come verrà anche migliorato il lavoro con le parti sociali e con il Parlamento. Sarà importante che chi governa, chiunque sarà, riesca a utilizzarla al meglio”.
I medici di medicina generale hanno più volte ribadito il bisogno della medicina generale di un sistema più strutturato a livello di personale e di strumentazioni (tecnologie) per assicurare le più efficaci cure e la migliore assistenza al paziente.
“Lo ribadiamo anche in questa occasione – si è appellato Claudio Cricelli, Presidente Nazionale SIMG – perché è importante far operare 46mila medici di medicina generale, aggregarli in strutture che funzionino sul territorio e che intercettino le esigenze dei loro assistiti. Per fare questo è necessario il potenziamento stimato in circa 90 mila unità, della dotazione di personale sanitario, e penso alla figura dell’infermiere, e di personale di segreteria, per un investimento annuale stabile di 3,8 milioni. E poi sono necessarie strutture adeguate per esercitare la professione sanitaria e anche infrastrutture digitali”.
I medici internisti ospedalieri ambiscono ad un modello ospedaliero ‘a fisarmonica’. “Ossia che si allarga e si restringe a seconda delle necessità – ha spiegato Dario Manfellotto, Presidente FADOI – Inoltre, di fronte alla drastica riduzione del numero dei posti letto ospedalieri, tutte le Regioni, sulla base delle indicazioni ministeriali, dovrebbero attivare un piano che stabilisca minuziosamente il numero di posti letto, Covid e no, di ciascun ospedale, da incrementare o ridurre a seconda dell’andamento del contagio. Apprezziamo il fatto che nella bozza appena divulgata del Recovery plan sia citata espressamente la Medicina Interna, con queste parole: “è necessario colmare le carenze relative sia relativamente ad alcune figure specialistiche (in particolare in anestesia e terapia intensiva, medicina interna, pneumologia, pediatria) sia nel campo della medicina generale”.
La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri esprime la necessità di avere progetti adeguati, concretezza e progettualità adeguate. “Sarà necessario potenziare il personale sanitario ha avanzato Giovanni Leoni, Vicepresidente Nazionale FNOMCEO – e avere una condivisione delle informazioni. La condivisione delle informazioni è qualcosa di fantastico tra il territorio e l’ospedale, la base è dunque la possibilità, al netto delle implementazioni del fascicolo sanitario elettronico di cui si parla da moltissimo tempo, di trovare un linguaggio comune per quanto riguarda i dati del laboratorio, trovare un sistema universale per quanto riguarda le radiografie. Persino tra gli ospedali le cartelle elettroniche sono differenti. Speriamo di essere coinvolti nella bozza del Recovery Plan per portare le nostre proposte”.
“Non c’è chiarezza nell’informazione di questo documento purtroppo – ha spiegato Francesco S. Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Economia Politica, Research Director-Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – Presidente SIHTA – A mio avviso le risorse devono essere stabilmente inserite nel finanziamento o perlomeno trovare degli strumenti finanziari per farlo, per evitare fenomeni di sotto finanziamento del sistema, come è già sotto gli occhi di tutti. Spero che queste risorse vengano investite bene, ma ho punti interrogativi sul tema, per esempio, dell’assistenza domiciliare e territoriale, visto che leggo che si prevede di costruire mini ambulatori o mini ospedali, che ritengo siano miniduplicati di centri di costo che generano anche inefficienza sul sistema. Sugli strumenti da utilizzare ribadisco che se avessimo preso subito le risorse del Mes, 37 miliardi di euro, avremmo potuto incominciare a ragionare veramente su una nuova architettura del sistema sanitario e avremmo potuto incominciare a investire sull’assistenza territoriale e domiciliare che, ricordo, sarà fondamentale nei prossimi due-tre anni perché, a causa dell’emergenza Covid, che purtroppo rimarrà almeno per tutto il 2021, ci sarà un rallentamento molto forte anche della mobilità sanitaria. Quindi il sistema deve essere pronto ad investire in quelle regioni dove prima c’era una grande mobilità passiva perché adesso quella domanda di assistenza sanitaria ricadrà sulle queste regioni stesse. La domanda è se saranno in grado e hanno le tecnologie e le strutture idonee per rispondere a questo incremento molto forte di domanda di assistenza sanitaria, anche creando un collegamento importante tra pubblico e privato”.
Dal Veneto l’invito è di “ragionare sul servizio sanitario, come istituto e istituzione del paese che attraversa un momento di visibilità ma che ha retto in questo momento tragico – ha spiegato Luciano Flor, Direttore Generale Area Sanità e Sociale Regione del Veneto – Dobbiamo iniziare a fare quello che non abbiamo fatto fino ad oggi, riscrivere le regole di funzionamento del servizio sanitario. Inoltre c’è da fare un’opera di investimento: il SSN ha in questi anni investito poco in infrastrutture sul territorio, questo è il momento per farlo, ricordo che una buona struttura aiuta l’organizzazione. Per gli ospedali dobbiamo ragionare su una vera rete”.